domenica 1 febbraio 2015

Postilla a Sleep My Love



Postilla


Sleep My Love (Donne e veleni). United Artists, 1948. Claudette Colbert, Robert Cummings, Don Ameche, Rita Johnson, George Franklin, Raymond Burr, Hazel Brooks. Regia: Douglas Sirk.
E' un thriller coniugale  tratto da un racconto di Leo Rosten. Douglas Sirk, che a fine carriera ha diretto grandi film melo' come Lo specchio della vita o Come le foglie al vento, qui mostra il suo raffinato talento scenico.

Ho già pubblicato una  recensione del film  (potete leggerla cliccando a lato) qui sul blog, ma, dopo averlo rivisto, devo tornarci sopra per puntualizzare alcune brillanti scelte del regista.
Donne e veleni, pur seguendo le mosse del più celebre Gaslight, presenta molte differenze. Il marito, Don Ameche non agisce direttamente, ma usa un "sicario". Claudette Colbert è braccata in casa propria dal brutto occhialuto, mentre poi è coccolata,  con falsa amorevolezza e cioccolata drogata, dal coniuge "marcio dentro", che la prepara progressivamente a un esaurimento nervoso che la spingerà a un salto acrobatico dal balcone con bella vista sul ponte di Queensboro (siamo sull'east river, abbastanza vicino a Central Park).  


Si noti nel fotogramma lei sulla balaustra. Il marito è dietro una vetrata, tenetelo a mente, vi sarà utile alla fine. Il regista  si sbizzarrisce nello sviluppo della trama con ingegnose sottolineature. Il tocco geniale della sua direzione viene mostrato con un finale che fonde stile e sostanza. Sirk, che già mostra forte sensibilità per le scene drammatiche (poi esaltata col melò), ha progettato, fin dall'inizio, di usare il soggiorno della casa come  gabbia prima e come  trappola poi.   Le  tende asfissianti, pesanti  da foyer, una grande porta scorrevole col  vetro   e la scala che troneggia sullo sfondo o incombe dall'alto. La casa, in questo film è protagonista, quasi un'attrice ambigua e mutevole. Le scale che consentono giochi di nascondiglio, le tende pure e gli spazi a volte angusti altre volte dilatati.


Alla fine, nella scena conclusiva, il subdolo marito porta giù per le scale la moglie e la sistema , in preda alla droga,  seduta davanti alla porta di vetro, dietro c'è nascosto il complice, il falso psichiatra.  "Devo incalzarla e tormentarla ancora un po'",   pensa il complice pronto a intervenire.  In realtà il marito è davvero diabolico: mette in mano alla moglie mezza drogata una pistola carica dicendole che il suo persecutore è proprio dietro quella porta.


Claudette   sta  per sparare, ma all'ultimo minuto si sveglia, a questo punto il marito afferra la pistola e spara lui stesso attraverso la porta.  Si frantuma il vetro smerigliato: si vede allora il complice ferito dall'altra parte. Anche lui, caduto il velo, ha capito il tranello, spara per vendicarsi.
Una splendida scena di cinema.   Un grande momento narrativo in cui il marito rompe, spacca il vetro (ricoradte prima) che lo seprava dalla verità. In ultima analisi  lacera la sua tela d'inganni. Si alza il velo:  visivamente la barriera di vetro che nascondeva il suo complice d'intrigo. Una sintesi perfetta che annulla e chiarisce l'ambiguità.  Geniale convergenza narrativa:  si ha la correlazione visiva perfetta tra quello che la storia ci raccontava e quello che si vede.  
E' un altro motivo per cui credo meriti ancora di andare al cinema.

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