domenica 24 settembre 2017

Peso letterario (III)


Pesati con la stadera
"Pondera iniqua sunt!" 
semiseria caccia alle streghe per un esorcismo "ponderato" 

(III)



Chi è di Pisa dovrebbe conoscer queste frasi: "L’aver inteso con certa dimostrazione uno dei primi principii, dal quale, come da fecondissimo fonte, derivano molti delli strumenti mecanici, sarà cagione di potere senza difficoltà alcuna venire in cognizione della natura di essi.
E prima, parlando della stadera, stromento usitatissimo, col quale si pesano diverse mercanzie, sostenendole, benché gravissime, col peso d’un picciolo contrapeso, il quale volgarmente adimandano romano, proveremo, in tale operazione nient’altro farsi, che ridurre in atto pratico quel tanto che di sopra abbiamo speculato.


Imperò che, se intenderemo (fig.9) la stadera AB, il cui sostegno, altrimenti detto trutina, sia nel punto D, fuori del quale dalla piccola distanza CA penda il grave peso F, e nell’altra maggiore DB, che ago della stadera si adomanda, discorra inanzi ed indietro il romano C, ancorché di piccol peso in comparazione del grave F, si potrà nulla di meno discostar tanto dalla trutina D, che qual proporzione si trova tra li due gravi F, C, tale sia tra le distanze AD, DB; ed allora si farà l’equilibrio, trovandosi pesi ineguali alternamente pendenti da distanze ad essi proporzionali".
E' Galileo Galilei che parla e bisogna ricordarsi che, oltre che scienziato geniale, era pure scrittore sopraffino. Se si osserva la forma del piatto si capisce quanto, fin da allora, la stadera fosse atta a pesar tomi, codici miniati, libercoli e messali. Si dice che, per sua comodità, la sperimentasse usando i volumi che aveva nel suo studio.


Sembra anche che, dopo essersi accorto che i libri brutti pesavano meno, affermasse: " Signore e signori, i tempi son tristi: è saggio chi è in ansia, cretini i vanesi, che pesano meno. ...  Pesateli dunque come patate, e di poi cercate, ad aiutarvi  l'accetta, di spezzarne le costole..."

Sopravvalutato


Loriano Macchiavelli: è uno scrittore assassino. Nei suoi gialli non c'è il maggiordomo, ha sopperito di persona! Tramite sicario (vigliacco!) ha ucciso Sarti Antonio, salvo poi (pecunia non olet) fare il Gesù per farlo rivivere come Lazzaro! 


Non sa  stare in solitudine, ha scritto "per" (non credete al "con") Francesco Guccini e poteva astenersi, Francesco scriverebbe meglio, ma forse è troppo modesto. Macchiavelli è uno scrittore elementare, usa periodi che piacciono alle maestre (senza penna rossa), non fa voli pindarici e ripete come un mantra Sartiantonio, Sartiantonio, Sartiantonio, Sartiantonio... anche sette volte per pagina!

Nella tacca di centro


Augusto De Angelis: è uno scrittore onesto. Di cristallina onestà intellettuale. Propone trame credibili svolte da un personaggio che appare reale: il commissario De Vincenzi. Prosa ormai obsoleta, con parole retaggio di studi classici poi non sufficientemente macerati nell'esperienza quotidiana, né confrontati con l'asciutta prosa di Simenon. De Vincenzi non è Maigret e Milano (e poi Roma) non è Parigi. 


Coerente con le sue scelte stilistiche e letterarie fino ad andare in collisione col Regime che era duro a capirne l'onestà intellettuale. Più che altro la collisione fu col manganello animato di ferro di un fascista repubblichino (probabilmente anche più ottuso del precedente Regime) che l'assalì sotto casa riducendolo in fin di vita.  

Sottovalutato


Andrea Camilleri: è più di uno scrittore, è un Maestro, un creatore di lingua. Il commissario Montalbano non e` solo il personaggio centrale per lo svolgimento delle azioni (il racconto è in terza persona, ma il narratore è sempre con Salvo, appollaiato sulla sua spalla come un gufo sapiente), è anche il personaggio pivotale (brutto neologismo di Camilleri: da pivot, da giovane giocava a pallacanestro) per quanto riguarda l’espressione linguistica. E' anche il direttore d'orchestra della musica linguistica. 


E’ infatti capace di destreggiarsi tra coloro che parlano solo in dialetto (come fa, per esempio,con Adelina, la sua materna donna di servizio), o in dialetto e in italiano (con Tano ‘u grecu), o in una lingua maccheronica (con Catarella) fino a coloro che si esprimono in un italiano (accade anche in provincia di Montelusa!), senza indizi di provenienza.
Camilleri fa molta attenzione agli usi del dialetto o delle altre varietà di lingua. Non pare sia una scelta né immediata, né istintiva, ma studiata, costruita con tecnica sapiente e continuamente affinata.

 

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