martedì 6 agosto 2019

Riflessioni sarzanesi (4)


Magica Tempora
di Oscar Montani

Riflessioni critiche di Carmen Claps


Introduzione
Berto dè Bardi, detto Bertuccio, il secondo investigatore creato da Oscar Montani, è un maestro dell’arte minore dei fabbri armaioli che vive ed opera in quel di Montevarchi nel delicatissimo periodo di passaggio tra 1400 e 1500, tra Medioevo e Rinascimento. Al proposito il nostro autore ci avverte che i romanzi nei quali è protagonista il nostro fabbro non sono gialli storici, ma romanzi gialli di ambientazione storica.


Dalle sue  pagine emerge chiaro e completo il quadro della vita quotidiana della gente comune di quell’epoca: attrezzi vari, abbigliamento, cibi, arredamento, attività, passatempi e soprattutto la mentalità del periodo. Sullo sfondo la storia, non quella delle grandi battaglie, dei grandi eventi che abbiamo studiato nei manuali scolastici, ma anche e soprattutto quegli accadimenti minori, meno conosciuti, trascurati e dimenticati che pure hanno determinato cambiamenti fondamentali nelle sorti dell’umanità. Da tutto questo si può capire l’enorme, impegnativo e faticoso lavoro di ricerca che sta dietro ad ogni romanzo dedicato a Bertuccio.


Bertuccio, per certi versi, inevitabilmente, è ancora legato al suo tempo da tradizioni radicate, da una mentalità consolidata; per altri versi è completamente proiettato nel futuro: è curioso, pronto a sperimentare ogni novità, non disposto ad accettare verità precostituite. Diffida, per carattere e per esperienze personali, dei nobili, dei preti, delle donne (qui ci sarebbe da fare qualche distinguo), e delle umane genti in generale. Ha un fortissimo senso della giustizia. È, insomma, un fabbro sui generis, se pensiamo che sa leggere e scrivere, conosce a memoria la Commedia di Dante di cui cita con disinvoltura e proprietà interi brani, traendone preziosissimi spunti di riflessione. Di più: sa di latino e conosce e si gusta anche il Decamerone di Boccaccio, cosa molto “avanti” e compromettente a quell’epoca. Tutto questo grazie ad una straordinaria (nel senso etimologico della parola) figura di sacerdote: Don Lorenzo, che, tra l’altro, vedremo essenziale in questa vicenda. Don Lorenzo è il Priore dell’Insigne Collegiata di Montevarchi; è lui che in pratica costringe Bertuccio ad acculturarsi: “saper leggere e scrivere rende liberi” gli ripete ogni momento. Bellissimo monito che, tra l’altro, attualmente va di gran moda con quel “leggere crea indipendenza”. Insomma, Bertuccio non rischia davvero di fare la figura dell’allocco del povero Renzo manzoniano di fronte all’Azzeccagarbugli; se la fa è perché la vuol fare e gli conviene. Per tutto questo il nostro protagonista è accompagnato da una straordinaria colonna sonora, un ritornello – tormentone che un po’ lo irrita, un po’ lo lusinga. Quando qualche persona, specialmente importante o che si ritiene tale, si rende conto della sua intelligenza, della sua sagacia, della sua cultura, se ne esce con un inequivocabile: “Mastro Bertuccio, ma siete proprio sicuro di voler fare solo il fabbro?”. Bertuccio è innamorato della sua arte, tanto che, quando lo chiamano maestro, soprattutto se a farlo è una bella fanciulla, va in brodo di giuggiole, ma ha un’altra grande passione, o meglio, una vera e propria ossessione: quella di “disvelar misteri”. Questa è certo nella sua natura, ma gran parte del merito è del nonno Niccolò, che gli ha lasciato in eredità il mestiere di fabbro e il talento investigativo. È proprio Bertuccio a raccontarci alcune indagini del nonno in una deliziosa, avvincente raccolta di racconti “Vetera tempora”. Il nonno è per lui un punto di riferimento costante: ogni momento ne ricorda consigli, modi di dire e, anche se a volte, in prima istanza, gli risultano oscuri o magari fuori di luogo, alla fine si rivelano sempre di grandissima utilità.


Nella sua Montevarchi Bertuccio ha scovato scheletri imbarazzanti negli armadi di alcuni intoccabili che gliel’hanno giurata, quindi, per sfuggire ai loro pugnali dalla punta acuminata e intinta in veleni letali, è costretto alla fuga e all’esilio volontario. Meta la Francia, più precisamente la Provenza, dove progetta di affinare la sua arte di armaiolo. Non è solo (abbiamo già visto che tutti gli investigatori creati da Oscar agiscono sempre in gruppo). Lo seguono Lippo, il suo abile, intelligente allievo, Lapo, uno speziale e Vieri, “possente armigero” fratello della sua fidanzata Marta. Nella precipitosa fuga da Montevarchi il nostro fabbro passa per Pietrasanta, Massa e Sarzana. Ad ogni tappa si trova coinvolto, neanche a dirlo, in oscure, terribili vicende; ogni volta rischia grosso, ma ogni volta riesce a svelare il mistero. “Magica tempora” è il racconto della sua avventura in terra di Francia, cioè il seguito della vicenda sarzanese narrata in “Precaria tempora”. Dopo due anni e mezzo di soggiorno forzato in terra straniera, dall’Italia arrivano da una parte brutte, bruttissime notizie: il suo più irriducibile nemico, Cesare Borgia, il Valentino, figlio di Papa Alessandro VI, sta per arrivare proprio in Francia. Dunque urge fuggire precipitosamente; d’altra parte, in Italia, in Toscana, le cose per lui pare si siano messe benino: a Fiorenza (che bello il nome antico della città!) Girolamo Savonarola, col quale aveva conti salati in sospeso, è stato arso sul rogo con parecchi suoi seguaci in Piazza della Signoria. Inoltre Niccolò Machiavelli, suo grande amico, sta compiendo una grande ascesa politica: è diventato Segretario della Repubblica fiorentina. Quindi si può rientrare. Sulla via del ritorno, quando si trova nella terra dei catari, si ferma a casa del suo amico, Etienne Aycard, che aveva conosciuto proprio a Sarzana. Li trova una situazione davvero drammatica: è sparita Maria, una nipote tredicenne di Etienne e anche altre due bambine e sul suo amico pende un’accusa di stregoneria da parte di un fanatico frate spagnolo del Tribunale dell’Inquisizione. Il nostro fabbro, dopo mille peripezie, aggressioni mortali cui sfugge per un pelo, riesce a ritrovare sana e salva la ragazzina e a scagionare l’amico. Il buon esito delle sue indagini, però, non gli dà soddisfazione, anzi, gli causa amarezza e rabbia, perché si rende conto di essere stato usato e manipolato dai potenti per i loro scopi oscuri e meschini.
Arrivato a Montevarchi, si rende conto che le cose lì non vanno tanto meglio: Gismonda, la sua amica speziale, sorella di Lapo, è accusata da un frate dell’Inquisizione di stregoneria e di avere rapito due bambini per ucciderli e farne orrendo pasto in un sabba satanico. Si verificano tre delitti terribili: muoiono con la gola squarciata tre uomini di non proprio specchiata fama. A Bertuccio il compito arduo di ritrovare i bambini, di difendere Gismonda al processo, di far luce su quegli omicidi. Il nostro fa tesoro dell’esperienza acquisita in terra di Francia e riesce a risolvere, ancora una volta, il caso.



 

 

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