Delitti Western

lunedì 15 luglio 2013

Bertuccio visto da una signora di Sarzana (II)

Dov’è Bertuccio?
Si è mosso parecchio furtivo in Sarzana, ma amici lettori fidati ne hanno controllato le mosse.
In attesa di presentare il romanzo a Sarzana vi propongo le riflessioni di una appassionata lettrice, e anche presentatrice, delle gesta di Bertuccio. e' una prima stesura, la versione definitiva potrete sentirla dalla sua voce a Sarzana.
letto e commentato da
Carmen Claps

parte seconda
 
 
L’autore ci regala, come sempre, tante di quelle che io chiamo digressioni perché al momento non ho pronto un altro termine, ma definirle digressioni è completamente errato. Mi spiego: la parola digressione è formata dal prefisso negativo dis e dal verbo gradior, camminare; indica quindi una deviazione, un uscire dal percorso prefissato, un andare fuori strada. Quelle di Oscar non sono deviazioni, sviamenti dal percorso principale, cioè non sono aridi riempitivi o borioso sfoggio di cultura quizzarola, ma sono assolutamente funzionali all’economia del romanzo, vengono fuori nel modo più naturale, sono trattate in maniera leggera e colloquiale, comprensibilissima; inoltre stimolano ad approfondire quegli argomenti. Mi riferisco, per esempio, alle note sull’aconito e la cantarella, sulle sfere armillari, sui catari. Come vedete, Oscar si può permettere il lusso di spaziare un po’ in tutti i settori del sapere.
 


Bertuccio, il protagonista assoluto. Già nella prima pagina, nei primi periodi, Bertuccio è presentato, anzi, si presenta nel modo più chiaro e completo nei lati più importanti della sua personalità proprio in poche righe. E’ una specie di carta di identità del suo carattere. Bertuccio ci fa capire che è in fuga dalla sua Montevarchi per sottrarsi alle vendette di notabili, dei quali ha scoperto i classici scheletri negli armadi, a causa della sua mania di “svelar misteri”. Ci dice anche che è orgogliosissimo del suo mestiere, cosciente della sua abilità ma anche del fatto che può ampliare le sue conoscenze. Conoscere, conoscere qualsiasi cosa, è l’aspirazione e la gioia più grande del nostro, tanto che fa dell’Ulisse dantesco il suo ideale di uomo e del “fatti non foste . . . “ il suo manifesto. Inoltre attribuisce una grande, grandissima importanza all’amicizia: è sempre in gruppo, anzi, a capo di un gruppo e anche nel suo esilio volontario ha con sè tre amici fidati che, inutile dirlo, gli danno un bell’aiuto nelle indagini, seguendo le sue indicazioni e i suoi ordini. Del resto, anche gli altri due protagonisti di Oscar sono al centro di una corte eterogenea e bizzarra. Poco più avanti, tra le righe, emerge un altro lato fondamentale del suo carattere: il debole per il gentil sesso, attenzione peraltro ricambiata. Guarda caso, il nostro, che a Montevarchi ha lasciato una specie di fidanzata, Marta, in ogni sua avventura si trova ad aver a che fare con avvenenti fanciulle e signore, che rimangono invariabilmente folgorate dal suo modo di fare, a metà tra il timido, il misterioso, il candido, lo scanzonato. Qui, in “Precaria Tempora”, vediamo Bertuccio vivere tra l’altro una rovente notte d’amore: un brano veramente magistrale, perché assolutamente alieno da toni volgari o pornografici o compiaciuti, che, del resto, non sono nelle corde del nostro autore. Con grande eleganza, Oscar accenna, suggerisce, lasciando lavorare la fantasia del lettore. In questo modo tratta, è inevitabile, anche gli altri suoi due investigatori: vi ricordo una splendida scena d’addio ne “La ragazza dello scambio”, di cui è protagonista Idamo e, per quel che riguarda Corto, una nottata a metà tra il surreale e il sognato in “Eikones”.
Chi lo incontra rimane stupito dal fatto che un semplice fabbro sia così colto, profondo nelle sue riflessioni e arguto. Per questo lo accompagna la solita colonna sonora, quella domanda che ben conosciamo: “Mastro Bertuccio, siete sicuro di voler fare solo il fabbro?”, posta, di volta in volta, con scherno, ironia, rispetto o meraviglia. Bertuccio reagisce nello stesso tempo con compiacimento e irritazione; comunque ci è talmente abituato che, talora, riesce addirittura ad anticiparla.
 

In questo romanzo Bertuccio è soggetto ad un’evoluzione, anzi ad un approfondimento. Per arrivare a questo, bisogna prendere in esame il titolo del libro, “Precaria Tempora”. L’aggettivo precarius deriva da prex, preghiera, e sta ad indicare qualcosa che si è ottenuto con una richiesta e che durerà il tempo che piacerà al concedente, quindi, necessariamente, qualcosa di temporaneo. Ecco: l’aggettivo precario è il ritornello che ci accompagna per tutto il corso della vicenda. Significativo il fatto che questo aggettivo compaia esclusivamente sulla bocca di Bertuccio, attribuito a più sostantivi. Intanto, i “tempora”. Proprio nelle note introduttive del suo manoscritto il nostro sgombra subito il campo da ogni possibile equivoco e ci spiega come vede il suo tempo in modo che più chiaro non si può. Poi, per tutto il corso della vicenda, continua a puntualizzare che “precaria tempora currunt”. E se sono precari i tempi, gioco forza, si sente precario anche lui. Bertuccio è il rappresentante perfetto dell’uomo che vuole lasciarsi alle spalle il vecchio con tutti i suoi lati negativi e conquistarsi il nuovo, avido com’è di fare nuove conoscenze, sicuro che queste potranno migliorare il mondo. Ma è altrettanto consapevole del fatto che il vecchio è duro a morire, troppi interessi lottano per lasciare le cose così come stanno e che il nuovo è ugualmente difficile da raggiungere. Quindi Bertuccio precario in un tempo precario, di passaggio, ma precario anche nello spazio, visto che, ovunque vada, non può fermarsi più di tanto perché, come afferma lucidamente lui stesso, il suo vizio di svelar misteri gli provoca odi inveterati. Bertuccio è perfettamente conscio di questa precarietà, precarietà del suo tempo in generale e sua personale; come vi dicevo pocanzi, lo ribadisce continuamente, di volta in volta con sfumature diverse: amarezza, rabbia, impotenza e perfino malizia, perfettamente mascherata da rammarico, come quando si trincera dietro questa sua precarietà (nella fattispecie esclusivamente economica) per rifiutare in modo elegante le avances di una fanciulla bella, nobile, intelligente e straordinariamente intraprendente per quei tempi. Ecco, la presa di coscienza di questa precarietà è la nota nuova del nostro investigatore, che lo rende straordinariamente moderno e tormentato. Del resto, anche gli altri due investigatori di Oscar sono contraddistinti da profondi rovelli interiori, quelli di Corto, lo skipper nostro contemporaneo, sono di natura esclusivamente personale e privata. Idamo, invece, che si trova a vivere nel ventennio fascista, deve fare i conti con la situazione socio politica e la sua progressiva presa di coscienza di ciò che lo circonda.
Altro grande tormento per Bertuccio le indagini, o meglio, il risultato delle indagini. Ci arrivo tra un attimo ma prima sono necessarie due parole sul suo modo di investigare. Intanto Bertuccio è assolutamente abusivo: gli chiedono aiuto persone normali, anzi, popolani, accusati ingiustamente per coprire degli intoccabili; sono dei poveracci che non possono, per la loro situazione sociale ed economica, sperare in una giustizia giusta. Così il nostro deve indagare nell’ombra (letterale e metaforica). Lo sappiamo, non è un investigatore solitario, ma si avvale dell’aiuto di fidati collaboratori, che con lui rischiano e sfidano il sistema. Ad ognuno di loro, a seconda delle rispettive competenze e attitudini, affida, di volta in volta, i vari incarichi. Bertuccio ha al suo fianco anche il comandante della guarnigione francese di Pietrasanta, lo Chevalier di Balibari. Questo nome vi ha senz’altro evocato qualcosa, quindi piccola parentesi riguardo ai nomi scelti da Oscar. Il nostro autore è sempre attentissimo all’attribuzione dei nomi ai suoi personaggi, nomi che non sono mai banali o casuali. Possono alludere all’aspetto fisico, psicologico, all’attività, oppure possono evocare riferimenti letterali, storici, artistici. Oltre a lo Chevalier, in “Precaria Tempora”, incontriamo una gustosa figuretta, una governante di nome Filippa, chiamata sempre e soltanto Pippa. Vi viene in mente nessuno? Guarda caso, la nostra governante è dotata di uno smisurato lato B e in una certa circostanza dà un bell’aiuto a Bertuccio a poderosi colpi di chiappe. Vi ho parlato poi di Maddalena, una delle vittime. Veniamo a sapere che arrotonda i magri introiti della sua taverna con certi traffici ed ha certi trascorsi. Ora, dai tempi del Vangelo, Maddalena è sinonimo di donna con una certa condotta di vita. Poi c’è Pietro, un garzone della taverna, che apre a Bertuccio le porte non del Paradiso, ma di una cantina dove il nostro trova un pezzetto di Inferno. Chiusa parentesi.
 

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