Delitti Western

giovedì 11 luglio 2013

Bertuccio visto da una signora di Sarzana (I)

Dov’è Bertuccio?
Si è mosso parecchio furtivo in Sarzana, ma amici lettori fidati ne hanno controllato le mosse.
In attesa di presentare il romanzo a Sarzana vi propongo le riflessioni di una appassionata lettrice, e anche presentatrice, delle gesta di Bertuccio. e' una prima stesura, la versione definitiva potrete sentirla dalla sua voce a Sarzana.
letto e commentato da
Carmen Claps


parte prima

Un’altra appassionante avventura che ci catapulta ancora una volta a fine 1400 in compagnia di Bertuccio, il fabbro armaiolo di Montevarchi con l’hobby, ma sarebbe più esatto dire con l’ ossessione di “svelar misteri”. Questa volta lo scenario delle sue indagini è Sarzana, una delle tappe della sua fuga dalla nati a Montevarchi verso la  Provenza. Il protagonista avrebbe l’intenzione di imbarcarsi a Bocca di Magra con le truppe francesi di Carlo VIII che stanno lasciando l’Italia, ma rimane bloccato da una furiosa e strana tempesta; nell’attesa, guarda che combinazione, è chiamato a far luce su tre efferati delitti che si verificano nel centro della nostra città a poche ore di distanza l’uno dall’altro.  
La prima vittima è  tra i membri della Curia vescovile. Un delitto all'interno del vescovado stesso: interessi politici o economici? E' il Vescovo il vero obiettivo? Sua Eminenza ha fatto imprigionare il presunto colpevole. Appena Bertuccio giunge in città per scagionarlo avviene un altro delitto. La seconda vittima è tra il popolo, per le vie della città: che legame ci può essere? Infine viene ucciso un contabile, mentre lavorava assorto in  casa sua.
A Bertuccio l’arduo e ingrato incarico di scoprire moventi, eventuali mandanti ed esecutori e collegamenti fra i tre omicidi, perpetrati, non l’avevo ancora detto, con le stesse strane modalità.

 


Quanto alla struttura esterna, la narrazione è, come sempre nei lavori di Oscar, in prima persona, affidata al protagonista e questo conferisce al racconto maggiore spontaneità e partecipazione. Bertuccio scrive le sue memorie parecchio tempo dopo che i fatti si sono verificati, cioè una volta giunto a destinazione in Provenza: per questo i verbi sono coniugati al passato. Come sempre nelle sue avventure, Oscar si spaccia per curatore di un manoscritto recuperato nel modo più casuale e fortunoso e questo espediente è tanto godibile che il lettore vuole crederci.

Siamo nel 1496, momento storico importantissimo, complesso, per non dire confuso e al proposito il nostro autore fa un lavoro davvero eccezionale. Mi spiego: ci presenta Bertuccio che si trova in mezzo ad eventi epocali (la discesa di Re Carlo, la sua successiva ritirata e tutti i fatti collegati). Ebbene, il nostro fabbro ce li racconta e ce li commenta proprio mentre si stanno verificando, in  diretta, con gli occhi di chi non poteva assolutamente prevedere che avrebbero fatto la storia, quella con la S maiuscola. Così, questa viene a fondersi e a confondersi con la storia privata di Bertuccio, della gente comune, della povera gente che lo circonda. Ed in fondo è proprio così, se ci pensiamo bene: l’una è fatta e fa l’altra.

Naturalmente anche in questo, come in tutti i lavori di Oscar, anche quelli dedicati agli altri suoi investigatori, Corto, lo skipper di Viareggio e Idamo, il medico di Montevarchi, grande importanza ha la scansione temporale. Per non annoiarvi, mi limito alle avventure di Bertuccio e vi ricordo che ognuno dei quattro racconti di “Mala Tempora” si svolge in ognuna delle quattro stagioni dell’anno. “Nova Tempora” ricopre l’arco di un anno solare. Qui tutto si svolge in tre giorni, diciamo la durata di una libecciata. Da questo potete capire quanto la narrazione risulti serrata, un susseguirsi di eventi e di colpi di scena da lasciare senza respiro personaggi e lettori: intendo crimini, indagini e scioglimento.

E’ una bella prova d’autore, come lo è il fatto che Oscar dissemina il testo di una quantità incredibile di indizi, ma in modo che neppure la più esperta ed abile mente criminale riesce a coglierli e collegarli così da anticipare la conclusione. E’ una caratteristica del nostro autore: penso che nessuno possa arrivare a individuare i colpevoli, per esempio, de “L’0ro degli aranci” o de “La ragazza dello scambio”, tanto per citare due romanzi abbastanza lontani tra loro nel tempo e dedicati agli altri suoi due investigatori.

Ancora, la ricostruzione del periodo. Bertuccio ci ha già fatto conoscere, in modo molto vivo e direi esauriente, la vita quotidiana della sua epoca: usi, abiti, arredamento, cibi, mestieri, passatempi. Qui, in “Precaria Tempora”, abbiamo un ulteriore approfondimento, direi addirittura qualcosa di ancor più meticoloso e raffinato. Intendo il fatto che il protagonista, allontanandosi dal suo Valdarno, sottolinea e commenta le differenze spicciole che ha trovato in questa strana terra di confine. Un esempio? Il pane, che in Toscana prepariamo senza sale, mentre qui viene salato. Importante, inutile sottolinearlo, la ricostruzione della struttura sociale, di tipo piramidale, con al vertice la nobiltà e soprattutto la Chiesa, con il suo potere, direi strapotere, politico, economico, amministrativo. Il popolo non riesce nemmeno a pensare di poterlo mettere in discussione: è un dato di fatto radicato al massimo. Al proposito, vi raccomando la descrizione della cattedrale preparata per il funerale del diacono, funerale che si risolve in una ulteriore ostentazione dell’opulenza e del potere della Chiesa: nulla a che fare con il sacro e il santo. E il popolo accresce la sua sottomissione verso quell’istituzione. La Chiesa è presentata in affari esclusivamente terreni, politici ed economici, per concludere i quali intesse tremendi intrighi, non si ferma davanti a niente, aliena da ogni scrupolo nell’usare qualsiasi mezzo. Non dimentichiamo che il Papa regnante (attributo quanto mai calzante) è Rodrigo Borgia, Alessandro VI . . .

 

Non vi dico nulla di nuovo se sottolineo l’attenzione massima del nostro autore al linguaggio, la ricostruzione meticolosa del lessico e della sintassi dell’epoca. Questo emerge in particolare nei dialoghi, che sono fondamentali nell’economia della vicenda, ma è rilevabile anche nelle parti narrative. A questo proposito, vi voglio segnalare l’uso sapiente degli ablativi assoluti, poi quei periodi brevissimi, folgoranti, che cadono come macigni a evidenziare, di volta in volta, ironia, rabbia, tensione ecc. ecc. Infine una punteggiatura molto originale e raffinata, perfetta per rimarcare ulteriormente il contenuto.

Altrettanto abile Oscar nelle descrizioni: paesaggi, interni, persone. Ce lo dimostra proprio in apertura, con quella strana tempesta, da cui scaturisce poi tutta la storia: un quadro realizzato con pochissime pennellate, ma più che sufficienti. Aggiungerne altre avrebbe significato sciuparlo. E poi Sarzana. La vicenda si svolge in quello che ora è il cosiddetto centro storico: la Pieve di Sant’Andrea, la Cattedrale di Santa Maria, il Vescovado, il Torrione San Francesco e poi alcuni palazzi gentilizi: quello dei Buonaparte, dei Parentucelli, dei Remedi. Piccolissima parentesi per dire che Oscar ci offre l’opportunità di interessantissimi incontri proprio con alcuni di questi notabili. A voi il piacere della scoperta. E’ davvero emozionante vedere ed entrare addirittura in quegli edifici. E’ come una visita guidata nella nostra città, una visita guidata anche nel tempo, cosicché viene voglia di riscoprire quei luoghi, quelle costruzioni che ormai, per l’abitudine, non vediamo più. Ma c’è un altro motivo che rende quelle descrizioni così intriganti: l’atmosfera. Mi spiego: la maggior parte degli eventi, specie quelli più importanti avviene di notte, nel buio più completo o in una penombra ancora più angosciante, quando a illuminare la scena ci sono candele fioche o, peggio ancora, il bagliore delle lame di affilatissimi pugnali, intinti in veleni per i quali non si conoscono antidoti. E in questi begli scenari vediamo strisciare, rasente i muri, ombre non identificabili, avvolte nel loro lucco rigorosamente nero. Oscar è maestro di queste scene, lo sappiamo: ricordo, per esempio, un inseguimento mozzafiato e poi la scena finale in “Eikones”; una processione ne “L’oro degli aranci” e un agguato ne “La ragazza dello scambio”.

 

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