Dov’è Bertuccio?
Si è mosso parecchio furtivo in Sarzana, ma amici lettori fidati ne hanno controllato le mosse.
In attesa di presentare il romanzo a Sarzana vi propongo le riflessioni di una appassionata lettrice, e anche presentatrice, delle gesta di Bertuccio. e' una prima stesura, la versione definitiva potrete sentirla dalla sua voce a Sarzana.
letto e commentato da
Carmen Claps
parte seconda
L’autore
ci regala, come sempre, tante di quelle che io chiamo digressioni perché al
momento non ho pronto un altro termine, ma definirle digressioni è
completamente errato. Mi spiego: la parola digressione è formata dal prefisso
negativo dis e dal verbo gradior, camminare; indica quindi una deviazione, un
uscire dal percorso prefissato, un andare fuori strada. Quelle di Oscar non
sono deviazioni, sviamenti dal percorso principale, cioè non sono aridi
riempitivi o borioso sfoggio di cultura quizzarola, ma sono assolutamente
funzionali all’economia del romanzo, vengono fuori nel modo più naturale, sono
trattate in maniera leggera e colloquiale, comprensibilissima; inoltre
stimolano ad approfondire quegli argomenti. Mi riferisco, per esempio, alle
note sull’aconito e la cantarella, sulle sfere armillari, sui catari. Come
vedete, Oscar si può permettere il lusso di spaziare un po’ in tutti i settori
del sapere.

Bertuccio,
il protagonista assoluto. Già nella prima pagina, nei primi periodi, Bertuccio
è presentato, anzi, si presenta nel modo più chiaro e completo nei lati più
importanti della sua personalità proprio in poche righe. E’ una specie di carta
di identità del suo carattere. Bertuccio ci fa capire che è in fuga dalla sua Montevarchi
per sottrarsi alle vendette di notabili, dei quali ha scoperto i classici
scheletri negli armadi, a causa della sua mania di “svelar misteri”. Ci dice
anche che è orgogliosissimo del suo mestiere, cosciente della sua abilità ma
anche del fatto che può ampliare le sue conoscenze. Conoscere, conoscere
qualsiasi cosa, è l’aspirazione e la gioia più grande del nostro, tanto che fa
dell’Ulisse dantesco il suo ideale di uomo e del “fatti non foste . . . “ il
suo manifesto. Inoltre attribuisce una grande, grandissima importanza
all’amicizia: è sempre in gruppo, anzi, a capo di un gruppo e anche nel suo
esilio volontario ha con sè tre amici fidati che, inutile dirlo, gli danno un
bell’aiuto nelle indagini, seguendo le sue indicazioni e i suoi ordini. Del resto,
anche gli altri due protagonisti di Oscar sono al centro di una corte
eterogenea e bizzarra. Poco più avanti, tra le righe, emerge un altro lato
fondamentale del suo carattere: il debole per il gentil sesso, attenzione
peraltro ricambiata. Guarda caso, il nostro, che a Montevarchi ha lasciato una
specie di fidanzata, Marta, in ogni sua avventura si trova ad aver a che fare
con avvenenti fanciulle e signore, che rimangono invariabilmente folgorate dal
suo modo di fare, a metà tra il timido, il misterioso, il candido, lo
scanzonato. Qui, in “Precaria Tempora”, vediamo Bertuccio vivere tra l’altro
una rovente notte d’amore: un brano veramente magistrale, perché assolutamente
alieno da toni volgari o pornografici o compiaciuti, che, del resto, non sono
nelle corde del nostro autore. Con grande eleganza, Oscar accenna, suggerisce,
lasciando lavorare la fantasia del lettore. In questo modo tratta, è
inevitabile, anche gli altri suoi due investigatori: vi ricordo una splendida
scena d’addio ne “La ragazza dello scambio”, di cui è protagonista Idamo e, per
quel che riguarda Corto, una nottata a metà tra il surreale e il sognato in
“Eikones”.
Chi
lo incontra rimane stupito dal fatto che un semplice fabbro sia così colto,
profondo nelle sue riflessioni e arguto. Per questo lo accompagna la solita
colonna sonora, quella domanda che ben conosciamo: “Mastro Bertuccio, siete sicuro
di voler fare solo il fabbro?”, posta, di volta in volta, con scherno,
ironia, rispetto o meraviglia. Bertuccio reagisce nello stesso tempo con
compiacimento e irritazione; comunque ci è talmente abituato che, talora,
riesce addirittura ad anticiparla.
In
questo romanzo Bertuccio è soggetto ad un’evoluzione, anzi ad un
approfondimento. Per arrivare a questo, bisogna prendere in esame il titolo del
libro, “Precaria Tempora”. L’aggettivo precarius deriva da prex, preghiera, e
sta ad indicare qualcosa che si è ottenuto con una richiesta e che durerà il
tempo che piacerà al concedente, quindi, necessariamente, qualcosa di
temporaneo. Ecco: l’aggettivo precario è il ritornello che ci accompagna per
tutto il corso della vicenda. Significativo il fatto che questo aggettivo
compaia esclusivamente sulla bocca di Bertuccio, attribuito a più sostantivi.
Intanto, i “tempora”. Proprio nelle note introduttive del suo manoscritto il
nostro sgombra subito il campo da ogni possibile equivoco e ci spiega come vede
il suo tempo in modo che più chiaro non si può. Poi, per tutto il corso della
vicenda, continua a puntualizzare che “precaria tempora currunt”. E se sono
precari i tempi, gioco forza, si sente precario anche lui. Bertuccio è il
rappresentante perfetto dell’uomo che vuole lasciarsi alle spalle il vecchio
con tutti i suoi lati negativi e conquistarsi il nuovo, avido com’è di fare
nuove conoscenze, sicuro che queste potranno migliorare il mondo. Ma è
altrettanto consapevole del fatto che il vecchio è duro a morire, troppi
interessi lottano per lasciare le cose così come stanno e che il nuovo è
ugualmente difficile da raggiungere. Quindi Bertuccio precario in un tempo
precario, di passaggio, ma precario anche nello spazio, visto che, ovunque
vada, non può fermarsi più di tanto perché, come afferma lucidamente lui
stesso, il suo vizio di svelar misteri gli provoca odi inveterati. Bertuccio è
perfettamente conscio di questa precarietà, precarietà del suo tempo in
generale e sua personale; come vi dicevo pocanzi, lo ribadisce continuamente,
di volta in volta con sfumature diverse: amarezza, rabbia, impotenza e perfino
malizia, perfettamente mascherata da rammarico, come quando si trincera dietro
questa sua precarietà (nella fattispecie esclusivamente economica) per
rifiutare in modo elegante le avances di una fanciulla bella, nobile,
intelligente e straordinariamente intraprendente per quei tempi. Ecco, la presa
di coscienza di questa precarietà è la nota nuova del nostro investigatore, che
lo rende straordinariamente moderno e tormentato. Del resto, anche gli altri
due investigatori di Oscar sono contraddistinti da profondi rovelli interiori,
quelli di Corto, lo skipper nostro contemporaneo, sono di natura esclusivamente
personale e privata. Idamo, invece, che si trova a vivere nel ventennio
fascista, deve fare i conti con la situazione socio politica e la sua
progressiva presa di coscienza di ciò che lo circonda.
Altro
grande tormento per Bertuccio le indagini, o meglio, il risultato delle
indagini. Ci arrivo tra un attimo ma prima sono necessarie due parole sul suo
modo di investigare. Intanto Bertuccio è assolutamente abusivo: gli chiedono
aiuto persone normali, anzi, popolani, accusati ingiustamente per coprire degli
intoccabili; sono dei poveracci che non possono, per la loro situazione sociale
ed economica, sperare in una giustizia giusta. Così il nostro deve indagare
nell’ombra (letterale e metaforica). Lo sappiamo, non è un investigatore
solitario, ma si avvale dell’aiuto di fidati collaboratori, che con lui
rischiano e sfidano il sistema. Ad ognuno di loro, a seconda delle rispettive
competenze e attitudini, affida, di volta in volta, i vari incarichi. Bertuccio
ha al suo fianco anche il comandante della guarnigione francese di Pietrasanta,
lo Chevalier di Balibari. Questo nome vi ha senz’altro evocato qualcosa, quindi
piccola parentesi riguardo ai nomi scelti da Oscar. Il nostro autore è sempre
attentissimo all’attribuzione dei nomi ai suoi personaggi, nomi che non sono
mai banali o casuali. Possono alludere all’aspetto fisico, psicologico,
all’attività, oppure possono evocare riferimenti letterali, storici, artistici.
Oltre a lo Chevalier, in “Precaria Tempora”, incontriamo una gustosa figuretta,
una governante di nome Filippa, chiamata sempre e soltanto Pippa. Vi viene in
mente nessuno? Guarda caso, la nostra governante è dotata di uno smisurato lato
B e in una certa circostanza dà un bell’aiuto a Bertuccio a poderosi colpi di
chiappe. Vi ho parlato poi di Maddalena, una delle vittime. Veniamo a sapere
che arrotonda i magri introiti della sua taverna con certi traffici ed ha certi
trascorsi. Ora, dai tempi del Vangelo, Maddalena è sinonimo di donna con una certa
condotta di vita. Poi c’è Pietro, un garzone della taverna, che apre a
Bertuccio le porte non del Paradiso, ma di una cantina dove il nostro trova un
pezzetto di Inferno. Chiusa parentesi.