mercoledì 31 luglio 2013

Inconfessabilmente (16)

Oscar  Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi 


Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria  follia
(giorno 16)
 
 
Venerdì16
Una relazione complicata

Vivo da single nel Marais a Parigi. Se stessi a Camaiore o a Fiano romano direbbero che sono una zittella o, guardandomi di traverso,  anche peggio. A cento metri da Place des Vosges, single significa che mangio spesso pesce fresco e  sono pronta per formare una coppia quando voglio io. La vita di coppia, però, non sempre è piacevole; a volte diventa terribilmente complicata. Il problema allora è sganciarsi: a volte se ne vanno da soli, altre è una faccenda complicata, appunto.
Lo conobbi a una festa di amici. Sensibile, delicato, colto, belloccio, solo un po’ più grande di me. D’età intendo.
Cominciai ad avere dubbi quando lasciò in bagno il pennello, il sapone da barba e il rasoio: "Mette  radici?". Qualche giorno dopo il dentifricio e lo spazzolino, con quelle setole spampanate mi faceva anche un po’ recere. Poi lasciò le ciabatte di pile e tempo dopo tre orribili cravatte.
Per ultimo il pigiama. A fine ottobre, si andava ancora  a letto tutti nudi; dopo lui si metteva il pigiama, di lanetta. Non so di che utilità fosse per la sinusite, ma il mio naso è a posto.
Una sera piovosa sono tornata che aveva apparecchiato con sushi e  sashini. Mi salutò con un bacio sulla guancia: “Ho acceso il caminetto!”. Faceva ancora caldo, ma se a lui serviva per “scaldarsi”... Perplessa andai in salotto. Capii subito che era una relazione davvero complicata: quel pigiama di peloncino, steso sulla spalliera di una sedia, a scaldare davanti al fuoco, mi aveva raggelato.
Mi spogliai; dall’armadio presi le sue cravatte e tornai in cucina. Lo legai alla sedia, gli piaceva un po’ di sado maso. Quando si eccitava respirava con la bocca: afferrai il tubetto di Wasabi, quella forte, e gliela spremetti dentro. Tre minuti dopo un attacco d’asma l’aveva stroncato.
Il medico commentò: “Shoch anafilattico da rafano giapponese! Mai capitato... ma se lo chiamano namida, lacrime, qualcosa vorrà dire!".
Ora sono di nuovo single, devo ricomprare un altro tubetto grande di Wasabi. Ah, anche un pigiama da uomo, di seta.

martedì 30 luglio 2013

Inconfessabilmente (15)

Oscar  Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi 


Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria  follia
(giorno 15)
 

Giovedì 15

Sembrava Halloween(*)
 
 
L’ultimo treno passava alle 23.51, ma, a volte, aveva qualche minuto di ritardo. “Mamma sei anziana, è pericoloso!” Ogni volta mia figlia si ripeteva.  Aveva ragione, in stazione non dovrei  starci.  Le sembro indifesa e  facile preda di malintenzionati, lì ad aspettare il treno per tornare a casa. Ma come fare?  Poverina; finito il turno in ospedale, è sempre tanto stanca. Vede tutto nero e poi deve   mettere a letto il piccolo.
C'era una cosa che lei non sapeva, un segreto.  Con l'arte imparata dalla nonna, massaia del Donegal, passavo il tempo senza problemi. Mi mettevo li, sulla panchina del binario n.3 e, maglia dopo maglia, portavo avanti il centrotavola per l’apparecchiatura di Natale,   il regalo a sorpresa. Alla mia bambina, le sarebbe piaciuto, e anche a mio genero...
"Mi dai un euro? C’ho sete!" Oddio! Mi aveva fatto paura! Apparso dal nulla, vestito di nero  -  o era sporco? -  con la barba incolta.  Mi parlava sul viso con rigurgiti acidi di botte e sbuffi di grappa!
"No, non ho niente". Cercai di voltarmi dall’altra parte.
Biascicava strane parole, sputacchiando e lanciando occhiate alla mia borsa aperta sulla panchina. La chiusi, mi poteva sporcare il filato fatto venire apposta da Dublino. Rise sguaiato, contento di avermi reso inquieta. 
"Ho detto che non ce l’ho!" Lui accennò una mossa di danza. Ora intendevo le sue parole: “Abra cadabra… hocus focus…”. Con una goffa giravolta si fece di nuovo sotto, dall’altra parte, a venti centimetri dal mio viso: “Scherzetto o  cicchetto!” Si avvicinò ancora di più, sibilando in modo osceno un “Sim salabim …”   
Si accasciò con un rantolo. Raccolsi svelta la mia roba e cambiai panchina…
Invece dell’euro gli avevo regalato l’uncinetto della nonna. Luccicava sotto la luna, quell’arpione d’acciaio conficcato nella carotide... L’ho infilzato perché non mi si deve toccare  mago Silvan. Sì, apprezzo le streghe d'Irlanda, ma  lui col suo modo gentile, ha sempre divertito mia figlia, la mia bambina.
La mezzanotte era ormai passata da tre minuti. Mentre aspettavo il treno, ancora una volta in ritardo, mi annoiavo. “Peccato - pensai - perdo tempo, sto in mezzo ai pericoli e… rimango indietro col centrotavola!”
 
(*) Rielaborato da uno spunto prezioso di Cassiopea, questo il nick di un’amica di anobii nel 2010, il sito dei libri che or sta languendo.
 

 

sabato 27 luglio 2013

Linus è di nuovo tra noi!

LINUS CONTINUA ... per ora.
 
L'editore ha mantenuto la promessa: a luglio è di nuovo uscita la rivista. Questa la copertina.
 
 
 
 
Niente è cambiato. Si vede che tre mesi di riflessione sono pochi. Ho il timore che sia una mossa per prendere tempo, un arrocco. La rivista langue da anni nella scelta degli autori: perché nessun giapponese? Perché nessun italiano? (Parlo di autori, non di braccia rubate all'agricoltura). C'è anche troppa politica di pseudosinistra, spesso risaputa e scontata con un sacco di luoghi comuni: minestre riscaldate. I fumetti, d'autore, dovrebbero aver più spazio (come nei gloriosi anni '60 e '70) e i predicozzi dogmatici meno. Anche la satira è parecchio da "catena di montaggio", se davvero si vuole farla, ci s'ispiri al mitico Il Male! Speriamo che in futuro, se ci sarà, migliori! Per ora mi dichiaro molto contento di averla in mano, poi approfitterò delle linee dirette con gli autori per critiche costruttive.




venerdì 26 luglio 2013

Inconfessabilmente (14)


Oscar  Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi 

Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria  follia
(giorno 14)



Mercoledì 14
Surgelati freschi

Avevo imparato da mia madre a preparare la carne surgelata. Da mio padre, invece a tagliare le bestie a modo. Avevano una macelleria,  io davo una mano. Con l’apertura del Centro Commerciale dovettero chiudere. Mi è restata solo l’arte che pratico nella macelleria dell’Ipermacello. A volte può capitare di usarla anche a casa.
Mentre, pezzo dopo pezzo, lo involtavo in fogli di polietilene, ripensavo alla nostra relazione.
Come amante era quasi perfetto, solo un po’ rozzo: non gli piacevano le coccole. Né prima, né dopo.
Sapeva cucinare, però: spesso voleva farlo lui. Sapori semplici, non da cordon bleu, da osteria di campagna. Molto appetitosi e non tollerava che rimanesse qualcosa nel vassoio: mi aveva fatto ingrassare di tre chili.
Devo dire che il giardino lo teneva proprio a modino. Erba rasata all’inglese e arbusti in ordine, un po’ troppo. Le potature li avevano fatti diventare nani, quasi dei bonsai.
Un uomo ordinato anche se, ma è cosa comune, in bagno non si ricordava mai di alzare la ciambella. Toccava sempre a me, col lemon fresh, togliere il cattivo odore.
Di buona compagnia; mentre si passeggiava nel verde  non faceva che raccontare storie. Un po’ trucide, ma interessanti. Era un piacere camminargli accanto: così preciso e a posto. Elegante: almeno cercava, pur vestendo casual.
L’avevo fatto venire a stare con me, nella casa dei miei genitori, per tutte queste buone qualità.
Presto mi mostrò che sapeva anche stirare. Magico con le camicie ed anche con la piega dei pantaloni. Non sapevo, però, di un suo gusto orribile: lo scoprii all’improvviso. Indossava i suoi Levi's e mi mostrò orgoglioso una stiratura “con piega perfetta” ai miei jeans. Dal cassetto della dispensa tirai fuori un coltello di mio padre. L’ho fatto a pezzi nella vasca da bagno, mentre lo colpivo ringhiavo:   “Passi per i tuoi  Levi's, ma i miei Roy Rogers!" Sono stanca;  appena finito di sistemare il freeser devo anche stirarmi i pantaloni.
 

 

giovedì 25 luglio 2013

Suspense domestica (I)


Il thriller coniugale

Quando la moglie è troppo ricca …



Un inquietante bicchiere di latte

Parte I

I film, quelli capolavoro, lasciano scolpita la nostra memoria: lui sale lentamente, ma con passo deciso, le scale. La zona è immersa nella penombra, ombre scandite, traverse e contrastate; ispirate all’espressionismo tedesco. Lui, il marito, ha in mano un vassoio: sopra un bicchiere di latte, misteriosamente opalino, destinato alla moglie. E’ una delle scene più famose e inquietanti del cinema. Alfred Hitchcock aveva avuto la trovata geniale: una lampadina dentro il bicchiere! Quel bicchiere ammiccante era il calice della suspense, in un thriller coniugale la tensione toccava un culmine mai più raggiunto.



Oggi si parla tanto (i dati sono tragici) di femminicidio, ma non dovete credere che qui io  voglia fare delle retro riflessioni. Il fenomeno odierno è lontanissimo dai meccanismi narrativi del thriller coniugale di cui voglio parlare. Cerchiamo di chiarire. Thriller è una storia (nel nostro caso un film) dove una vittima inconsapevole si trova a vivere momenti di forte tensione dovuti a un pericolo di morte incombente. A questo punto riferiamoci alla triade del delitto, più volte usata (vedi grafico). C’è una moglie giovane e ricca. Quando la minaccia (vera o presunta) viene dal marito (ovviamente  l’ha sposata per interesse o è subentrato un forte interesse), siamo nel thriller coniugale. Un altro ingrediente importante è l’amico di lei, che l’ama in silenzio, per almeno la metà del film, ma poi la salva. Sì, il lieto fine è assicurato! 

Altro elemento che gioca un ruolo importante è il modo con cui il marito cerca di liberarsi della moglie. Per lui è doppiamente importante non farsene accorgere: impunità ed eredità. L'ideale sarebbe un Delitto perfetto, come aveva capito  Alfred Hitchcock!
I modi si evolvono seguendo usi e costumi dell'epoca in cui si cerca di consumare il delitto. In età vittoriana si cercava di mandare la moglie in manicomio, o comunque farla uscire pazza per ingabbiarla in una camicia di forza, anche semplicemente metaforica: una dominanza psicologica!
Poi droghe o veleni somministrati in dose mitridatica con l'aiuto di liquidi d'aspetto rassicurante. Infine un killer, distraendo o confondendo la moglie col telefono!
Tutti modi che sono potenziali generatori di tensione, certo perché la suspense è l'elemento base di un thriller, dove la minaccia è focalizzata sulla vittima ignara.

Per chi non lo sapesse il termine “thriller” prende vita proprio da queste trame, per estendersi poi anche ad altre situazioni, ma con meno tensione e partecipazione emotiva dello spettatore. L’aggettivo “coniugale” l’ha aggiunto di recente qualche sciagurato classificatore!

Zio Alfred iniziò con scene geniali, Fornì a se stesso e ai suoi imitatori i tasselli, Cukor, anche lui genio, li ricompose e lo portò alla perfezione completa. Vediamo come. Secondo il mio “modo leggero da blog” non farò recensioni o trattati, solo una breve rassegna emotiva.
Mi interessa però andare a scovare le origini letterarie di questi film, non dimentichiamoci che prima di essere scrittore, sono un lettore!



Rebecca (Rebecca) (1940)





A Monte Carlo una giovane dama di compagnia conosce e sposa il ricco e aristocratico Massimo de Winter. Massimo è vedovo della prima moglie, Rebecca, con cui ha vissuto nel castello di Manderley, in Inghilterra.
Nel castello però, la signora Danvers, la governante, nutre ancora un'ammirazione incondizionata nei confronti della precedente padrona e il ricordo ossessionante di lei conduce la nuova moglie alla gelosia e all'esasperazione.


Anche oltre ... Chi meglio di una lucida pazza può portare alla pazzia? La governante ne è un esempio terribile. Questi sono i primi tasselli del puzzle.




Fonte letterari nota e famosa: il romanzo omonimo di Daphne du Maurier.








La giovane aristocratica inglese Lina Mackinlaw sposa, contro il volere dei genitori, John Aysgarth, un playboy che vive di espedienti. Ma dopo il matrimonio Lina matura il sospetto che John sia un assassino e che voglia ucciderla per intascare l'assicurazione. A differenza dal romanzo il film ha un lieto fine: si scopre infatti che John non aveva mai tentato di uccidere la moglie …




La scena più famosa è quella del bicchiere di latte: una minaccia apparentemente innocua.

In questo primo thriller non c’è ancora l’amico. Nel romanzo c’era, anche se era una donna, una scrittrice di gialli che s'insospettisce e si precipita, ma arriva troppo tardi. Hitchcock si dovette piegare a un commerciale happy end!


Origine letteraria: il romanzo Before the Fact di Anthony Berkeley Cox, scritto e pubblicato nel 1932 sotto lo pseudonimo di Francis Iles.
Come si può notare la copertina è stata disegnata dopo il successo del film! Ma può anche succedere di peggio, scrivere tutto il romanzo, dopo un film! Lo vedremo nella terza parte!
(I-segue)

mercoledì 24 luglio 2013

Inconfessabilmente (13)


Oscar  Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi 

Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria  follia
(giorno 13)
 
 
 
 Martedì 13
Il compagno di scuola
 Non lo vedevo da anni, ma non desideravo incontrarlo. Pescavo nella piana dell’albereta, quando mi abbracciò. “Ti ho riconosciuto subito, da lontano.” Lui è sempre il più bravo.  Io,   troppo attento al galleggiante, non mi ero accorto; se no mi sarei acquattato dietro un cespuglio. Dieci anni prima la moglie aveva ereditato una villetta sui colli. Ci s’era trasferito, per la gioia di tutti.
Cominciò da quella: “Panoramica, spaziosa, luminosa, con un giardino grande…” Il mio appartamento era con vista palazzo di fronte, piccolo, poca luce e un terrazzino con due vasi di gerani.
Due giorni dopo il figlio: ”Una testa d’uovo, ci ha messo poco a diventare un pezzo grosso in banca.” Il mio è una gran testa di cazzo e ci ha messo poco a farsi licenziare dalla cooperativa.
Qualche giorno dopo toccò alla moglie, invalida in carrozzina: “Era bella, colta, simpatica, soprattutto ricca…” La mia, pace all’anima sua, era bruttina, solo le medie, scorbutica e senza una lira; senza neppure la dote, per la verità.
Passava un giorno sì e uno no. Seppi presto il perché: il mio compagno di scuola era logorroico. Si  mise anche a raccontare le sue avventure erotiche con la badante ucraina, mentre la moglie era parcheggiata in giardino: “Una pasticca e  me la fo’ tre volte. Poi mi devo riposare, sulla sdraio a leggere. Senza esagerare, un giorno sì e  uno no. La domenica no,  porto la moglie a messa.” Io non uso pasticche né celesti, né rosa; non conosco badanti, né rumene né ucraine e… quando lo facevo spesso, mi toccava solo di domenica.
Lo affogai in Arno, tenendogli giù il capo mentre gorgogliava nella mota. Non si parcheggia la moglie paralitica in giardino per fare un viagra party. Dopo tanti anni ricordavo bene quella donna dolcissima.  Una volta, solo una, proprio di domenica mentre lui era allo stadio, era stata parecchio gentile con me.
 

domenica 21 luglio 2013

Lanterna gialla (60)

Film n.  60




Sleep my Love ( Donne e veleni )
di Douglas Sirk
con   Claudette Colbert, Robert Cummings, Don Ameche
All’ombra dell’ipnosi
Ad Allison, giovane e ricca signora, succedono cose parecchi strane. Si sveglia agitatissima nel vagone-letto di un treno in arrivo a Boston. Non sa come vi sia capitata: ricorda solo di essersi addormentata la sera prima nella sua casa di New York. Rientrata a casa trova che suo marito Richard è ferito leggermente al braccio destro da un colpo di rivoltella e, nella sua borsetta, ritrova la rivoltella del marito. Allison è spaventata, da tempo Richard le ha fatto credere di essere soggetta a crisi di sonnambulismo o di pazzia, ma la verità è un'altra:  una droga, che la mette in una specie di soggezione ipnotica …
Thriller coniugale con un buon avvio, ma con un finale “sistema tutto” un po’ raffazzonato. Sulla scia del successo di “Il sospetto” e “Angoscia” Douglas Sirk ci mette troppi ingredienti e alla fine non tutto si amalgama. Qualche grumo resta. Ad esempio lo psico sicario occhialuto appare troppo nevrotico e incomprensibilmente maltrattato dalla “bellona”. Ma anche lei,   la dark lady, è bella di corpo, ma  troppo imponente e poco ambigua: un manichino ingombrante. La scena del latte architettata da Hitchcock è più raffinata e tesa di almeno mille miglia rispetto alla cioccolata drogata da un impacciato marito, bello sì, ma Don Ameche non è Gary Grant!
In termini di struttura narrativa il gioco, secondo me, si scopre troppo alla svelta. Dopo una mezzora si passa dal punto di vista angosciato della vittima potenziale a quello necessariamente più freddo dello spettatore: in tal modo la suspense s’ammoscia on tantino. 
Ci sarebbe dovuta essere una dark lady, ma Daphne, pur imponente e di coscia lunga ha la stessa ghigna di una contadinotta che ti vuol imbrogliare sul prezzso della lattuga venduta lungo la famosa statale 66.
Resta una perfetta ambientazione newyorkese anni trenta, una recitazione impeccabile dei due protagonisti, una casa labirintica dove il cattivo si può nascondere non si sa dove ma ovunque ("samewhere in nowhere"!), una scala poligonale (anche se non a chiocciola!) angosciante e così alta che se caschi ci crepi. Anche una bella fotografia e alcune scene ambigue, ma manca il tocco di Alfred,  “nessuno è perfetto”!
Voto ***1/2/5

giovedì 18 luglio 2013

Bertuccio visto da una signora di Sarzana (III)

Dov’è Bertuccio?
Si è mosso parecchio furtivo in Sarzana, ma amici lettori fidati ne hanno controllato le mosse.
In attesa di presentare il romanzo a Sarzana vi propongo le riflessioni di una appassionata lettrice, e anche presentatrice, delle gesta di Bertuccio. e' una prima stesura, la versione definitiva potrete sentirla dalla sua voce a Sarzana.
letto e commentato da
Carmen Claps
parte terza
 
Torniamo allo Chevalier. Lo conosciamo rude uomo d’armi. Ebbene, in “Precaria Tempora”, abbiamo una grande sorpresa: si rivela un abile diplomatico, naturalmente su suggerimento, sostegno e ispirazione di Bertuccio. Si, perché il nostro fabbro, nel corso delle indagini, ha alcuni colloqui, fondamentali, ai quali si porta dietro lo Chevalier, ma sarebbe più esatto dire davanti, perché Bertuccio organizza tutto in modo che, per non scoprire le proprie intenzioni, all’inizio a esporsi sia proprio il francese, pronto a cogliere ogni input del fabbro, che fa la parte di un timido accompagnatore, salvo poi venire fuori, quasi senza parere. Lo Chevalier è abilissimo anche in quelli che Bertuccio chiama “colpi di teatro”, cioè vere e proprie messe in scena.
 

Un bell’aiuto a Bertuccio lo da la guest star del romanzo. Chi conosce le precedenti avventure del protagonista sa che gli capita sempre di incontrare personalità del mondo dell’arte, della scienza, della cultura in generale, che, più o meno consapevolmente, finiscono con l’aiutarlo nelle sue inchieste. Tanto per fare qualche nome, ricordo Filippino Lippi, Ludovico Ariosto, Michelangelo, Machiavelli . . . Per la maggior parte queste personalità, quando le incontra Bertuccio, sono ancora in formazione, “saranno famosi”. In modo molto malizioso e intelligente l’autore ce li descrive che già hanno in embrione i loro grandi progetti, magari senza rendersene conto. Oscar ne omette quasi sempre il cognome, del resto non sono ancora nessuno . . . Qualcuno, invece, è già un grande, per esempio Leonardo, protagonista di un episodio memorabile, Marsilio Ficino, il Sangallo. L’autore ce li presenta in modo molto intrigante: capiamo subito, chissà perché, che quello che sta entrando in scena non è uno qualsiasi. E comincia a fornirci indizi e dettagli come tessere di un mosaico; ne nasce quasi un gioco, un indovinello, una caccia non al tesoro, ma al personaggio. La presenza di questi personaggi in quei luoghi a quelle date non è storicamente documentata, ma è storicamente accertato che avrebbero potuto esserci.
 

Naturalmente anche in questa sua avventura Bertuccio incontra qualcuno che diventerà non importante, ma addirittura fondamentale per l’umanità Nicolò Copernico. Per una curiosa combinazione a un Nicolò ne subentra un altro. Infatti il giovane Machiavelli si è appena congedato da Bertuccio e la sua corte ai piedi della rocca dei Malaspina e subito ecco Copernico. Sarà solo un caso, visto che anche il nonno di Bertuccio, figura per lui fondamentale, si chiamava Nicolò? Copernico è ancora un giovane studente; leggetevi l’efficacissimo ritratto fisico, che, come sempre, nel nostro autore finisce per essere un ritratto psicologico. Copernico si rivela già innamoratissimo ed espertissimo delle stelle, oltre che dal punto di vista squisitamente scientifico anche da quello mitologico e letterario. Il nostro ha già elaborato la sua rivoluzionaria teoria eliocentrica e questo è per lui croce e delizia, perché è perfettamente consapevole del fatto che divulgarla è rischiosissimo: una tale costruzione infatti va a scardinare sistemi millenari intoccabili.
 

Bertuccio lega quasi subito con quello strano studente aspirante prelato, così acuto, così prudente e riservato e, man mano che la conoscenza e la confidenza tra i due si approfondiscono, il legame si rafforza. Qui c’è un altro aspetto fondamentale del romanzo, mi spiego. Naturalmente Bertuccio riesce a scoprire la verità su quelle tre morti, ma, come sempre nelle sue indagini, è una verità che non può essere resa pubblica, prima di tutto perché la responsabilità dei tre omicidi ricade su alte, altissime personalità e poi per la gravità del movente. Così viene ufficializzata una verità di comodo, che sfiora soltanto la verità vera e, di conseguenza, anche la pena comminata sarà assolutamente sproporzionata (in difetto, intendo) e ridicola. Per questo, Bertuccio confessa di doversi turare il naso, di dover sopportare una nausea indicibile, di vergognarsi di se stesso per essere andato contro i suoi principi e la sua natura. Comunque ammette che il suo tormento è nulla in confronto a quello del suo amico astronomo: lui deve tacere una verità di interesse assai circoscritto, una verità hic et nunc. Nicolò, invece, come abbiamo detto, ha scoperto una verità di portata cosmica, tanto rivoluzionaria che teme dovranno passare almeno due o tre papi perché possa essere accettata. Molto ottimista! Sappiamo bene, infatti, che perché la Chiesa la accolga e porga le sue scuse ufficiali a un certo Galileo ci vorrà, che combinazione, un polacco che lo riabiliterà nel 1992, a 359 anni dalla condanna.
Fantasia sfrenata, storia, riflessioni: nel romanzo c’è proprio di tutto, quindi può accontentare ogni tipo di lettore.
(fine) 
 
Carmen Claps
 

lunedì 15 luglio 2013

Bertuccio visto da una signora di Sarzana (II)

Dov’è Bertuccio?
Si è mosso parecchio furtivo in Sarzana, ma amici lettori fidati ne hanno controllato le mosse.
In attesa di presentare il romanzo a Sarzana vi propongo le riflessioni di una appassionata lettrice, e anche presentatrice, delle gesta di Bertuccio. e' una prima stesura, la versione definitiva potrete sentirla dalla sua voce a Sarzana.
letto e commentato da
Carmen Claps

parte seconda
 
 
L’autore ci regala, come sempre, tante di quelle che io chiamo digressioni perché al momento non ho pronto un altro termine, ma definirle digressioni è completamente errato. Mi spiego: la parola digressione è formata dal prefisso negativo dis e dal verbo gradior, camminare; indica quindi una deviazione, un uscire dal percorso prefissato, un andare fuori strada. Quelle di Oscar non sono deviazioni, sviamenti dal percorso principale, cioè non sono aridi riempitivi o borioso sfoggio di cultura quizzarola, ma sono assolutamente funzionali all’economia del romanzo, vengono fuori nel modo più naturale, sono trattate in maniera leggera e colloquiale, comprensibilissima; inoltre stimolano ad approfondire quegli argomenti. Mi riferisco, per esempio, alle note sull’aconito e la cantarella, sulle sfere armillari, sui catari. Come vedete, Oscar si può permettere il lusso di spaziare un po’ in tutti i settori del sapere.
 


Bertuccio, il protagonista assoluto. Già nella prima pagina, nei primi periodi, Bertuccio è presentato, anzi, si presenta nel modo più chiaro e completo nei lati più importanti della sua personalità proprio in poche righe. E’ una specie di carta di identità del suo carattere. Bertuccio ci fa capire che è in fuga dalla sua Montevarchi per sottrarsi alle vendette di notabili, dei quali ha scoperto i classici scheletri negli armadi, a causa della sua mania di “svelar misteri”. Ci dice anche che è orgogliosissimo del suo mestiere, cosciente della sua abilità ma anche del fatto che può ampliare le sue conoscenze. Conoscere, conoscere qualsiasi cosa, è l’aspirazione e la gioia più grande del nostro, tanto che fa dell’Ulisse dantesco il suo ideale di uomo e del “fatti non foste . . . “ il suo manifesto. Inoltre attribuisce una grande, grandissima importanza all’amicizia: è sempre in gruppo, anzi, a capo di un gruppo e anche nel suo esilio volontario ha con sè tre amici fidati che, inutile dirlo, gli danno un bell’aiuto nelle indagini, seguendo le sue indicazioni e i suoi ordini. Del resto, anche gli altri due protagonisti di Oscar sono al centro di una corte eterogenea e bizzarra. Poco più avanti, tra le righe, emerge un altro lato fondamentale del suo carattere: il debole per il gentil sesso, attenzione peraltro ricambiata. Guarda caso, il nostro, che a Montevarchi ha lasciato una specie di fidanzata, Marta, in ogni sua avventura si trova ad aver a che fare con avvenenti fanciulle e signore, che rimangono invariabilmente folgorate dal suo modo di fare, a metà tra il timido, il misterioso, il candido, lo scanzonato. Qui, in “Precaria Tempora”, vediamo Bertuccio vivere tra l’altro una rovente notte d’amore: un brano veramente magistrale, perché assolutamente alieno da toni volgari o pornografici o compiaciuti, che, del resto, non sono nelle corde del nostro autore. Con grande eleganza, Oscar accenna, suggerisce, lasciando lavorare la fantasia del lettore. In questo modo tratta, è inevitabile, anche gli altri suoi due investigatori: vi ricordo una splendida scena d’addio ne “La ragazza dello scambio”, di cui è protagonista Idamo e, per quel che riguarda Corto, una nottata a metà tra il surreale e il sognato in “Eikones”.
Chi lo incontra rimane stupito dal fatto che un semplice fabbro sia così colto, profondo nelle sue riflessioni e arguto. Per questo lo accompagna la solita colonna sonora, quella domanda che ben conosciamo: “Mastro Bertuccio, siete sicuro di voler fare solo il fabbro?”, posta, di volta in volta, con scherno, ironia, rispetto o meraviglia. Bertuccio reagisce nello stesso tempo con compiacimento e irritazione; comunque ci è talmente abituato che, talora, riesce addirittura ad anticiparla.
 

In questo romanzo Bertuccio è soggetto ad un’evoluzione, anzi ad un approfondimento. Per arrivare a questo, bisogna prendere in esame il titolo del libro, “Precaria Tempora”. L’aggettivo precarius deriva da prex, preghiera, e sta ad indicare qualcosa che si è ottenuto con una richiesta e che durerà il tempo che piacerà al concedente, quindi, necessariamente, qualcosa di temporaneo. Ecco: l’aggettivo precario è il ritornello che ci accompagna per tutto il corso della vicenda. Significativo il fatto che questo aggettivo compaia esclusivamente sulla bocca di Bertuccio, attribuito a più sostantivi. Intanto, i “tempora”. Proprio nelle note introduttive del suo manoscritto il nostro sgombra subito il campo da ogni possibile equivoco e ci spiega come vede il suo tempo in modo che più chiaro non si può. Poi, per tutto il corso della vicenda, continua a puntualizzare che “precaria tempora currunt”. E se sono precari i tempi, gioco forza, si sente precario anche lui. Bertuccio è il rappresentante perfetto dell’uomo che vuole lasciarsi alle spalle il vecchio con tutti i suoi lati negativi e conquistarsi il nuovo, avido com’è di fare nuove conoscenze, sicuro che queste potranno migliorare il mondo. Ma è altrettanto consapevole del fatto che il vecchio è duro a morire, troppi interessi lottano per lasciare le cose così come stanno e che il nuovo è ugualmente difficile da raggiungere. Quindi Bertuccio precario in un tempo precario, di passaggio, ma precario anche nello spazio, visto che, ovunque vada, non può fermarsi più di tanto perché, come afferma lucidamente lui stesso, il suo vizio di svelar misteri gli provoca odi inveterati. Bertuccio è perfettamente conscio di questa precarietà, precarietà del suo tempo in generale e sua personale; come vi dicevo pocanzi, lo ribadisce continuamente, di volta in volta con sfumature diverse: amarezza, rabbia, impotenza e perfino malizia, perfettamente mascherata da rammarico, come quando si trincera dietro questa sua precarietà (nella fattispecie esclusivamente economica) per rifiutare in modo elegante le avances di una fanciulla bella, nobile, intelligente e straordinariamente intraprendente per quei tempi. Ecco, la presa di coscienza di questa precarietà è la nota nuova del nostro investigatore, che lo rende straordinariamente moderno e tormentato. Del resto, anche gli altri due investigatori di Oscar sono contraddistinti da profondi rovelli interiori, quelli di Corto, lo skipper nostro contemporaneo, sono di natura esclusivamente personale e privata. Idamo, invece, che si trova a vivere nel ventennio fascista, deve fare i conti con la situazione socio politica e la sua progressiva presa di coscienza di ciò che lo circonda.
Altro grande tormento per Bertuccio le indagini, o meglio, il risultato delle indagini. Ci arrivo tra un attimo ma prima sono necessarie due parole sul suo modo di investigare. Intanto Bertuccio è assolutamente abusivo: gli chiedono aiuto persone normali, anzi, popolani, accusati ingiustamente per coprire degli intoccabili; sono dei poveracci che non possono, per la loro situazione sociale ed economica, sperare in una giustizia giusta. Così il nostro deve indagare nell’ombra (letterale e metaforica). Lo sappiamo, non è un investigatore solitario, ma si avvale dell’aiuto di fidati collaboratori, che con lui rischiano e sfidano il sistema. Ad ognuno di loro, a seconda delle rispettive competenze e attitudini, affida, di volta in volta, i vari incarichi. Bertuccio ha al suo fianco anche il comandante della guarnigione francese di Pietrasanta, lo Chevalier di Balibari. Questo nome vi ha senz’altro evocato qualcosa, quindi piccola parentesi riguardo ai nomi scelti da Oscar. Il nostro autore è sempre attentissimo all’attribuzione dei nomi ai suoi personaggi, nomi che non sono mai banali o casuali. Possono alludere all’aspetto fisico, psicologico, all’attività, oppure possono evocare riferimenti letterali, storici, artistici. Oltre a lo Chevalier, in “Precaria Tempora”, incontriamo una gustosa figuretta, una governante di nome Filippa, chiamata sempre e soltanto Pippa. Vi viene in mente nessuno? Guarda caso, la nostra governante è dotata di uno smisurato lato B e in una certa circostanza dà un bell’aiuto a Bertuccio a poderosi colpi di chiappe. Vi ho parlato poi di Maddalena, una delle vittime. Veniamo a sapere che arrotonda i magri introiti della sua taverna con certi traffici ed ha certi trascorsi. Ora, dai tempi del Vangelo, Maddalena è sinonimo di donna con una certa condotta di vita. Poi c’è Pietro, un garzone della taverna, che apre a Bertuccio le porte non del Paradiso, ma di una cantina dove il nostro trova un pezzetto di Inferno. Chiusa parentesi.