giovedì 7 marzo 2013

Antichi delitti (II)



Le armi assassine del ‘400
 
(parte II: le armi da getto)

Uccidere a distanza era certo preferibile. Vedere  la propria vittima vomitare schiuma non era bello spettacolo. Per agire a debita lontananza i mezzi (a parte assoldare un sicario fidato) non erano molti erano due: la balestra o l’archibugio. No, l’arco no! Scomodo e impreciso, mica tutti erano abili come Robin Hood!


Balestra a martinetto
La Balestra a leva, arma di rilievo nella sua categoria, è forse una delle balestre con gittata più lunga, superata solo dalla balestra da posta, migliore però essendo più leggera e facilmente trasportabile. Usabile anche da cavallo.
Appare alla vista come una normale balestra: il teniere è in legno di Ciliegio, il più usato nel campo della creazione di armi da lancio, spesso e longilineo, lievemente più pesante rispetto a una balestra a mano, ed è decorato da piccoli motivetti floreali sui fianchi, rendendo piacevole la balestra anche alla vista. La noce è ben fissata al meccanismo di scocco, attentamente testata e migliorata in prontezza; la staffa, forgiata dalla sapienza dei Mastri Fabbri come ogni altro oggetto metallico utilizzato, è lievemente più piccola, essendo non fondamentale nel caricamento.

Il caricamento, è l’innovazione dell’arma: l’archetto, molto più rigido e spesso, non permette all’arciere di tirare a se la corda, con un diametro di quasi due millimetri e mezzo, per farla passare nella noce: allora vi si aggancia il martinetto.
Esso è composto da una cremagliera (metallica, con superficie dentellata), una manovella per tirare quest’ultima, un cappio per fissare il tutto, ed un gancio per fissare la dentellatura alla corda. Facendo girare la manovella, la cremagliera si tira verso l’arciere, tirando con essa la corda, fino al noce. Sfilando poi il cappio dal teniere, si fissa la corda al noce, e si è pronti allo scocco. Questa è l’unica pecca di quest’arma, che impiega un notevole tempo per il caricamento.


Archibugio
L'archibugio può essere considerata la prima vera arma da fuoco portatile capace di garantire una certa precisione nel tiro. Evoluzione del più primitivo e pericoloso scoppietto, anche noto come "cannone a mano" (handgun in lingua inglese), l'archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile quale oggi lo conosciamo.

Arma ad avancarica, a canna liscia, di calibro compreso tra i 15 ed i 18 mm, l'archibugio aveva una gittata utile limitata a circa 50 m a causa dei rimbalzi che il proiettile subiva contro le pareti della canna liscia e che imprimevano a quest'ultimo una traiettoria piuttosto erratica.
Il termine "archibugio" (hacquebuche in lingua francese), intrusione delle parole "arco" e "buco", deriverebbe dal vocabolo in lingua olandese hake-bus ("scatola con uncino").
Come sistema di accensione ha un  meccanismo a miccia: sul lato destro dell'arma si trovava la piastra di sparo dove alloggiava il meccanismo formato da uno scodellino (una sorta di piccolo imbuto metallico comunicante con la culatta della canna) e da una serpentina (una sorta di uncino metallico che sosteneva la miccia a lenta combustione) chiamata così per via della forma a serpente (non di rado la serpentina era decorata per ricordare la testa di un serpente o di un drago).

(II-segue)

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