giovedì 5 marzo 2015

Romanzi in B&N (11)


Romanzi in B&W
influenze della letteratura americana
sui film noir anni '40

Parte XI

Gli altri, kamaraden e fellow ... prima e dopo

Di film tratti da romanzi o racconti di Raymond Chandler ce ne sono altri, ma basterà menzionarli, non hanno infatti lasciato il segno.
La moneta insanguinata (1947) di John Brahm, poco visto in Italia. E' tratto da Finestra sul vuoto e Marlowe sembra più Sherlock Holmes che un detective hard boiled.


Poi c'è James Garner ne L'investigatore Marlowe (Marlowe - 1969) di Paul Bogart,  Marlowe indaga (1978) di Michael Winner (ancora con Mitchum, che era meglio se non ci si provava!) e, infine, Marlowe - Omicidio a Poodie Spring (1998) di Bob Rafelson, con James Can.

Questa non è però, un'appendice. Prima di fare una rassegna finale, torniamo al noir come modo di narrare. L'aspetto figurativo tipico del cinema espressionista è rintracciabile nel noir americano anche per un'altra ragione: con l'avvento del Nazismo in Germania, molti registi e sceneggiatori del cinema tedesco emigrarono negli USA, trasferendo a Hollywood la cultura visiva di luci e ombre dell'espressionismo tedesco.
Per i contenuti invece il genere, come si è visto, attinse a piene mani alle opere letterarie hard boiled del già citato Hammett, di Raymond Chandler, di Cornell Woolrich, di James M. Cain. Anche di Mickey Spillane, qualche tempo dopo, fornì spunti a Holliwood.
Il film che rappresenta il punto di incontro tra il cinema espressionista tedesco ed il cinema noir è Lo sconosciuto del terzo piano, di Boris Ingster, del 1941, con Peter Lorre. 


Ulteriore dimostrazione viene dal fatto che un altro regista di film espressionisti come Destino, Metropolis e Il dottor Mabuse, Fritz Lang, emigrato in America si dedicò quasi solo esclusivamente ai film noir, diventandone uno dei maggiori esponenti.
Proprio di Lang potrebbe essere l’altro film, oltre a Lo sconosciuto del terzo piano, a fare da ponte stilistico e tematico tra un Espressionismo classico e uno moderno in chiave noir, come M – Il mostro di Düsseldorf.

Una pietra miliare e anche capolavoro è   Vertigine (Laura)   del 1944. 




Ambiguità, luci, ombre, gioco di specchi e la maledizione di un ritratto che affascina il detective. Un fucile nascosto in una pendola... da un ambiguo mentore.


E' tratto dall'omonimo romanzo di vera Caspary, edito nel 1943.


Se sentite dire, da qualche sedicente esperto di cinema, che Robert Siodmak, con  La scala a chiocciola,  esalta le atmosfere e le illuminazioni del noir giocando con la splendida fotografia ossessiva, opprimente e dalle lunghe ombre, storcete il naso. Quello non è un noir, è un giallo filmato secondo gli stilemi del noir, ma sempre giallo e classico: per esito, personaggi e ambientazione. 


Evitate (è un saggio consiglio)  di iniziare discussioni con chi lo ha affermato: si ripeterebbe la storia labirintica dei romanzi noir! Consigliate solo la lettura del romanzo di Mary R. Rinehart, capiranno.




Bisogna fermarsi un pochino di più sull'espressionismo tedesco. L'aggettivo noir (nero) fa riferimento alla cupezza di queste pellicole, sia per quel che riguarda il loro contenuto, sia per gli aspetti di carattere prettamente formale (forte uso del chiaroscuro, inquadrature distorte e luci a lama radenti) che rimandano al cinema espressionista tedesco di Friedrich Wilhelm Murnau. Qualche anno dopo   Fritz Lang  conferma con   Gardenia blu. E' tratto da un racconto di vera Caspary, l'autrice Li laura.
 



Infine ancora lui! Nel 1957 un romanzo (1947) di David Goodis viene adattato per il cinema. Goodis aveva tracciato la strada del noir, ma ormai, dopo tanti anni, il successo non si ripete. Sono davvero altri tempi !  


Il romanzo aveva avuto un discreto successo e i produttori bensavano di rinverdire il genere.

Il film finì invece in serie B. Era destino che chi aveva tracciato la strada, chiudesse il gas e si tirasse dietro la porta.

Anche da noi ci fu poco clamore e meno pubblico.


Peò in Italia si guadagnò la pubblicazione tra i gialli Mondadori.



Ebbene, negli anni ’50, prevale il colore. La Technicolor ha ormai ucciso il noir e anche (in certi film) la suspense. La suspense è figlia dell'arte del togliere, unico modo per coinvolgere emotivamente il lettore o lo spettatore. Se dici tutto non c'è suspense e sopravviene la noia, a meno che tu non sia Marcel Proust (ma anche lui a volte...). Inoltre la tecnica espressionista cerca di scavare le ombre.

Nel 1958, dopo decine forse centinaia di titoli, arriviamo a L'infernale Quilan di Orson Welles: una tappa fondamentale. Incredibilmente questi film erano considerati dalla critica d'oltreoceano produzioni di scarso valore. Bigotto moralismo USA. Eppure  alcuni ottennero la nomination agli Oscar.


Negli anni '70, periodo della cosiddetta New Hollywood, il noir americano venne rivisitato da importanti registi: da Robert Altman, come già scritto, (Il lungo addio, 1973), da Roman Polanski (Chinatown, 1974), da Arthur Penn (Bersaglio di notte, 1975), ma il colore non si sposa bene col noir. Inoltre J.J. Gittes e Lew Harper (L.Archer nel romanzo di Ross MacDonald) non sono Marlowe! 

Ne sono consapevoli anche i registi che di versione in  versione abbandonano progressivamente lo schema classico, in cui tutto ruota attorno alla figura del private eye e/o a quella della femme fatale: per cui, si sono definiti “noir” (non sono d’accordo) anche film quali La conversazione (1975) di Francis Ford Coppola o Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, i quali comunque mantengono intatti situazioni, atmosfere, stati d'animo (e non di meno una sottesa critica sociale) tipici del genere, ma col noir classico c’entrano poco.
FINE


 
 

Nessun commento:

Posta un commento