Magica Tempora
di Oscar Montani
Parte seconda
Merita un cenno, ma
meriterebbe molto di più, l’episodio nella terra dei Catari. I Catari erano
seguaci di un’eresia religiosa che perseguiva la purezza assoluta, che
professava il dualismo cioè la lotta tra bene e male, tra Dio e Satana, che
considerava il corpo come qualcosa di assolutamente negativo, che si asteneva
da tantissimi cibi fino ad arrivare a morire di inedia.
Questa eresia ebbe la
maggiore diffusione tra l’11º e il 12º secolo. La Chiesa la combatté subito con
estrema decisione per non dire addirittura con ferocia. Papa Innocenzo III
indisse contro i Catari una crociata per sterminarli. In Francia, proprio
vicino alla casa dell’amico Etienne, che tra l’altro era discendente di un cataro,
Bertuccio ritrova quella ragazzina rapita in grotte sotterranee che erano il
cimitero degli ultimi catari. Vi ritrova i cadaveri mummificati degli ultimi
510 appartenenti a questa setta. È una scena magistrale, nella quale umana
pietà e lucida osservazione si fondono a meraviglia senza prevalere l’una
sull’altra.
Altro aspetto
importante di quel periodo il Tribunale dell’Inquisizione. Il nostro
investigatore ha a che fare con questo terribile ufficio sia in Francia che a
Montevarchi. Le pagine di Oscar ci descrivono a meraviglia il fanatismo di quei
frati e dei loro seguaci. Comprendiamo quanto facessero leva sull’ignoranza e
sulla paura della gente comune. Bertuccio riesce a far crollare il loro castello
di accuse con l’intelligenza, la cultura e l’arguzia. In questi brani l’ironia,
come di solito nei lavori del nostro autore, la fa da padrona per
sdrammatizzare e nello stesso tempo sottolineare la situazione.
Fondamentale nel
romanzo l’immagine del falco, carissima ad Oscar che l’aveva già messa in primo
piano per esempio né “L’oro degli aranci,” il secondo romanzo della saga di Corto.
Da una parte il nostro fabbro è perseguitato, ossessionato dall’idea di questo
rapace, dall’altro vi si rifugia. Nella storia il primo a parlare a Bertuccio
del falco è mago Nepo che lo paragona a questo solenne volatile, che si innalza
libero al di sopra di tutto, perciò può controllare tutto e le prede, che sono
a terra sotto di lui, non possono sfuggire. Anche Tommaso propone al nostro
investigatore l’immagine del falco. Quando lo vede in difficoltà con le sue
indagini, a differenza di mago Nepo, gli spiega che se si condurrà come un
falco, cioè cercherà di cacciare la preda dall’alto, non otterrà alcun
risultato, perché la preda, dal basso, lo avvisterà, quindi correrà a nascondersi
o rimarrà rintanata. Tommaso lo consiglia piuttosto di fare non il falco ma il
battitore, cioè di stanare la preda, facendo baccano, magari mettendo in atto
qualche manovra diversiva. Il falco è splendido protagonista dell’epilogo,
ancora una volta imperdibile e fondamentale come tutti gli epiloghi del nostro
autore. Bertuccio, che pure durante l’esilio francese aveva sospirato
Montevarchi, la sua bottega, la sua donna, ora che ha ritrovato tutto questo,
lo sente come una gabbia; per questo, appena risolto il caso, si ritira senza
dirlo a nessuno in una torre per cercare di capire quello che desidera
veramente e riflettere sulle decisioni da prendere. Mentre è assorto in
meditazione, vede uno splendido esemplare di poiana che si libra nel cielo. Il
possente volatile diventa in pratica il suo alter ego; con lui intreccia un
dialogo intensissimo, essenziale, anche se i codici linguistici dei due
interlocutori sono i più diversi. Il rapace lo conferma nelle sue decisioni, in
realtà già prese, ma non ancora emerse a livello conscio.
Nel romanzo dominano i
chiaroscuri, non tanto il buio completo quanto la penombra, la semi oscurità.
Tante scene avrebbero fatto la gioia dei pittori fiamminghi. Oscar è maestro
delle notti, le vediamo ambientazione prediletta delle scene più importanti
anche nei romanzi riservati agli altri suoi investigatori. In questo di notte
avvengono talora orrendi delitti, sopralluoghi pericolosi, incontri decisivi,
sia nell’episodio francese che in quello a Montevarchi. Imperdibile il brano
finale: Convento del Sacro Latte, dormitorio, due armadi socchiusi dove sono
nascoste persone che devono sorvegliare per controllare chi entra a fare cosa.
È un brano da antologia, una serie di lampi di luce inquietante, di bisbigli,
rumori e forme indistinte, perciò tanto più minacciosi. Ma il brano non è solo
all’insegna dell’angoscia o perlomeno della suspense: raggiunge anche i toni
del più caldo erotismo e di una feroce ironia.
Per quel che riguarda
l’aspetto formale, grande ricerca del nostro autore che adotta un lessico e una
sintassi perfetti per narrare le vicende di quel periodo. Recupera un tesoro di
parole dalla lingua toscana e di modi di dire preziosissimi. Uno per tutti:”
mettiti a buco pillonzi”. I pillonzi erano gli antichi lavatoi; essendo
parecchio bassi le lavandaie dovevano assumere una posizione certo poco
elegante e piuttosto provocante, con il sedere sporto in avanti. La sintassi è
impagabile: ha un ritmo musicale, da cantastorie. Notevoli, essenziali i
dialoghi, serratissimi che hanno una parte fondamentale in quest’opera come in
tutte quelle del nostro autore: sono lo strumento per far emergere i caratteri
dei personaggi, gli eventi, insomma la vicenda tutta. Anche qui le immagini
sono straordinarie:
"scosse il capo come
quando si scuote il mozzicone di una candela per spegnerla":
"abbassò la testa quasi
infilandola dentro il bordo della gamurra come la tartaruga che teme gli
assalti di una volpe".
FINE
Carmen Claps
Nessun commento:
Posta un commento