mercoledì 14 agosto 2019

Riflessioni sarzanesi (6)


Magica Tempora
di Oscar Montani
Riflessioni critiche di Carmen Claps

Parte seconda

Merita un cenno, ma meriterebbe molto di più, l’episodio nella terra dei Catari. I Catari erano seguaci di un’eresia religiosa che perseguiva la purezza assoluta, che professava il dualismo cioè la lotta tra bene e male, tra Dio e Satana, che considerava il corpo come qualcosa di assolutamente negativo, che si asteneva da tantissimi cibi fino ad arrivare a morire di inedia. 


Questa eresia ebbe la maggiore diffusione tra l’11º e il 12º secolo. La Chiesa la combatté subito con estrema decisione per non dire addirittura con ferocia. Papa Innocenzo III indisse contro i Catari una crociata per sterminarli. In Francia, proprio vicino alla casa dell’amico Etienne, che tra l’altro era discendente di un cataro, Bertuccio ritrova quella ragazzina rapita in grotte sotterranee che erano il cimitero degli ultimi catari. Vi ritrova i cadaveri mummificati degli ultimi 510 appartenenti a questa setta. È una scena magistrale, nella quale umana pietà e lucida osservazione si fondono a meraviglia senza prevalere l’una sull’altra.


Altro aspetto importante di quel periodo il Tribunale dell’Inquisizione. Il nostro investigatore ha a che fare con questo terribile ufficio sia in Francia che a Montevarchi. Le pagine di Oscar ci descrivono a meraviglia il fanatismo di quei frati e dei loro seguaci. Comprendiamo quanto facessero leva sull’ignoranza e sulla paura della gente comune. Bertuccio riesce a far crollare il loro castello di accuse con l’intelligenza, la cultura e l’arguzia. In questi brani l’ironia, come di solito nei lavori del nostro autore, la fa da padrona per sdrammatizzare e nello stesso tempo sottolineare la situazione.


Fondamentale nel romanzo l’immagine del falco, carissima ad Oscar che l’aveva già messa in primo piano per esempio né “L’oro degli aranci,” il secondo romanzo della saga di Corto. Da una parte il nostro fabbro è perseguitato, ossessionato dall’idea di questo rapace, dall’altro vi si rifugia. Nella storia il primo a parlare a Bertuccio del falco è mago Nepo che lo paragona a questo solenne volatile, che si innalza libero al di sopra di tutto, perciò può controllare tutto e le prede, che sono a terra sotto di lui, non possono sfuggire. Anche Tommaso propone al nostro investigatore l’immagine del falco. Quando lo vede in difficoltà con le sue indagini, a differenza di mago Nepo, gli spiega che se si condurrà come un falco, cioè cercherà di cacciare la preda dall’alto, non otterrà alcun risultato, perché la preda, dal basso, lo avvisterà, quindi correrà a nascondersi o rimarrà rintanata. Tommaso lo consiglia piuttosto di fare non il falco ma il battitore, cioè di stanare la preda, facendo baccano, magari mettendo in atto qualche manovra diversiva. Il falco è splendido protagonista dell’epilogo, ancora una volta imperdibile e fondamentale come tutti gli epiloghi del nostro autore. Bertuccio, che pure durante l’esilio francese aveva sospirato Montevarchi, la sua bottega, la sua donna, ora che ha ritrovato tutto questo, lo sente come una gabbia; per questo, appena risolto il caso, si ritira senza dirlo a nessuno in una torre per cercare di capire quello che desidera veramente e riflettere sulle decisioni da prendere. Mentre è assorto in meditazione, vede uno splendido esemplare di poiana che si libra nel cielo. Il possente volatile diventa in pratica il suo alter ego; con lui intreccia un dialogo intensissimo, essenziale, anche se i codici linguistici dei due interlocutori sono i più diversi. Il rapace lo conferma nelle sue decisioni, in realtà già prese, ma non ancora emerse a livello conscio.
Nel romanzo dominano i chiaroscuri, non tanto il buio completo quanto la penombra, la semi oscurità. Tante scene avrebbero fatto la gioia dei pittori fiamminghi. Oscar è maestro delle notti, le vediamo ambientazione prediletta delle scene più importanti anche nei romanzi riservati agli altri suoi investigatori. In questo di notte avvengono talora orrendi delitti, sopralluoghi pericolosi, incontri decisivi, sia nell’episodio francese che in quello a Montevarchi. Imperdibile il brano finale: Convento del Sacro Latte, dormitorio, due armadi socchiusi dove sono nascoste persone che devono sorvegliare per controllare chi entra a fare cosa. È un brano da antologia, una serie di lampi di luce inquietante, di bisbigli, rumori e forme indistinte, perciò tanto più minacciosi. Ma il brano non è solo all’insegna dell’angoscia o perlomeno della suspense: raggiunge anche i toni del più caldo erotismo e di una feroce ironia.
Per quel che riguarda l’aspetto formale, grande ricerca del nostro autore che adotta un lessico e una sintassi perfetti per narrare le vicende di quel periodo. Recupera un tesoro di parole dalla lingua toscana e di modi di dire preziosissimi. Uno per tutti:” mettiti a buco pillonzi”. I pillonzi erano gli antichi lavatoi; essendo parecchio bassi le lavandaie dovevano assumere una posizione certo poco elegante e piuttosto provocante, con il sedere sporto in avanti. La sintassi è impagabile: ha un ritmo musicale, da cantastorie. Notevoli, essenziali i dialoghi, serratissimi che hanno una parte fondamentale in quest’opera come in tutte quelle del nostro autore: sono lo strumento per far emergere i caratteri dei personaggi, gli eventi, insomma la vicenda tutta. Anche qui le immagini sono straordinarie:
"scosse il capo come quando si scuote il mozzicone di una candela per spegnerla":
"il naso lungo e affilato tagliava l’aria come la lama di una alabarda",
"abbassò la testa quasi infilandola dentro il bordo della gamurra come la tartaruga che teme gli assalti di una volpe".
FINE
Carmen Claps
 

 

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