sabato 4 febbraio 2012

Il gufo giallo (36)

Rubrica letteraria


Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli

Libro n. 36



La carta più alta   
Marco Malvaldi
Sellerio
Two is mejo che one!
Aldo, Ampelio, Gino e Pilade, i quattro pensionati pseudo-detective che occupano, come fosse un centro sociale, il Bar Lume di Pineta, affrontano con nuova energia  questa nuova avventura partendo dai soliti  pettegolezzi, da qualche bevuta “morigerata” e con quattroxquattro battute riciclate che suscitano risate vintage e stiracchiate. Mi chiedo dove la trovino quella verve e com’è possibile che, dopo tanti anni (quasi cinque), non siano per niente rincoglioniti. “Forse lo erano già fin dall’inizio”, è l’unica risposta possibile.
Si annoiano in quella terra di confine e di antiche paludi; forse sentono la “commare secca” affilare la falce fienaia alle spalle,  per  dimenticare e anche rompere la monotonia di quell’attesa in sopravvivenza vegetativa  tentano di reiterare il loro divertissement preferito: scoprire il colpevole di improbabili delitti.  Per dimenticare (come i compagni monicelliani di Amici miei) si affidano ad arguzia e ironia. Badate, qui la dimensione è altra,  non siamo nei famosi film da me citati, echeggiano battute viete e   nevrotiche e le situazioni sono troppo "goliardicamente" costruite. Ahimé, di quelle da prendere o lasciare: il Vernacoliere (che tuttavia mai figura sui tavolini o sul bancone del Bar Lume!) è il loro inarrivabile modello. A Livorno o Pisa, qualche compagnia dopolavoristica di vernacolo potrebbe anche storcere il naso.

Questa la buccia e il guscio. Meno male che c’è un po’ di polpa. Massimo, il “barrista”, un perdente di maniera, che pigramente (c’è costretto) tira fuori l’idea vincente dell’indagine e del racconto, che ovviamente qui non dico. Lui, coi vecchietti, c’è costretto da un vincolo di sangue,  ci galleggia intorno, li sopporta a fatica (dice lui), ma se cominciano ad apparecchiare una briscola in cinque allora si diverte come un bimbo. I quattro lo coinvolgono, suo malgrado, in un’indagine sospesa.  Pe’ culo”,  gli ripetono i vecchietti petulanti,  riesce a cavarsela e a dimostrare, alla fine e con garbo, che un po’ di scienza  serve anche a un “barrista” di Pineta, non solo a Holmes a Londra. Massimo usa un corollario della statistica cognitiva (lo si può reperire tra i modelli mentali di Johnson-Laird) ma anche, se ricordo bene, nel trattato Filosofia della probabilità di Bruno de Finetti. Cito queste fonti non per far sfoggio, ma per valorizzare il garbo e l’eleganza con cui Malvaldi porge al lettore la teoria. Non sarà, come afferma il Dottor Berton parlando di Massimo, che ha così operato “… proprio per il fatto di essere ignorante” di queste astruse teorie? Mi permetto questa benevola battuta, ma resta l’apprezzamento: odio la pedanteria.

Peccato l’insistenza ossessiva su battute da quartiere Venezia o da Navacchio. Invece di distillare il vernacolo, qui l’autore, rispetto ai tre precedenti racconti, lo appesantisce e un lettore toscano, mezzo viareggino, come me non ci gode.

Per ultimo resterebbe da parlare del giallo e della suspense. Non ci sono nessun dei due. Non si possono costruire trame tese e coinvolgenti con  personaggi così evanescenti. Non parlo né di Massimo, né dei vecchi (che rubano troppo la scena coi loro lazzi), ma di quelli coinvolti nella storia che vorrebbe (secondo il marketing Sellerio) essere gialla. Non ci sono informazioni, situazioni o dialoghi per individuarli. Alla fine il colpevole (ma si può!) è per te uno sconosciuto.

Meno pedante dell’ultimo della serie Bar Lume, dove c’erano sproloqui assurdi sulla religione e sulla politica; resta in ogni caso una lettura che ti regala quattro o cinque ore molto leggere. Sì, questo è un valore, la storia ti solleva l'animo e la mente in una piacevole levitazione. Peccato che il giorno dopo sia stato come bere acqua distillata, eppure si parlava di altra acqua!  

Voto ***/5



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