sabato 21 settembre 2013

Inconfessabilmente (20)

 

Oscar  Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi 

 
Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria  follia
(giorno 20)
 
Martedì 20
Pipì con la consumazione.
 
 
Credo che siano tre le mutazioni che, più di altre, mostrano la decadenza della nostra civiltà. Riguardano l’acqua pubblica, la comunicazione pubblica e i bisogni fisiologici... in pubblico. Vi siete resi conto? Sono sparite le fontanelle dalle piazze e anche dagli angoli delle strade; hanno tolto le cabine del telefono e non ci sono più i vespasiani. Si può passare alla storia per averli inventati, non per averli tolti!
I rimedi non sono un granché. Si gira per le strade delle città con bottiglie d’acqua; sono di plastica, le ritrovi in tutte le aiuole e il pianeta non gode. Ti porti dietro il cellulare e così ti chiama l’amante quando non vorresti. Per la pipì ci sono i bagni dei bar, almeno ci dovrebbero essere.
Quella mattina avevo già preso due caffè per poter fare la pipì:   il caffè mi rende nervoso. Avevo ancora bisogno, entrai ma non mi piacque. Era deserto. I quotidiani erano sbarrati da un’asta col lucchetto, le paste anch’esse serrate a chiave: le servivano in un piattino. “Ma come?”, pensai, “e la goduria di leccarsi le mani dopo aver mangiato un bombolone alla crema?”.
La giovane barista in minigonna,  look sexy rumeno (stile Cascine dopo le 23), mi guardò sospettosa. Chiesi della toilette. Sorrise appena e mise una mano sulle tazzine sopra la Gaggia. Come dire: “Cosa prendi?”. D’istinto mormorai “un caffè”: al solo sentire la parola mi scoprii nervoso. Lei si chinò e apparve la chiave. Una grossa chiave di ferro legata, con una catena di una diecina di maglie, ad un’enorme batacchio d’ottone. “Pulisci bene e richiudi.”, mi disse sprezzante. Precisai che era per un po’ acqua. Insisté: “Allora cerca d’un pisciare fuori da i’ vaso!”. Capii che non era rumena, ma di Firenze, di San Frediano, o di Scandicci, il Bronx della mia città.
Impugnai la chiave e, con un improvviso e violento rovescio, colpii la venere di "di là d’Arno" alla tempia destra. Cadde di schianto dietro il bancone. Usai la mia bottiglia di plastica, ormai vuota, come recipiente per l’orina: la lasciai sul bancone come fosse tè messo lì a raffreddare. Uscendo, col cellulare, chiamai il 118. Credo fosse morta, stecchita, ma, dai vecchi tempi, m’era restata in testa una pubblicità: “Usa il telefono: una telefonata ti allunga la vita!”

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