Oscar Montani – Glauco Dal Pino
Inconfessabili moventi
Riviviamo insieme un mese e un giorno
di ordinaria follia
(giorno 24)
(giorno 24)
Sabato 24
Pets in condominio
Mi ero lavata i capelli. Come al solito li asciugavo
al sole sul terrazzino, per non rovinarli col phon. Si mise a scuotere la
tovaglia dal balcone di sopra e mi coprì di briciole di pane e granelli di sale.
Non solo, volteggiarono giù anche due bucce di mela. Imprecai; la nuova inquilina
del sesto piano non mi sentì, forse era sorda.
Il giorno dopo replica; con qualche variazione. Invece
delle mele, un raspo d’uva ornato da un chicco guazzo. Non solo, subito dopo si
mise a strizzare i cenci con cui lavava il pavimento: acqua sporca e varecchina
sui miei gerani!
Andai su a protestare. Il donnone, alto e sgraziato,
teneva in braccio un’enorme soriano grasso. Mi guardò di traverso, dall’alto in
basso, imitata dal felino. Girò la testa
leggermente a destra, dalla parte dell’orecchio buono: “Regole? Io sono anarchica!” Ridendo
sardonica mostrò un grande varco nei denti: orribile breccia tra zanne gialle affumicate.
Fumava: cicche in arrivo!
Appena rientrata, dal
finestrone aperto vidi passare il gatto. Scendeva accovacciato in un cesto di
vimini! La megera calava in giardino quell’ascensore manuale. All’altezza dei
miei fiori la cesta si fermò, la bestia si alzò, si stese e schizzò pipì sui
gerani. Finito il lurido scempio, la discesa riprese. Uscii fuori e le urlai: “Ma
che fa? Così il suo gatto mi secca i fiori!” Si affacciò: “Il mio Bugi?
Poverino, marca il territorio. Sei tu
che mi secchi… rompipalle!”.
Dunque il suo nome era Bugi. “Che cavolo di nome!”, mi dissi.
Mezzora dopo, quando lo chiamava, capii: “Bugi, Bugi… Bugi gattolo!” Una
mente contorta, pericolosa. Uscii a presidiare le conche fiorite. L’orchessa
era affacciata alla balaustra e ripetendo ossessivamente l’arguto richiamo, intervallato
da qualche oscena bestemmia, invitava il gatto recalcitrante a salire nel
cestino. Mi assalì minacciosa: “Che ci fai costì? Se tocchi il gatto ti tronco!”. Notai che aveva la
corda legata al polso… “Per non rischiare che le cada giù!”, pensai, ma
feci anche un’altra semplice considerazione.
Afferrai la corda a due mani
e la tirai a me. Detti uno strattone robusto, piegando rapida le ginocchia,
fino a toccare terra col sedere. Si rovesciò sulla ringhiera e con graziosa
piroetta, l’unica cosa elegante della sua vita, venne giù. Andò a schiantarsi
sull’ignaro Bugi. Mica male: non avevo avuto bisogno di toccarlo, i gatti
grassi mi fanno un po’ senso.
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