lunedì 2 febbraio 2015

Lanterna gialla (87)




Film n. 87


Il grande inganno ( The Two Jakes )

di  Jack Nicholson
con  Jack Nicholson, Harvey Keitel,  Faye Dunaway   



Perché ricercare la gloria del padre, quando ne hai di tua?
Era il 1974 quando il carismatico detective "Jake"  J.J. Gittes fece il suo ingresso trionfante nel mondo del cinema, impersonato dall'allora piuttosto giovane Jack Nicholson nel cult movie Chinatown (per me sopravvalutato), diretto da Roman Polansky.
Trent’anni dopo, e dopo molto tormentato lavoro,  l’ottimo Jack resuscita l’omonimo detective inventandosi un film che, seppur nato, cresciuto e conclamato come “seguito” del capolavoro degli anni ’70, risulta “autonomo” e, per molti aspetti, diverso dal "troppo" prestigioso, osannato e fortunato esordio.
Dal 1937 si passa al 1948. Che il tempo sia passato lo si capisce fin dall’inizio. L'aspetto  dell’investigatore tradisce il trascorrere degli anni sia nel fisico che nel volto (scavato da molte dure esperienze), ma il carattere e le abitudini sono sempre le stesse.
Scaltro, ammanicato e, a modo suo idealista, Jack Gittes porta ancora avanti con i suoi, ormai attempati anche loro, colleghi la stessa attività di sempre.
Segue mariti o mogli infedeli, figli sull'orlo della droga,  scopre piccoli intrighi provinciali. Come sempre si scontra con i poliziotti che un po’ lo ammirano ed un po’ lo disprezzano.
Come da copione, arriva l’ennesimo, ma "diverso" cliente (un grandissimo Harvey Keitel) che nasconderà più misteri di quanti ne dovrebbe avere un semplice “marito cornuto”.

I fili col passato appaiono sempre più evidenti, e quando sulla scena ritornerà il cognome Mulwray (appartenuto alla donna che Jack aveva amato,  Faye Dunaway, e alla sua figliola scomparsa), ogni cosa diverrà più complicata. Senza questa forzatura "sequel" sarebbe stato un capolavoro. Vero cinema "d'autore"!
L’atmosfera chandleriana è la stessa che contraddistinse il capolavoro di Polansky, la città è cupa, piena di chiaroscuri densi di rosso e di blu piombo, ma circondata stavolta dal deserto che ha sostituito le scene piene di  distese di alberi.
La famelica brama di petrolio ha sostituito quella dell'acqua come movente di ogni intrigo e misfatto.
Nicholson dirige così come recita: è originale, carismatico, impeccabile; sceglie inquadrature e messe a fuoco a volte forzate ma assolutamente godibili, conferendo senza dubbio un suo stile alla narrazione. Ma i critici erano ancora troppo "innamorati" di Chinatown, non l'hanno apprezzato come si doveva.
Raramente si concede anche il lusso (era meglio se non lo faceva: excusatio non petita...)  di citare esplicitamente Chinatown, inserendo brevi istanti del film di Polansky, rappresentati come deja vu’ vissuti dal buon Gittes. Si rasenta il "pissero" (quanto di peggio a Firenze!)   col richiamo alla scena cult del naso ferito.
Il Grande Inganno (o meglio The Two Jakes, i due Jack,  l’ispettore ed il suo misterioso cliente, legati molto più profondamente di quanto si possa inizialmente credere) non risulta mai succube del glorioso predecessore.  Non sembra neppure un semplice “sequel”. Ha al contrario  gli stilemi del grande film d’autore, che fa dell’atmosfera e delle ottime interpretazioni assoluti punti di forza.
Un vero disastro al botteghino, un San Sebastiano della critica. Ciononostante è divenuto ben presto un’opera apprezzata dagli intenditori anche se pressoché sconosciuta al grande pubblico. Questo è un vero peccato. Da (ri)vedere, da (ri)gustare  e da (ri)scoprire.

Voto ****/5
 

 

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