En attendant Sarzana
In attesa di incontrare gli amici di Sarzana nella splendida Sala Consiliare ho il piacere di pubblicare in anteprima (sarà distribuita ai presenti il 9 ottobre) questa recensione di Carmen Claps. Confesso che vi ho trovato osservazioni e focus di cui neanche io, l'autore, avevo consapevolezza.
Recensione a
Il Verso della Civetta
di Oscar Montani
a cura di
Carmen Claps
parte I
La vicenda
Montevarchi,
inizio estate 1927. A distanza di circa tre anni dalla serie di omicidi
raccontati ne “La ragazza dello scambio”, il dottor Idamo Butini, medico
condotto con la passione, o meglio, l’ossessione dell’indagine, si trova di
fronte a tre morti violente, che avvengono nel giro di pochissimo tempo. I
morti paiono non aver nessun collegamento particolarmente significativo tra di
loro, se non il fatto che le loro vite ruotano intorno alla piazza principale
della cittadina.
La struttura
Come
in tutte le opere del nostro autore, la narrazione è in prima persona. Oscar
adotta la soluzione che già ci aveva intrigato ne “La ragazza dello scambio”:
Idamo racconta molti anni dopo che i fatti si sono verificati. Parrebbe che gli
atroci ricordi di quella terribile estate siano definitivamente cancellati o
almeno ben sepolti da tutto quello che è accaduto nel frattempo, ma, un bel
giorno o un brutto giorno, qualcosa li risveglia, più nitidi e più dolorosi che
mai.
Ciò
che scatena quegli intensi flash – back è una vecchia scatola arrugginita,
abbandonata in una soffitta polverosa, che contiene oggetti dal valore venale
assolutamente trascurabile, di piccole dimensioni, ma che, in realtà, alla resa
dei conti, si rivelano ricchi di significato e di importanza. Idamo li ritrova
per caso, dopo anni e comincia a ricordare. Il fatto che racconti a posteriori
lo mette certo in posizione privilegiata rispetto al lettore: mentre narra sa
già come tutto andrà a finire; per questo (ma, naturalmente, ce ne accorgiamo
solo a lettura ultimata) dissemina la narrazione di maliziosi indizi, più o
meno velati e anche di malandrine false tracce. Per questo vi ripeto che il
romanzo, come del resto un po’ tutte le opere di Oscar, ad ogni lettura si
apprezza ancora di più e ci offre incredibili scoperte.
Ripeto
che il nostro investigatore racconta anni dopo il verificarsi di quei fatti
atroci, ma il tempo non lo ha per nulla aiutato a metabolizzarli, anzi,
l’angoscia che provò a quel tempo ora, a ricordarli, se possibile è ancora maggiore.
Importante
osservare che, come in tutte le opere di Oscar, segnatamente quelle dedicate a
Bertuccio, anche in questo romanzo vita privata del protagonista e della gente
comune e vita pubblica, cioè l’aspetto socio – politico – economico si fondono
e si confondono, si illuminano a vicenda. E il nostro protagonista, con le sue
avventure, ci offre un quadro completo dell’epoca: la vita spicciola di tutti i
giorni e la storia, con il rapporto del tempo tra Stato e Chiesa, due
istituzioni che cercavano entrambe disperatamente il potere, ma che si
rendevano perfettamente conto di avere bisogno l’una dell’altra, tanto è vero
che, nel giro di pochi anni, si arriverà al Concordato.
Idamo,
proprio nelle primissime pagine, ci tiene a spiegare che vuole raccontare,
forse più a se stesso che agli altri, per capire. Capire cosa? Le motivazioni
più profonde, più nascoste di quelle tre morti. Più o meno direttamente da
questa osservazione discende il fatto che questo romanzo è a una struttura
ciclica, è ricco di rimandi, ritorni, riferimenti, anche a “La ragazza dello
scambio” e di ghiotte anticipazioni della terza puntata della saga di Idamo, di
cui ho avuto il privilegio di leggere la prima stesura.
Essendo
un romanzo di Oscar, possiamo tranquillamente etichettarlo sotto la formula
“nulla è come sembra”. In apertura la vicenda parrebbe andare in una
determinata direzione, invece i fatti stanno da tutt’altra parte. Simbolo
perfetto di tutto questo è “un medico socialista travestito da prete facente
funzione di carabiniere”.
In
realtà il romanzo ci presenta due storie che si intrecciano e proseguono
contemporaneamente, coinvolgendo Idamo in tutte le sue energie fisiche,
mentali, affettive, come uomo e come investigatore. Oscar è talmente abile che
il lettore quasi non si rende conto che le due vicende nulla hanno in comune,
una decisamente pubblica, sociale, definiamola così, l’altra squisitamente
privata, personale, ma sono entrambe inequivocabilmente e direttamente figlie
del loro periodo. Pensate che addirittura alcuni elementi, alcuni indizi
dell’una vengono attribuiti all’altra e dal lettore e dagli inquirenti, perché,
lo ripeto per l’ennesima volta, nel romanzo e quindi nella realtà nulla è come
sembra. Le due storie rappresentano in sintesi a meraviglia quello di cui
parlavo poco fa, cioè la storia con la S maiuscola e quella con la s minuscola
e ci danno così il quadro completo di un’epoca.
Suoni, colori,
immagini e . . .
Il
titolo racchiude tutta la vicenda e questa è un’abilità incredibile del nostro
autore; era stato così per “La delta velata”, “L’oro degli aranci” e “Eikones”,
tanto per fare solo tre esempi importanti, i romanzi dedicati a Corto. Per quel
che riguarda quest’opera, pensate agli svariati significati dei vocaboli verso
e civetta e avrete pronta tutta ma proprio tutta la vicenda: l’input, lo
scioglimento, la soluzione. Mi spiego, sperando di non svelare troppo: tutto si
scatena, in un certo qual modo, per le moine di una ragazza provocante; tutto è
accompagnato dalle rime attaccate al plafond che porta le locandine di un
quotidiano, rime che ci offrono argute narrazioni, salaci commenti, geniali
intuizioni; lo stridio del rapace è l’originale, intrigante ma senz’altro
inquietante colonna sonora della imperdibile scena finale. E tra l’altro, visto
che, l’abbiamo detto poco fa, nel romanzo nulla è come sembra, non sarà una
civetta a stridere, ma qualcuno che, guarda caso, le fa il “verso”. Geniale,
eccezionale che l’accezione più immediata del titolo, cioè lo stridere di quel
rapace venga usata una volta sola, proprio a inizio vicenda, come a suggello,
ma anche per sviare e ingannare il lettore.
Nel
romanzo domina il rosso, rosso sangue. Rimangono impresse nella mente del
lettore le immagini dell’anziana precipitata dal suo balcone, sotto il cui
corpo si allarga una pozza di sangue e dell’edicolante, “sgozzato come un
maiale” (precisa l’autore senza falsi pudori) dentro il suo gabbiotto di ghisa
verde, il luogo nel quale, in teoria, doveva sentirsi sicuro e padrone. Dalla
sua gola squarciata il sangue scorre come il vino quando si spilla una botte.
Efficacissimo l’effetto cromatico: il verde del gabbiotto, il rosso del sangue,
il grigio della pavimentazione. La morte è sempre oltraggiosa, ma qui vediamo
anche l’orribile post mortem, con quegli insetti, mosche, mosconi, vespe ecc. .
. che, dato quel caldo, si accaniscono e banchettano su quei corpi. Oscar usa
addirittura il verbo scarnificare per descrivere l’effetto. Mi preme precisare
subito che in quelle descrizioni non c’è nulla di morboso, di grandguignolesco,
di effetti alla Dario Argento, al contrario, emerge tanta delicatezza, un
pudico senso di umana pietas. Quanto alle immagini ricorrenti due (o forse
tre?) loschi figuri con un cappellaccio in capo, vestiti con abiti stazzonati,
rigorosamente neri, fuori misura, grandi e grossi, che appaiono a scandire i
momenti più delicati e più significatici della vicenda. Chi sono? Membri
dell’OVRA, verrebbe da dire, dato l’aspetto. Ma, ve lo ripeto, nulla è come
sembra e ciò che sembra.
Devo
riservare due note ad altri due stilemi molto importanti, mi riferisco
all’annuire e al fare una smorfia, vero e proprio leit motiv. Leggendo vi
renderete conto che Idamo, soprattutto con le persone a lui più vicine, quelle
di cui si fida di più, comunica innanzitutto a cenni. Quando la sintonia è
davvero profonda, le parole passano in secondo piano. Basta l’espressione: così
ricorrono frequentissimamente i verbi annuire e fare una smorfia. Naturalmente
vedrete che chi annuisce lo fa talora preoccupato, talora sollevato, talora
stupito e dopo, ma solo dopo, passa a spiegare il motivo del suo consenso.
Ugualmente la smorfia può essere di disgusto, di dolore, ovviamente
psicologico, di rabbia, di nervosismo. Il culmine si raggiunge quando, lo
vedrete, un personaggio, verso la fine della vicenda, annuisce facendo una
smorfia.
Carmen Claps
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