domenica 21 agosto 2016

Lo chalet recensito (I)


Come da tradizione e da lunga amicizia, Carmen Claps, critica letteraria di Sarzana, mi ha fatto avere questa recensione. Vediamo come giudica la pineta di levante di Viareggio e i suoi “indigeni”.
Delitti in pineta 

(I)
LO CHALET IN PINETA  di Oscar Montani (éffigi ed. 2015) è una raccolta “romanzo” di racconti della saga di Corto, lo skipper viareggino, che, come al solito, indaga con la sua corte.

Quest’anno ricorre il decennale di Corto, infatti le prime opere che oscar gli ha dedicato risalgono al 2006, “La delta velata”, romanzo e “Viareggio piccoli delitti imperfetti”, racconti. Corto è quindi un personaggio seriale e per il lettore è molto coinvolgente seguire la sua evoluzione soprattutto psicologica e professionale. Come nelle precedenti raccolte di racconti a lui dedicate, lo vediamo indagare non mentre svolge la sua professione – a questo sono riservati i romanzi – ma mentre si trova a terra, nella sua Viareggio.

 


Sono sei racconti, tre piuttosto lunghi, tre più brevi, incorniciati da un prologo e un epilogo, che come in tutte le opere del nostro autore, hanno un valore e un’importanza fondamentale. Infatti l’uno ha la funzione di introdurre l’argomento e l’atmosfera, l’altro di tirare le fila. In questo caso il prologo risulta accattivante, irresistibile; l’epilogo ci lascia con tutto il rimpianto di essere arrivati alla parola fine.

Ogni racconto ha, naturalmente, un titolo, ma anche un sottotitolo e questa è una splendida trovata: il titolo fa da esca, si mantiene abbastanza nel generico; il sottotitolo, in modo enigmatico ed anche un po’ inquietante, va a riferirsi ad un particolare della vicenda, di solito il più importante. Chiaramente lo possiamo scoprire e lo possiamo godere solo a fine lettura e la cosa è per questo ancora più stimolante.

Le vicende raccontate coprono un arco di tempo che va dal giugno all’ottobre 2010, è l’autore stesso a precisarlo proprio in apertura, perché chi lo conosce almeno un po’ sa che nei suoi lavori la collocazione temporale è sempre importantissima. Infatti in tutte le sue opere vita pubblica e privata, Storia e storie vanno di pari passo.

 


Le vicende dei suoi personaggi non prescindono mai dagli eventi del periodo. Inutile ricordare che al centro di quell’estate 2010 ci furono i campionati mondiali di calcio, con tutte le aspettative, le sofferenze, le delusioni, le arrabbiature che ne conseguirono. Oscar ci fa vedere come il gruppo di Corto vive quei momenti: prevalentemente le attese, perché poi . . . è meglio far finta di niente, dimenticare e passare ad altro.

Ma non solo i mondiali: Oscar ci presenta un po’ tutti gli aspetti del nostro tempo, aspetti purtroppo prevalentemente negativi e dolorosi (Alzheimer, tormenti per identità sessuali, sogni infranti, complessi), ma tutto visto attraverso la lente non deformante, ma liberatoria dell’ironia più raffinata e feroce. E il ritmo della scrittura – anticipo uno degli aspetti formali di questi racconti – è perfettamente adeguato allo spirito, al clima, con momenti incalzanti da lasciare senza respiro e altri di calma sorniona: la quiete prima della tempesta.

I sei racconti, i sei episodi sono strettamente collegati tra loro da un ritornello, un tormentone, una vera e propria ossessione: il caso del freezer del prete, un caso irrisolto del buon Miglietta. Ci torneremo sopra.

Come in tutti i lavori del nostro autore, proprio in tutti, il finale, i finali di questi racconti non sono “normali”, “di legge”, o “per logica”. Visto che le indagini non sono ufficiali, anche le sentenze e le pene comminate non sono ordinarie. Nascono dallo spirito viareggino, dissacrante, acutissimo, un po’ becero, un po’ laido. Da una parte provocano una risata liberatoria, dall’altra un’amarezza struggente. Del resto, da sempre, comico e tragico sono separati da un confine sottilissimo: i clowns, Buster Keaton, Charlie Chaplin ce lo hanno dimostrato senza ombra di dubbio.

Cominciamo dal titolo. E’ perfetto: infatti è giusto mettere in primo, in primissimo piano lo chalet perché è il centro di questi racconti. E’ un vero e proprio personaggio, a tutti gli effetti coprotagonista, l’unico a essere descritto nei particolari. E’ una baracca sbilenca e scalcinata, sperduta, mimetizzata(?) nella pineta, molto abusiva, tutta all’insegna dell’approssimazione: è un quasi bar con un quasi banco, dove viene servito un quasi caffè. Vi suggerisco di leggere le specialità che Pippo, il gestore, propina ai clienti, agli abitudinari, ma soprattutto agli abusivi. E’ insomma l’habitat ideale per descrivere lo spirito viareggino. Vi dicevo: descritto con attenzione lo chalet e questo è molto significativo, infatti il nostro autore ama piuttosto accennare, suggerire. In questo modo stimola e coinvolge direttamente il lettore, stuzzicando la sua fantasia e la sua intelligenza, spingendolo a completare, a interpretare, a decodificare, in base alla personalità, alla formazione e anche allo stato d’animo del momento, sempre fondamentale per dare corpo alla parola scritta. In questo modo il lettore diventa parte attiva nell’operazione libro e credo che questo, per un autore, sia il massimo dei risultati. Ma torniamo allo chalet: lo chalet apre e chiude la vicenda, la domina, è il luogo dove tutti i vari personaggi – Corto compreso – diventano veramente se stessi. Certo ognuno di loro ha la propria casa, ma non ne viene fatto il minimo cenno, perché non importa: il loro habitat è quello sgangherato quasi bar. Nello chalet si fa vita di gruppo: si gioca a briscola (sfide all’ultimo sangue e all’ultimo moccolo), si discute, anzi, si letica di sport e di donne, ma soprattutto è la centrale operativa dove si sviscerano i vari misteri che avvengono in zona, si organizzano indagini, sopralluoghi, appostamenti, perquisizioni, si commentano i risultati e si decidono le strategie per il futuro.  

Quanto ai personaggi, è il gruppo che affianca e sostiene Corto quando si trova a terra, niente a che fare con il fido equipaggio che lo circonda quando è al lavoro sulla sontuosa Delta della Perini Navi. E’ un bel microcosmo, un campionario di varia umanità. Prima di tutto occorre precisare che noi li conosciamo tutti per soprannome: a Viareggio il soprannome è più importante del nome e il cognome, a volte, non se lo ricorda più nemmeno il diretto interessato. Il soprannome è un patrimonio di tutti, è un segno di distinzione: tu cominci ad esistere in un gruppo quando gli altri ti concedono l’onore di un soprannome. I soprannomi escogitati da Oscar sono veri e propri colpi di genio, spesso a duplice valenza, come “Corto”, “Ginko”, e “La Luisa” (andate a scoprire la loro genesi).

                            Carmen Claps

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