Il film giallo italiano
Storia
disincantata di un genere oscillante tra impegno sociale e spaghetti thriller.
(Parte VIII)
1975
Arrivati al 1975
possiamo dimenticare la sciatta produzione (ancora molto attiva) del
giallo all'italiana e prendere un sentiero di qualità, breve ma confortante.
La donna della domenica è un film condotto come una commedia che
segue gli stilemi del giallo classico.
Godibile, a tratti divertente, ma dov'è andata a finire la critica ironica e
corrosiva alla decadente borghesia di Torino negli anni ‘70 presente nel
romanzo?
Un buon
film, ben sceneggiato (il libro è molto lungo), ma un po’ troppo “normale”.
Un
cast stellare (in quel momento la migliore scelta possibile), una buona regiae
un'eccellente fotografia, ma un marketing troppo ammiccante (l'insistenza sul
fallo di pietra) che sa di cialtroneria!
E dire che la premiata ditta F&L voleva solo fare paradossale ironia!
I personaggi sono ben tratteggiati, ma in modo
schematico. Emergono la volgarità del Garrone, il rifiuto del rango di Massimo
Campi, la noia coniugale di Anna Carla, la cortesia prudente, ma solo perché
gli è stata imposta, del Commissario, la grettezza della Tabusso,
meravigliosamente interpretata da Lina Volonghi..
Il trio Mastroianni, Bisset, Trintignant si trova perfettamente a suo agio in questa commedia
gialla improntata all'ironia. Nella penultima scena Mastroianni e la Bisset si
trovano a letto (è domenica): hanno consumato, ma sono sorpresi. Più sorpresi
ancora gli spettatori che non capiscono come sia potuta cadere la barriera sociale
tra i due (nel libro il discorso è meglio condotto, analizzato e giustificato).
1976
Una
perla gialla un po’ horror ce la dona Pupi
Avati. L'influenza di Dario Argento non cambiala lo stile acuto di Avati che ci
intriga più con la suspense dei sentimenti che col sanguinaccio! In alcune scene, e nella scelta di vari stilemi narrativi, sempre con l'originale interpretazione di Pupi, ci riconosco anche l'influenza di Bava.
Avati trasforma la Bassa padana, assolata, sonnacchiosa e
con tanti scheletri negli armadi, nel teatro ideale per un horror. All'epoca
venne notato dalla critica e in seguito è diventato un cult. Bellissimi il
colpo di scena conclusivo e il finale sospeso.
L'innesco della trama. Stefano è un giovane
restauratore a cui, con l'intercessione dell'amico Antonio, è stato affidato
dal sindaco di un paese della provincia ferrarese l'incarico di riportare alla
luce un affresco in una chiesa nella campagna circostante. L'opera è stata
dipinta da un folle pittore del posto morto suicida vent'anni prima, Buono
Legnani, e raffigura il martirio di San Sebastiano.
Stefano rimane molto affascinato dall'affresco, ma
pochi colloqui con il parroco Don Orsi ed altre persone del posto sono sufficienti
a convincerlo che tanto l'opera quanto il suo autore non godono di altrettanta
stima fra la gente del paese. Alcune telefonate anonime, che lo invitano ad
andarsene rinunciando al restauro, e qualche frase sibillina di Coppola,
l'iracondo ed alcolizzato tassista del luogo, gli insinuano il sospetto che
l'affresco e il suo autore nascondano un qualche mistero ...
Pupi Avati trasse l'idea per la realizzazione del
film da un episodio della sua infanzia. Nel comune dove risiedeva fu infatti
aperta la tomba di un prete, ma i resti rinvenuti appartenevano misteriosamente
a una donna. La zia del futuro regista, per farlo star buono quando era
bambino, lo minacciava del possibile arrivo del "prete donna",
spauracchio da lei inventato (al posto dell'omo nero) sulla scorta del fatto sopracitato. Anche
il prete protagonista del film è una donna, situazione che viene rivelata solo
nel finale... come ho fatto io!
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