venerdì 28 aprile 2017

Recensione su un bimbo decenne (II)


DONNE D’ARCANI MINORI

una riflessione, più che una recensione, sul romanzo noir di Oscar Montani e soprattutto su Corto che da dieci anni sta al timone della Delta, veliero costruito dalla Perini Navi
di
Carmen Claps

II
Corto odia essere chiamato "comandante" o "capitano", vuole essere sempre e soltanto Corto, il suo soprannome che ormai è diventato un vero e proprio logo. A questo punto occorre sottolineare l’importanza dei soprannomi nelle storie del nostro skipper. Il soprannome, a Viareggio, è ciò che ti dà diritto di cittadinanza all’interno di un gruppo, è ciò che ti caratterizza, ti stigmatizza in una particolarità fisica, psicologica, lavorativa. Finisce per essere più importante del nome, che talora gli altri non conoscono e del cognome che spesso viene addirittura dimenticato dalla legittimo proprietario. È frutto di un colpo di genio, di una folgorazione improvvisa. A proposito proprio nell’epilogo veniamo finalmente a conoscere il vero nome del protagonista e per i lettori più attenti forse non è una rivelazione troppo sconvolgente.
Corto non ama agire da solo, né sul lavoro né nella vita privata, né, tanto meno, nelle indagini. “Non amo navigare da solo” afferma categorico. Quel verbo navigare sulla bocca di un uomo di mare è perfetta metafora della vita in tutti, proprio tutti i suoi svariati aspetti. A bordo si avvale della collaborazione della sua ciurma, fidata, intelligente, capace. A terra la ciurma si defila per lasciar spazio a un eterogeneo, bislacco gruppo di amici che Cinzia, senza pietà, ma con molto realismo, è solita definire una sorta di "bizzarra" corte dei miracoli. Questi amici sono il reparto investigativo speciale privato di Corto, con le loro attrezzature artigianali, casalinghe, ma efficientissime. Non sempre comprendono e condividono le iniziative e gli ordini del loro leader indiscusso, comunque obbediscono sempre ciecamente e il risultato è garantito. Lo scioglimento finale è il trionfo del gruppo in scene magistrali delle quali vediamo ognuno dei membri con il suo compito specifico in base alle singole competenze, capacità e inclinazioni. Costituiscono un meccanismo perfettamente sincronizzato, complesso, delicatissimo e infallibile.
Corto ha un’indole tormentata, è attanagliato costantemente da dubbi e incertezze, anche se chi non lo conosce può giudicarlo spavaldo e granitico. Già nel prologo il nostro, che narra sempre in prima persona, si presenta in questo stato d’animo attraverso una fitta da serie di efficacissime metafore tratte dal mondo della meteorologia. I suoi tormenti vengono assimilati, di volta in volta, al buio, alla nebbia, alle nuvole. Corto ha il buio, la nebbia, le nuvole intorno e dentro di sé, intorno a sé per gli enigmi nei quali è incappato, dentro di sé per la sua situazione personale. Infatti è angosciato per la piega che sta prendendo il rapporto con un amico e per il suo futuro lavorativo. Infatti ha deciso in maniera irrevocabile (la lettera è pronta da un pezzo, mancano solo data e firma) di dare le dimissioni da skipper; vuole aprire un’agenzia di certificazione nautica in società con l’amico Berto. Non vede l’ora di concretizzare questo cambiamento, ma appena gli si presenta un caso da risolvere coglie al volo l’occasione per rimandare quelle benedette dimissioni.

Corto, oltre che dai suoi tormenti, in quest'ultimo romanzo, è angosciato da fenomeni sensoriali che lo accompagnano per tutto il corso della vicenda. Fenomeni che riguardano udito e vista. Montani è abilissimo nel rappresentarli: lascia sempre il lettore nel dubbio se quelle sensazioni siano reali o suggestioni frutto di un animo e una mente inquieti. Solo quando il protagonista sarà riuscito a spiegare l’origine di quei fenomeni, riuscirà a risolvere l’enigma di quelle morti. Per quel che riguarda l’udito. La vicenda ha una colonna sonora misteriosa, a dir poco inquietante: Corto sente una musica ossessiva, per lui angosciante tanto che la paragona ad un deguello, la musica che in Messico accompagnava le esecuzioni capitali. Capisce ben presto che non è casuale, bensì ha il ruolo di messaggera del destino.

Per quel che riguarda la vista, Oscar mette in campo quello che in scienza viene chiamato effetto di Droste, cioè il moltiplicarsi all’infinito di un’immagine posta tra due specchi paralleli. Prende il nome, inutile precisarlo, dall’immagine sull’etichetta della scatola dei famosi cioccolatini. Questo, che, in teoria, potrebbe essere anche un gioco, per il nostro diventa un’esperienza sconvolgente e dire che ne è colpito proprio in ambienti familiari, rassicuranti. Ma lo specchio con accezione se non negativa almeno inquietante è da sempre presente nell’immaginario collettivo. Pensiamo alla superstizione dello specchio rotto, pensiamo al mito di Narciso, allo specchio della strega di Biancaneve, e in letteratura, tanto per citare solo due autori locali, a “L’uomo che parlava allo specchio”, lo splendido, visionario romanzo di Paolo di Bono, nel quale il protagonista cerca di parlare a se stesso e con se stesso per recuperare la propria identità. Ancora “Lo specchio ritrovato” di Ines Betta Montanelli, una raffinata raccolta di poesie nelle quali lo specchio è una natura incontaminata, purtroppo ormai irraggiungibile nello spazio e nel tempo. Lo specchio dovrebbe essere qualcosa che chiarisce, che mostra, che aiuta a vedere ciò che altrimenti è impossibile vedere, come per esempio, il nostro volto, ma spesso finisce per ingannare, per travisare. È proprio ciò che capita a Corto.
Nel romanzo ci sono alcuni luoghi simbolo, a Viareggio e dintorni, alcuni sono luoghi per così dire pubblici, altri sono luoghi privati, riservati al protagonista e alla sua corte, magari ispirati da luoghi realmente esistenti e rielaborati dalla fantasia dell’autore. Fra i primi la gelateria bar Fappani o meglio ex Fappani, perché ora ha cambiato gestione. Dalle descrizioni sintetiche ma più che esaurienti di Oscar emerge tutta l’amarezza, tutta la nostalgia per un mondo vero, con una ben precisa identità, che sta inesorabilmente scomparendo, spazzato via dagli interessi economici e dalla globalizzazione. In questo locale intanto il protagonista ha modo di rilassarsi e fare scorta di energia con sostanziose colazioni, ma il bar è anche una sorta di ufficio per il nostro skipper che vi si riunisce con gli amici per fare il punto della situazione.
Ancora le dune della Lecciona, alle foci del Serchio. Qui il gruppo si riunisce per celebrare il rito goliardico e becero del primo bagno della stagione, nudi, con tanto di pic nic a base di specialità casalinghe, rito questo che va necessariamente officiato in gruppo. Ma le dune sono per Corto anche il luogo della più profonda concentrazione per cercare verità nascoste; quest’altro rito, invece, va celebrato in solitudine o, al massimo, in compagnia di qualcuno che sappia ascoltarti e capirti, presenza silenziosa, discreta, ma tangibile. Il luogo è talmente importante nella vicenda che proprio qui si chiude la storia, con il protagonista che prima fa baldoria con gli amici, poi si ferma a riflettere e riesce ad assaporare “Le urla del silenzio”. Ecco qui accostate le due funzioni delle dune. Bellissima, struggente, inquietante quell’ossimoro: le urla del silenzio. Da una parte suggerisce il senso di sollievo, di liberazione del nostro investigatore che è finalmente riuscito a venir fuori dal “frastuono” provocato da quegli enigmi e dai suoi dubbi personali, dall’altra il senso di vuoto che, inevitabilmente, deve provare ora che tutto è risolto.

Ancora la Darsena, un miraggio e un incubo. È il luogo nel quale si annida un microcosmo che vive di espedienti, diciamo pure di vera e propria illegalità, un’umanità emarginata ed auto emarginante: ladri, borsaioli, truffatori, spacciatori. Sembra un luogo lontanissimo, addirittura un altro mondo, eppure è proprio lì, a due passi. Grande la soluzione adottata da Oscar: non la descrive, non ne parla mai al presente, ma o al passato (qualcuno vi si è recato per fare verifiche) o al futuro (qualcuno vi si dovrà recare). Questo conferisce una decisa aura di mito al luogo; in questo modo il lettore scatena la propria intelligenza e la propria fantasia, in base alla propria personalità e alla propria formazione e, perché no, allo stato d’animo del momento, sempre fondamentale per dar corpo alla parola scritta. In questo modo diventa parte attiva e non fruitore passivo dell’operazione libro. Per uno scrittore questo è il massimo.


 

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