Una tranquilla provincia criminale
rassegna di alcuni delitti della "provincia liquida" italiana
(VII)
Napoli (I )
La strage di
via Caravaggio (al Vomero) è stato un triplice omicidio avvenuto a Napoli
nel 1975. Dopo
quasi quaranta anni, grazie al DNA, fu riaperto.
Nota: le crude immagini che qui sono allegate sono state trasmesse, a suo tempo, anche dalla Rai all'ora di pranzo e di cena!
Nota: le crude immagini che qui sono allegate sono state trasmesse, a suo tempo, anche dalla Rai all'ora di pranzo e di cena!
I fatti
Nella notte tra
giovedì 30 e venerdì 31 ottobre 1975 (ma il fatto venne scoperto solo il
successivo 8 novembre), all'incirca tra le ore 23:00-23:30 e le 5 del mattino,
al quarto piano del n. 78 di via Michelangelo da Caravaggio, nella parte alta
del quartiere Fuorigrotta, furono uccisi, prima colpiti alla testa con un
oggetto contundente improvvisato (e mai identificato) e, successivamente,
feriti alla gola con un coltello da cucina, tutti gli abitanti
dell'appartamento al quarto piano dell'edificio.
Non sembra un'azione
istantanea. Domenico Santangelo, 54
anni, rappresentante di commercio (ex capitano di lungo corso ed ex
amministratore condominiale), la sua seconda moglie Gemma Cenname, 50 anni,
ostetrica (ex insegnante), e la figlia di lui, Angela Santangelo, 19 anni,
impiegata dell'INAM, nonché il loro cane Yorkshire terrier, di nome Dick
(soffocato con una coperta), richiesero molto impegno da parte dell'assassino.
I corpi di
Domenico Santangelo e di Gemma Cenname furono depositati, assieme al cagnolino
Dick, nella vasca del bagno dell'appartamento.
Il corpo di Angela,
invece, fu avvolto in un lenzuolo e disteso sul letto matrimoniale.
Le prime indagini e il processo
Per quel che riguarda l'aspetto scientifico
dell'indagine, nell'appartamento del triplice omicidio, oltre a impronte di
scarpa (numero 41-42) impresse nel sangue sui pavimenti di alcune stanze e del
corridoio, furono rinvenute impronte digitali su una bottiglia di whisky e una
di brandy appoggiate su un mobile-radio
dello studio di Domenico Santangelo.
Era impossibile per la polizia scientifica dell'epoca
rilevare, ricostruire e identificare tracce biologiche lasciate dall'assassino
sui reperti della scena del delitto.
Le impronte di scarpa e le impronte digitali
risultarono incompatibili con quelle del futuro imputato, Domenico Zarrelli,
nipote di Gemma Cenname, figlio di un presidente di Corte d'Appello deceduto,
fratello dell'avvocato Mario Zarrelli. Lo vediamo in una foto durante il primo
processo, circondato da giornalisti e avvocati.
Per quel che riguarda le indagini non scientifiche,
sulla base delle dichiarazioni rilasciate da un testimone e di altri elementi
indiziari (tra cui, una ferita sulla mano compatibile con un morso di cane),
queste portarono all'arresto il 25 marzo 1976 e alla condanna al'ergastolo in
primo grado di Zarrelli il 9 maggio 1978.
L'accusa: aver compiuto la strage perché in preda a un
raptus dopo essersi visto rifiutare la richiesta di un prestito di denaro dalla
zia Gemma. Non era , forse, il vero movente e non era che l'inizio di una vicenda paradossale su cui incise il principio del "Ne bis in idem": non due valte per la stessa cosa...
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