lunedì 28 novembre 2011

La provincia liquida (III)

La provincia liquida

Analisi semiseria, forse irriverente, in tre puntate, del lato oscuro della provincia italiana. Un luogo dove avvengono terribili delitti, ma le ferite si rimarginano molto alla svelta; dove il tempo non gioca a favore degli investigatori, dove gli eventi fluiscono senza sosta …

(parte III)



Cosa non è la provincia
L’idea, quasi ottocentesca, che la provincia sia “chiusa”  non è più vera, se mai lo è stata.  Basta considerare quanto è praticato in provincia il pendolarismo. E poi: l’omicida di Potenza era a Londra, a Perugia c’era implicata una ragazza di Seattle e un giovane di Bari. Ricordiamoci anche che si sospettava che il delitto di Garlasco fosse “maturato” a Londra!
Quanto ai ruoli, ai caratteri “da format” della storia: non esistono più! La farmacia è comunale e ci lavorano almeno una serqua di precari. Il prete, se c’è è serbo o polacco. Il medico è un giovane neolaureato che si presta a fare guardie mediche. La “signorina” disponibile viene dal Niger e ci ha il suo daffare su un gelida piazzola lungo la statale …
I detective nostrani sembrano ignorarlo e si comportano come se la Brianza fosse nel massiccio a ponente di Salaparuta o il Salento nella Mongolia esterna!  In realtà i potenziali e inconsapevoli (spesso) testimoni parlerebbero, se solo  fossero interrogati con interesse, metodo e attenta discrezione. Gli indagati poi andrebbero subito “sanamente” torchiati; ma è faticoso, impopolare, poco garantista …  “Meno male che ci sono i RIS”: a loro nulla sfugge! Pensiero liberatorio per l’inquirente.

Niente interrogatori: niente movente.
Dei casi della lista non si conosce il movente. Né palese, né quello (per dirla secondo la teoria del maresciallo Miglietta) sottotraccia. Trascurare gli interrogatori (alla Maigret intendo: pressanti, continuativi e soprattutto stressanti!) causa l’inquinamento della realtà. Due i meccanismi che agiscono.
La provincia, che era disponibile a parlare nelle ore subito dopo il delitto, si richiude, si consolida, solidifica. Il colpevole (che è attore-attrice con un ruolo, nel suo contesto) ha il tempo di costruirsi una realtà che gli (o le) consente di presentarsi credibilmente innocente. Male che vada il dubbio si consolida, ma dubbio resta.  
Arrivano sulla piazza del paese i giornalisti delle testate e delle TV locali: dilettanti allo sbaraglio (spesso si dilettano, visto che non sono neppure pagati!) o precari (pure mal retribuiti) che cercano l’affermazione, lo scoop della vita. Il servizio che li faccia notare: si muovono come segugi e, con le loro becere interviste, innescano ogni specie di protagonismo.


La realtà cangia presto in immaginario collettivo, in fantasia, quasi in festa paesana; le testimonianze incrociate s’inquinano, si contaminano a vicenda. Spesso l’investigatore lo percepisce, “niente paura, ci sono le tracce di DNA!”, pensa per rincuorarsi. Ormai facili da rilevare, “vuoi mettere, rispetto alle impronte digitali!”, consentono la costruzione di facili, fallaci e pericolosi teoremi. Qualche mese dopo, può accadere che durante il processo l’impianto accusatorio mostri le sue crepe e si smonti. Intanto nel villaggio anche il magma s’è rifatto liquido e  il nuovo fluire delle cose fa ricordare solo un passato senza macchie. “Taca banda”, che la festa in piazza continui!
(3-fine)

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