Il Maigret di Bruno Cremer
Italiano? No, svizzero!
Parte II: il personaggio
Come
opera Maigret? Bella domanda! Ascoltiamolo. Lui dice, spesso: "Io non penso, cerco!" Ecco il
segugio.
Oppure: "Non credo nulla e non
capisco nulla!". Ecco il dubbioso. Ed anche: "All'inizio non ci avevo capito
nulla!". E' il lato del senso di colpa.
Perché?
Simenon, più o meno, lo spiega così: "In
quasi tutte le sue inchieste, Maigret attraversa un periodo più o meno lungo di
incertezza durante il quale, come dicevano sottovoce i suoi collaboratori,
sembrava ruminare. Nella prima tappa, quando cioè si trova di fronte ad un ambiente nuovo, con delle
persone di cui non sa nulla, sembra che egli aspiri macchinalmente la vita che
l'attornia e se ne gonfi come una
spugna. Egli, volutamente, aspetta il più a lungo possibile prima di formarsi
un'opinione. Oppure non se la forma
affatto. Conserva il suo giudizio
libero da sue opinioni, le più cogenti, fino al momento in cui un'evidenza non
gli si impone o piuttosto che il suo
interlocutore non cominci a cedere".
Altrettanto famoso, e dibattuto, è il cosiddetto metodo di Maigret, che colleghi e superiori (ma
anche i critici letterari) cercano inutilmente di scoprire. Lui, a chi gli chiede quale sia
il suo metodo investigativo, risponde che è quello di non
avere metodo. In realtà Maigret, si lascia guidare dalle proprie
impressioni, s'immerge nell'ambiente dei luoghi in cui i delitti sono stati
commessi e, attraverso una specie di osmosi, ha la capacità d'intuire la
personalità dei diversi protagonisti di un caso e le loro passioni nascoste.
Anche quando Maigret, dopo varie decine di romanzi, ricoprirà
il massimo grado nella polizia, invece di dirigere le operazioni relative alle
indagini dal suo ufficio, lasciando determinati compiti ai suoi ispettori, come
imporrebbe il suo grado, preferisce scendere
per le strade, per conoscere direttamente ambienti e persone,
entrare nelle case, parlare con i testimoni, "usulare" come si dice
in Toscana. Caratteristica, questa, che spesso gli viene rimproverata dai suoi
superiori o dai magistrati ma che a lui serve per immergersi
nell'atmosfera dell'inchiesta.
Famosi
e magistralmente didattici (per chi di mestiere indaga) gli interrogatori del commissario. Maigret
rifugge dall'usare metodi violenti: i suoi interrogatori tendono a far
confessare gli imputati apparentemente per sfinimento. In realtà li avvolge, con
la strategia di un ragno, in una rete di domande. Col passare delle ore e con
l'alternarsi, di seguito a turno, dei collaboratori che ripetono, formulate
diversamente, sempre le stesse domande. Metodo che può
non funzionare, se Maigret si trova di fronte a sospetti delinquenti incalliti
che negano l'evidenza e che non confesseranno mai, ma questo non sembra turbare
il commissario soddisfatto comunque di aver messo tutti i pezzi del puzzle al
loro posto.
Tutte
queste cose Bruno Cremer le ha interiorizzate (deve aver letto più volte le
storie) e le interpreta in modo aderente alla psicologia del personaggio, con stile
credibile e un tono modellato da affetto appassionato. E' sempre circondato da
bravi attori, credo anche loro di teatro. Peccato che il regista, perfezionista,
maniacale direi, nella ricostruzione dell'ambiente anni cinquanta, non sia
altrettanto bravo nel creare la suspense. Nel complesso la narrazione risulta,
purtroppo, un po' piatta, ma è pur sempre godibile.
FINE
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