martedì 15 aprile 2014

Il Maigret che preferisco (II)

Il Maigret di Bruno Cremer

Italiano? No, svizzero!
Parte II: il personaggio

Come opera Maigret? Bella domanda! Ascoltiamolo. Lui dice, spesso: "Io non penso, cerco!" Ecco il segugio. Oppure: "Non credo nulla e non capisco nulla!". Ecco il dubbioso. Ed anche: "All'inizio non ci avevo capito nulla!". E' il lato del senso di colpa.



Perché? Simenon, più o meno, lo spiega così: "In quasi tutte le sue inchieste, Maigret attraversa un periodo più o meno lungo di incertezza durante il quale, come dicevano sottovoce i suoi collaboratori, sembrava ruminare. Nella prima tappa, quando cioè si trova  di fronte ad un ambiente nuovo, con delle persone di cui non sa nulla, sembra che egli aspiri macchinalmente la vita che l'attornia e se ne gonfi  come una spugna.  Egli, volutamente, aspetta  il più a lungo possibile prima di formarsi un'opinione. Oppure non se la forma  affatto. Conserva  il suo giudizio libero da sue opinioni, le più cogenti, fino al momento in cui un'evidenza non gli si impone  o piuttosto che il suo interlocutore non cominci  a cedere".


Altrettanto famoso, e dibattuto, è il cosiddetto metodo di Maigret, che colleghi e superiori (ma anche i critici letterari) cercano inutilmente  di scoprire. Lui, a chi gli chiede quale sia il suo metodo investigativo,  risponde che è quello di non avere metodo. In realtà Maigret, si lascia guidare dalle proprie impressioni, s'immerge nell'ambiente dei luoghi in cui i delitti sono stati commessi e, attraverso una specie di osmosi, ha la capacità d'intuire la personalità dei diversi protagonisti di un caso e le loro passioni nascoste.
Anche quando Maigret, dopo varie decine di romanzi, ricoprirà il massimo grado nella polizia, invece di dirigere le operazioni relative alle indagini dal suo ufficio, lasciando determinati compiti ai suoi ispettori, come imporrebbe il suo grado, preferisce scendere per le strade, per conoscere direttamente ambienti e persone, entrare nelle case, parlare con i testimoni, "usulare" come si dice in Toscana. Caratteristica, questa, che spesso gli viene rimproverata dai suoi superiori o dai magistrati ma che a lui serve per immergersi nell'atmosfera dell'inchiesta.


Famosi e magistralmente didattici (per chi di mestiere indaga) gli interrogatori del commissario. Maigret rifugge dall'usare metodi violenti: i suoi interrogatori tendono a far confessare gli imputati apparentemente per sfinimento. In realtà li avvolge, con la strategia di un ragno, in una rete di domande. Col passare delle ore e con l'alternarsi, di seguito a turno, dei collaboratori che ripetono, formulate diversamente, sempre le stesse domande. Metodo  che  può non funzionare, se Maigret si trova di fronte a sospetti delinquenti incalliti che negano l'evidenza e che non confesseranno mai, ma questo non sembra turbare il commissario soddisfatto comunque di aver messo tutti i pezzi del puzzle al loro posto.
Tutte queste cose Bruno Cremer le ha interiorizzate (deve aver letto più volte le storie) e le interpreta in modo aderente alla psicologia del personaggio, con stile credibile e un tono modellato da affetto appassionato. E' sempre circondato da bravi attori, credo anche loro di teatro. Peccato che il regista, perfezionista, maniacale direi, nella ricostruzione dell'ambiente anni cinquanta, non sia altrettanto bravo nel creare la suspense. Nel complesso la narrazione risulta, purtroppo, un po' piatta, ma è pur sempre godibile.
FINE
 



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