sabato 24 maggio 2014

Interviste impossibili (VI)


Il lato oscuro del delitto
Interviste improbabili

sui lati noir della linea d’ombra




Intervista n. 4
 
Il giardino pensile della 35a strada

New York, autunno 1956. Sul lato sinistro dell’elegante palazzo in arenaria c’era un vicolo stretto e oscuro: mi fu facile parcheggiare la macchina del tempo. La casa (in realtà  un grande palazzo alto tre piani) di Nero Wolfe era situata al numero 918 della 35a strada ovest. Un quartiere di lusso. Capii subito le preoccupazioni di Fritz Brenner: l’affitto doveva costare un occhio della testa! Secondo le sue metriche: un  barile di caviale del Don.
Mentre, sognante, ammiravo  la magione del più famoso, e più caro, investigatore di New York, suonai. Dopo un minuto la porta si socchiuse circospetta. Una voce in falsetto con stizzoso accento francese mi svegliò.
<< Buongiorno lei è un cliente? >> 



<< No, sono qui per l’intervista, ho parlato ieri col signor Goodwin. >>
S’affacciò una grossa testa da fauno. Occhi profondi, labbra sensuali  con sotto una stupenda gorgiera di barba brizzolata. Col cappello da cuoco doveva far la sua figura, ma quando cucinava, come involtava la barba?
<< Dommage! Il giornalista di Past Time! Era meglio un cliente, da dieci giorni “Lui” pensa solo alle orchidee e Archie alle mutandine di pizzo! >>
<< Il signor Goodwin ha questa inclinazione? >>
<< No, no intendevo che è sempre dietro a qualche femmina. Volevo anche dire che tocca a me mandare avanti tutta la baracca … Mi scusi lo sfogo; entri pure le chiamo il signor Goodwin. >>
Come sempre Fritz si preoccupava delle parcelle del padrone. Doveva star bene in quella casa a cucinare prelibatezze; salsicce di mezzanotte a parte, un pesantissimo cibo d’ispirazione crucca. Ma tutti abbiamo qualche scheletro nell’armadio. Mi fece accomodare nello studio: dopo aver letto di tante riunioni risolutive mi sembrava d’essere a casa. Fritz mi scrutò a fondo, poi mi  fece un’offerta.
<< Secondo me lei non ha ancora fatto colazione. Nell’attesa le andrebbe un caffè con dei voulovan mignon ripieni di crema al Grand Marnier? >>
Mi andavano eccome! Si eclissò con un sorriso. Venti secondi dopo depositò un lungo vassoio d’argento alla Bahlsen sul tavolino; al centro, a mo’ di ciminiere, due tazze di caffè fumante: la seconda doveva essere per Archie.
Presi un pasticcino. Mentre mi deliziavo, cercando di evitare che il ripieno mi percolasse sulla giacca, mi avvicinai all’enorme poltrona foderata di pelle che troneggiava dietro la scrivania. Un trono; “certo, pensai, adeguata alle sacre chiappe”! Immerso nella contemplazione degli oggetti di quel sacrario non m’ero accorto che qualcuno m’era arrivato alle spalle. La voce era musicale e sicuramente di quelle che possono stendere una femmina con solo tre parole “Buon giorno bambola!”
<< Interessanti cimeli, vero? >>
Mi voltai. Il tipo, atletico e robusto aveva proprio le fisique du role del detective privato. Peccato per quella barba. “Qui sembrano tutti amish”, pensai, sorpreso, ma risposi per le rime.
<< Molto, soprattutto per me che conosco tante storieche Mr. Wolfe ha brillantemente concluso qui dentro. >>
Sorrise.
<< “Brillantemente” è una parola grossa. Non creda troppo a quello che scrive Fritz, di fatto quando Nero convoca tutti qui, “io” gli ho già risolto il caso. >>
<< Voi? >>
<< Certo, sono Goodwin, Archie Goodwin! >>
Lo disse col sussiego tipico di James Bond, già ma lui il film non poteva averlo visto. Ma forse aveva visto Robert Mitchum nella paste del pastore in La morte corre sul fiume. Sì lo stesso sguardo: forse seduceva solo attempate vedove con la grana. 




Ma il mio pensiero era balzato altrove.
<< Le ha scritte Fritz? Io pensavo che fosse stato lei! >>
<< Grazie, ma Fritz ha meno impegni mondani di me … >>
Ancora quell’odioso sorriso di compiacimento.
<< Certo – uno che dice sempre “certo” m’imbarazza – la mattina e il pomeriggio quando Nero sta in serra, come ora, Fritz non ha nulla da fare. Scrive facendo finta, gli da un sacco di soddisfazione, d’essere me! Naturalmente io gli ho raccontato tutto prima, scopate a parte … è bene che quelle se le immagini e basta. >>
<< Certo – provai a fare un mirror per ingraziarmelo – ma non è che racconta tutto due volte, prima a Wolfe e poi a Fritz? >>
<< Ovvio, con Nero aspetto che esca rilassato dalla serra e poi lo aggiorno. E’ fissato con quelle piantine, ma serve al mito e al carisma. >>
Che strano sodalizio tra questi tre! Il cuoco faceva il romanziere, il grande investigatore si dilettava di coltivazioni tropicali e il detective l’incallito impenitente play boy, forse sesso dipendente. Come poi ci riuscisse con quella barba ispida? Misteri dell’universo femminile, che io non ho mai capito. Cercai di pungere.
<< Fritz, a quanto ho letto, non le rende tutto il merito. >>
<< Nero ha più carisma e diffonde sintomatico mistero in questa stanza. E’ più credibile insomma. Lei mi pagherebbe una parcella di 20.000 dollari per aver risolto un delitto? >>
Mi schernii.
<< Mi sarebbe difficile pagarla anche a Mr. Wolfe! >>
<< Aspetti a vederlo e, mi creda, si dovrà ricredere. Finiamo con calma la colazione e si va di sopra. Mi raccomando, è molto suscettibile e sensibile alle lodi. E … non faccia domande, neppure accenni velati, al suo presunto padre. >>
<< Sherlock Holmes? >>
La sua voce sibilò.
<< Silenzio! Potrebbe ascoltarci dalle bocchette d’areazione o dai tubi della posta pneumatica! Non sopporta di avere un padre più famoso di lui! Mi raccomando. >>
Dieci minuti dopo salivano di sopra con lo sferragliante, ma ampio, ascensore. Archie sbocconcellava svogliato un voulovan. Quando l’ascensore si fermò ingollo tutto in un solo boccone. Guai a contaminare l’ambiente!
Entrammo nella jungla attraverso le due porte che facevano camera stagna. L’atmosfera era soffocante. Migliaia di piantine diffondevano nell’aria il loro odore con venature d’ambigua putredine.



Quando quel bestione, un pachiderma di più di centocinquanta chili sollevò l’enome testa ad uovo da sopra una piantina in fiore mi ricordai di una frase scritta da Archie, no già, da Fritz.
Wolfe alzò il testone. Mi soffermo su questo, poiché ha una testa così grossa che l'atto di sollevarla dà l'impressione di una fatica non indifferente. In realtà dev'essere ancora più grossa di quel che sembra; infatti il resto della sua persona è così enorme che qualunque testa, che non fosse la sua, scomparirebbe letteralmente su quel corpo …”

Mi fissava con sguardo magnetico. Imponente, magnetico e carismatico: un terribile pastore amish. Come non pagare la parcella a uno così? La sua voce bassa era scostante.
<< Lei sarebbe … il giornalista? >>
<< Sì, volevo … >>
<< Se vuole sapere delle orchidee si accomodi, se vuole sapere di me, legga i miei romanzi! C’è tutto lì. >>
Sbottai
<< Li ho letti tutti, ma volevo … >>
<< Sapere delle orchidee, vero? >>
Più lo guardavo o più mi chiedevo quanto potesse essere lunga la circonferenza del  suo cranio. Con oltre  65 cm era candidato ad affiancare un presidente sul monte Rushmore. Non sopporto le orchidee e non mi piacciono le teste a pera. Forse per questo   mi venne in mente Ginko, il mio personaggio agente capo di Polizia, con lui la ginkobiloba e la battuta di un amico …
<< Ha anche qualche  esemplare di Aerangis biloba?
Arrossì di rabbia.
<< No, non coltivo le specie stellari.  Esemplari dozzinali. >>
Non sapevo cosa fossero, né ricordavo come fosse quella che avevo citato, ma avevo segnato un punto dovevo mantenerlo.
<<Peccato, lei dovrebbe porci attenzione, sono di moda e sotto Natale se ne vendono tante! >>
Tre minuti dopo, trasportato a forza da Archie, ero sul marciapiede. Eppure non avevo citato Holmes! La macchina del tempo mi attendeva fedele.
 

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