giovedì 26 giugno 2014

Un assaggio


Sta per uscire con
edizioni
effigi
 VETERA TEMPORA

Una raccolta di   racconti gialli medioevali


Quattro storie di Mastro Niccolò dei Bardi. Indagini tutte immerse nella storia, quella vera ...



Per un pugno di mosche
(1421)
A Moncioni per delle riparazioni alla chiesa deve salvare tre giovani ingiustamente accusati del vile assassinio di Guido Guerra signore del castello di Moncioni.

Calici e doppieri d’argento
(1429)
A Montevarchi riesce a evitare un furto tentato dagli Albizi (per riarmarsi contro Cosimo) ai danni di Antonio Colonna, principe di Salerno e nipote di Papa Martino V

Una pozione miracolosa
(1430)
A Firenze, chiamato da Messer Averardo de' Medici per un restauro sventa con acume e azione serrata un delitto salvando una schiava da avvelenamento.

Strane armi a molla
(1439)
A Montevarchi salva  Papa Eugenio IV da un sicario pagato dai cardinali greci insoddisfatti dei risultati del Concilio appena terminato a Firenze
 

Questo è un assaggio

Calici e doppieri d'argento
(L'incipit del secondo racconto)
Lippo, mio fido giovane allievo, era stato colto da un altro attacco di sonno. Una greve coltre era scesa su di lui. La sera avanti, a casa di Baccio s'era dato da fare con lazzi e balli, ma lo si sa,  i giovani apparsi vispi e allegri durante la notte, la mattina sembrano sonnacchiose marmotte!
Il suo cavallo, sentendo il morso lasco, seguiva al passo il mio, cullando  il ragazzo, che oscillava in bilico sulla sella. I giovani riuscirebbero a  dormir beati anche sull'orlo di un precipizio!
Il tepore del sole, il silenzio della campagna e quello del mio compagno mi dettero argomenti per la riflessione. Mi venne da considerar che gli esuli, qual noi eravamo, vivessero una condizione infelice, piena di contraddizioni e gravata da sospetti e paura. Seppur accolti in una città benevola, come a noi era accaduto a Pietrasanta,  sospettano e temono i forestieri. Se altrimenti sono in viaggio, come adesso ci trovavamo, temono, sospettosi assai, di entrar nelle città come forestieri: tempi precari, precari pensieri!  
Così fu. Evitammo, per scelta, di attraversare Pistoia. La città dei "crucci", come la chiamavano i maligni, era retta dai fiorentini con la regola del "divide et impera".  Mi era noto che a Fiorenza si diceva che "Pisa deve tenersi con le arti, Pistoia con le parti", ma lì, con le scaramucce di parte o li agguati di stiletto, esageravano. Mancava poco al mezzogiorno, le strade erano di certo affollate e noi, riconosciuti subito come forestieri, non s'aveva desiderio alcuno d'incappare in una rissa.
Dopo esser passati sopra la città attraverso il crinale delle colline, mi accorsi che il mio cavallo stava perdendo un ferro. Si scorgevano a sinistra, a una lega da noi, due alte torri di un piccolo borgo murato a rocca. Pareva più un castello, tanto era ben turrito, a guardia della valle o dei possedimenti del signore che vi comandava. Dissi a Lippo che bisognava fermarsi colà per fissare il ferro e anche per prendere un po' di pane e salame, che la scorta era finita e l'andare, con l'aria pungente del mattino, ci aveva fatto venir ancora fame. Lippo mi guardò dubbioso.
« Ci possiamo fidare a entrare in un castello? Maestro, dopo quello che m'avete raccontato di Ricasoli e del suo signore, avrei più che timore. Magari ci comanda uno protervo, come quell'Albertaccio a Ricasoli ».
Alzai la mano con l'indice puntato verso lo stendardo che sventolava sulla torre esagonale, la più alta e spessa.
« Non aver paura. Vedi il giglio! E' borgo di Fiorenza, non castello.  Serravalle è il nome, l'ho riconosciuto, non solo è posto su quell'altura a sorvegliar la valle, ma è anche sede di un magistrato che regola tutto il contado con precise leggi di statuto a tutela della produzione dei campi ».
« Voi che villico non siete, né qui avete avuto mai affari, come lo sapete? ».
« Qualche tempo fa ebbi una questione, per dei lavori, con un fattore di Mercatale. Lo statuto di Montevarchi ha tante leggi per il commercio, poche per chi lavora nei campi. Don Lorenzo allora trasse dagli scaffali un vecchio tomo che mi risolse la questione. Era lo statuto di Serravalle scritto quasi ottanta anni orsono. Fidati questo è territorio tutelato dalla legge ... ».
M'ero ricordato di un aspetto meno tranquillizzante. 
« Anche se ... ».
Non sapevo se dirlo a Lippo, che però non perdeva parola.
« Anche se, Maestro? ».
Cercai di spiegare.
« Sono leggi sbilanciate, la bilancia della giustizia pende un po' a favore dei cittadini, ma va a danno dei forestieri e noi siamo foresti. Quindi Lippo, stai in campana, che per una colpa qualsiasi il carico di pena sarebbe più del doppio ».
Sorrise.
« Più che star zitto, fermo e sonnacchioso, che dovrei fare io che sono quasi un fanciulletto? ».
Entrammo dalla stretta porta a ponente. Stretta di apertura, ma anche di accesso: si dovette passare lo stretto puntiglioso controllo degli armigeri e spiegare il motivo della nostra venuta. Facemmo anche vedere il ferro, il nostro lasciapassare.
Il borgo ci apparve lindo e pulito. Regnava l'ordine, come mi aveva detto essere nei paesi e città della  Svizra un mercante di Perugia che era stato oltre le grandi montagne del nord a vender stoffe di lana pesanti.
Voltammo a destra e dopo pochi passi ci trovammo in un ampio piazzale di fronte alla rocca: quella con la torre ad esagono. Sul lato sinistro sotto una tettoia il posto che si cercava: la bottega del maniscalco. Una donna grassa, laida coi capelli arruffati e la faccia sporca di fuliggine, la presidiava a braccia incrociate. Dalla tasca della pesante gamurra di lana spuntava un martello: pensai fosse la sua arma. Con severo cipiglio, capelli arruffati e occhi arrossati dalla fuliggine, mi fissò ostile da sotto in su.
« Che vi bisogna? ».
« Del fabbro, ho un ferro che s'è quasi staccato ».
Scosse la testa.
«  Non pole servirvi ».
« E' malato? ».
Fece una smorfia e stese la mano con l'indice puntato verso il centro della piazza.
« Peggio, è alla berlina! Ci deve stare anche domani e il giorno appresso ... e poi chissà! ».
Mi voltai e lo vidi. Un uomo grande e grosso era serrato alla gogna proprio in mezzo alla piazza. Aveva il busto piegato in avanti,  la berlina, troppo bassa, non era stata confezionata alla sua misura. Alcuni ragazzetti scalzi e sudici lo ingiuriavano beffardi e gli tiravano palle di fango misto a sterco di cavallo secco o forse peggio....
(segue sul libro VETERA TEMPORA in uscita con effigi edizioni)

Nessun commento:

Posta un commento