giovedì 18 dicembre 2014

Detective story (10)

"Private Eye"
ovvero investigatori privati.
(10)
I signori del giallo (parte I)

Ellery Queen (1929 - La poltrona n. 30)


 

Ellery è un giovane giallista di successo, nonché "sedicente" investigatore dilettante. Mostra mente lucida e analitica, ma logica sintetica, stringente. E' laureato ad Harward ed è interessato al crimine non per curiosità, come dice lui, ma per un'astuta forma di automarketing a supporto della sua brillante e redditizia attività di scrittore. E' quindi una balla che "non guadagni nulla dalla sua attività di investigatore". Lo dicono molti suoi ammiratori. Non si rendono conto che i romanzi sono il resoconto delle sue inchieste, che così vende un sacco di libri in più e che negli anni '30 già era affermato anche in Italia. Si notava anche da lontano nelle edicole visto che era stampato in bizzarri libri con la copertina gialla.


Suo padre Richard Queen, di origine, e di carattere, irlandese, è ispettore capo della squadra Omicidi della polizia di New York. Spesso e volentieri "accetta" l'aiuto di Ellery   nelle indagini sui delitti che la squadra, da questi diretta, deve affrontare. Delitti in verità molto strani e complessi che, di solito, la Polizia non si trova davanti.


La poltrona n. 30, il primo caso, definì subito il paradigma delle indagini successive: un crimine insolito, prove spesso contrastanti, la presenza di Richard Queen e del suo assistente, il sergente Velie. Via, via la messa a disposizione del lettore di tutti gli elementi utili a scoprire il colpevole e infine la conseguente “sfida al lettore” che precedeva la soluzione del caso. Giusto per far sentire il lettore un minus abens, ma senza violare le regole auree di S.S. Van Dine.
E', questa pantomima finale, la confessione del movente che muove Ellery a svolgere indagini: raccogliere elementi per poter proporre un enigma. Alimenta anche l'ambiguità del personaggio autore. Una trovata che ha fatto la storia del giallo. La "sfida al lettore" di Ellery Queen è possibile solo grazie alla procedura poliziesca (messa in atto dal padre) confusa il giusto dall'esuberanza del figlio Ellery, l'autore. Egli, sornione, dopo aver fornito nella narrazione tutti gli elementi necessari, sfida il lettore a risolvere il caso, coinvolgendolo in un gioco di intuito e deduzione assai stimolante.   


Se dal padre Richard, irlandese con i piedi per terra e poliziotto rigoroso e preciso, Ellery eredita l'interesse verso il crimine, deve invece alla madre scomparsa l'intelligenza critica, la logica stringente e l'aspetto un po' snob coltivato con l'atteggiamento di chi non deve lavorare per mantenersi. Invece lavora, crea le premesse per scrivere il romanzo. Ma i lettori sono ingenui e ci cascano o fanno finta di crederci anche quando il furbone chiede loro se hanno capito chi è stato.



Gli autori (quelli veri) si ispirarono alla logica di Sherlock Holmes e alla figura distaccata, presuntuosa e un po' cinica di Philo Vance. Solo che Ellery risulta simpatico. Ma se l'atteggiamento e il comportamento di Ellery Queen nei primi romanzi era parte essenziale del personaggio (si concederà anche qualche avventura galante di tanto in tanto), egli, via, via, diventerà sempre più astratto, perderà smalto tanto che in seguito la sua presenza nei romanzi sarà giustificata solo dal suo ruolo risolutore, senza aggiungere altro colore alle vicende... a parte il suo cappello floscio. Un gadget televisivo anni '70 che mai, un "dandy" si sarebbe sognato di mettersi in capo nel 1930!!! Sul volto di Jim Hutton niente da dire, tutti lo conoscono per Ellery.
(10-segue) 

 

 

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