Natale di cacc(i)a
Ti
ho visto. Due lapislazzuli feroci brillano fissi e avidi nel buio della
Notte Santa. Tra me e quelle luci di ghiaccio solo la neve. Lo sapevo:
saresti arrivato in silenzio e avresti aspettato. La pazienza del lupo
solitario è la cosa che temo di più. Quando siete in branco assalite
subito, ma un lone wolfe sa aspettare.
Nel
sacchetto di ruvida juta conservo pancetta salata e croste di pane per i
tuoi denti aguzzi, ma sei troppo affamato. La fame fa tornare lupi: so
che, senza chiedere altro, tenterai di bere il mio sangue. Ti avventerai
prima che possa provare a offrirti un tozzo. Nelle scarpe sento vagare
piccoli sassi aguzzi entrati quando sono scivolato di corsa nel dirupo
della pietraia. Artigli di silice in cerca di carne da tagliare, rune
che indicano un destino da cui fuggire. Cincischiano feroci ora sulla
punta, ora sul tallone; credo di sanguinare. Lascio una traccia che ti
fa diventare ancora più feroce. Non ho più voglia di correre, cammino
per inerzia, a passi pesanti, per non so dove. Ormai non è nemmeno una
fuga, ormai sento il fetore del tuo fiato, ormai avverto l’eco del
vigore ferino dei tuoi passi, incalzanti e nervosi; pieni di scatto e
forza; ormai sento la fine.
Mi
rincorrevi, un tempo, quando eravamo amici, fino a saltarmi tra le
braccia; pesavi. Ora le sento pesare di una stanchezza di piombo che
toglie il respiro.
"Che Natale di cacca!",
mi dico a voce alta. Voglio che tu mi senta. Mi siedo su una pietra
levigata dal tempo per masticare il tuo pane. Si rompe con rumore di
legna secca, pian piano lo biascico, diventa morbida pappa. E’ allora
che odo, anziché carole, lancinanti, le urla del silenzio.
(02-segue)
(02-segue)
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