lunedì 20 luglio 2015

Giallo Italiano (0-1)


Giallo italiano
  Il lungo esordio
1852-1969



(0-1)
Tracce sospette di giallo

Premessa
Qualche giorno fa, in aula, una mia studentessa settantenne (parlo di una delle due Libere Università dove tengo lezione) Mi chiese. "Perché prima di Scerbanenco non c'è nessuno che scriveva gialli in Italia?" Le ho chiesto "Quale scerbanenco?" Lei si è irrigidita, sforzo da poco e mi ha controbattuto "Come quale, lui!". Le ho spiegato che gli Scerbanenco erano tre, "lo staniero", "lo scrittore di romanzi rosa" e "il milanese". Mi ha ascoltato con interesse e poi ha precisato: "Quello di Milano". No comment. Ma ci vuole un po' di storia.
La maggior parte degli appassionati della letteratura giallo poliziesca considera come inizio, in Italia, di questa corrente letteraria (non mi piace chiamarlo “genere”) il secondo periodo del grande Giorgio Scerbanenco. E’ un errore e si trascurano cento anni di storia della letteratura italiana. Cercherò di farvi capire quanto invece sia importante questo lungo (un secolo) esordio. Resta comunque una pietra miliare di metà percorso, il cippo che segna il limite tra il prima e il dopo Scerbanenco.

1852

Le origini del poliziesco in Italia vengono, dagli accademici (non tutti d'accordo), fatte risalire ad un  romanzo del 1852 Il mio cadavere del napoletano Francesco Mastriani  (1819-1891). L'opera di Mastriani è considerata uno dei primi romanzi gialli della storia: compare la figura di un medico investigatore (il personaggio del dottor Weiss), sono presenti aspetti del giallo psicologico, descrizioni di medicina legale e anche elementi del genere horror. Ma è come paragonare una pur fantasiosa zuppa contadina a un raffinato potage di Parigi!



1887

L'ho citato per dovere di cronaca, ma io ritengo che il primo giallo italiano sia uscito 35 anni dopo in parallelo ( e senza saperlo) a Sherlock Holmes. Si tratta del romanzo Il cappello del prete  del milanese Emilio De Marchi (1851-1901). La storia, un delitto per interesse di casta,   è ambientata a Napoli ed è ben caratterizzata  dal punto di vista psicologico e perfetta nei ritratti dei personaggi.  Nulla deve a Conan Doyle, semmai si sente l'influenza di Delitto e castigo, ma la sottile ironia e la genuina ambientazione napoletana della storia ne fanno una vicenda assolutamente originale, ben congegnata nella trama, nella suspense ad orologeria e molto divertente. Purtroppo un unicum, né l’autore, perso dietro alle disgrazie di Demetrio Pianelli, né potenziali imitatori ne hanno continuato la strada.





1929

Nel 1929, 42 anni dopo, l'editore Mondadori esordì con la sua  prima collana mensile di libri polizieschi, poi libri “gialli” anche nella copertina. Prima di lui aveva iniziato Sonzogno con I Romanzi Polizieschi, ma Mondadori avrebbe lasciato il segno "giallo". Divennero infatti anche un marchio, pubblicati da un illuminato editore italiano: Arnoldo Mondadori. Non era la prima volta che in Italia, senza però far collana o marchio editoriale, si pubblicavano romanzi di questo tipo, si ricordi l’edizione del Verri di Sherlock Holmes. In quanto al  termine  “giallo” ancora non era stato neppure pensato. La collana cominciò con autori americani e inglesi. Il rischio imprenditoriale fu presto ripagato da repentino successo: ventimila copie a titolo da moltiplicare per cinque lire!

1931






Due anni dopo, rischio per rischio, Mondadori (sollecitato anche dal Regime per cui aveva stampato i manifesti della Marcia su Roma!), dopo aver battezzato la collana I Libri Gialli, dette fiducia a un autore italiano: Alessandro Varallo, titolo Il sette bello (I Libri Gialli n.21). Questo la Sonzogno non l'aveva mai osato! Varallo non era uno sconosciuto, né uno scrittore esordiente, accettò la proposta di Mondadori per allargare i propri orizzonti letterari. Aveva già scritto raccolte di poesia, novelle, saggi, opere teatrali, romanzi di costume e storici. I gialli gli parvero una nuova frontiera.
Il sette bello è tutto italiano: location e personaggi. Siamo in una Roma borghese un po’ troppo spensierata, ma godibile. Indaga il commissario Ascanio Bonichi, molto diverso da Philo Vance o Sherlock Holmes e con una gran carica di umanità.




Un successo, deve far seguito con Le scarpette rosse


1932

Nel frattempo Varaldo ha confezionato la terza indagine di Ascanio Bonichi: arriva “a grande richiesta” La gatta persiana.



Terza avventura  di Bonichi e non sarà l’ultima, anche se a Varaldo non  giovò. Vediamo perché.  Il romanzo ha il suo punto di forza nel  linguaggio particolare , un mélange di italiano colto, se non erudito, e di un argot romanesco assai gradevole e il suo punto debole nella assoluta mancanza di suspense. Il plot infatti si dipana con estrema lentezza, senza colpi di scena.  I personaggi, che pure sono tanti e ben caratterizzati, non intrigano il lettore, non lo coinvolgono. Tutto si svolge come a teatro, in una commedia elegante e ben architettata. Inoltre il giallo di Varaldo fu  pubblicato tra due Edgar Wallace (“La compagnia dei ranocchi” e “La valle degli spiriti”) Il lettore italiano, ormai smaliziato, fece i dovuti confronti e per il giallista Varaldo iniziò il declino.
  
1934
 Sulla scia di Varaldo si mette subito Alessandro De Stefani, ma il suo romanzo, ligio alle preferenze del Regime, non è “tuttoitaliano”. Meglio che i delitti siano commessi all’estero: la Patria è terra operosa e tranquilla!



L’inizio: “Robert(o) Menard, giovane ed intraprendente reporter del quotidiano parigino “Le Jour”, è appena sbarcato a Le Havre dopo due mesi molto avventurosi trascorsi in Amazzonia che  viene costretto dal suo Capo a ripartire dalla Gare de Lyon per Napoli sulle piste del collega Huguenot del “Grand Parisien” …”
De Stefani aveva capito benissimo l'ambiguità del Regime, altri venuti dopo, no. 



Infine mi piace ricordare Tito Antonio Spagnol, il suo giallo L’unghia del leone è di ottima fattura e di buon livello letterario. E’ ambientato a New Yok, una città vera e credibile, ma Spagnol ci aveva vissuto e la conosceva bene.
 

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