Giallo italiano
Il lungo esordio
1852-1969
(0-1)
Tracce sospette di giallo
Premessa
Qualche giorno fa, in aula, una mia studentessa settantenne (parlo di una delle due Libere Università dove tengo lezione) Mi chiese. "Perché prima di Scerbanenco non c'è nessuno che scriveva gialli in Italia?" Le ho chiesto "Quale scerbanenco?" Lei si è irrigidita, sforzo da poco e mi ha controbattuto "Come quale, lui!". Le ho spiegato che gli Scerbanenco erano tre, "lo staniero", "lo scrittore di romanzi rosa" e "il milanese". Mi ha ascoltato con interesse e poi ha precisato: "Quello di Milano". No comment. Ma ci vuole un po' di storia.
La maggior parte degli appassionati della letteratura giallo poliziesca considera come inizio, in Italia, di questa corrente letteraria (non mi piace chiamarlo “genere”) il secondo periodo del grande Giorgio Scerbanenco. E’ un errore e si trascurano cento anni di storia della letteratura italiana. Cercherò di farvi capire quanto invece sia importante questo lungo (un secolo) esordio. Resta comunque una pietra miliare di metà percorso, il cippo che segna il limite tra il prima e il dopo Scerbanenco.
La maggior parte degli appassionati della letteratura giallo poliziesca considera come inizio, in Italia, di questa corrente letteraria (non mi piace chiamarlo “genere”) il secondo periodo del grande Giorgio Scerbanenco. E’ un errore e si trascurano cento anni di storia della letteratura italiana. Cercherò di farvi capire quanto invece sia importante questo lungo (un secolo) esordio. Resta comunque una pietra miliare di metà percorso, il cippo che segna il limite tra il prima e il dopo Scerbanenco.
1852
Le origini
del poliziesco in Italia vengono, dagli accademici (non tutti d'accordo), fatte
risalire ad un romanzo del 1852 Il mio cadavere del napoletano
Francesco Mastriani (1819-1891). L'opera
di Mastriani è considerata uno dei primi romanzi gialli della storia: compare
la figura di un medico investigatore (il personaggio del dottor Weiss), sono
presenti aspetti del giallo psicologico, descrizioni di medicina legale e anche
elementi del genere horror. Ma
è come paragonare una pur fantasiosa zuppa contadina a un raffinato potage di
Parigi!
1887
L'ho citato
per dovere di cronaca, ma io ritengo che il primo giallo italiano sia uscito 35
anni dopo in parallelo ( e senza saperlo) a Sherlock Holmes. Si tratta del
romanzo Il cappello del prete del milanese Emilio De Marchi (1851-1901).
La storia, un delitto per interesse di
casta, è ambientata a Napoli ed è ben
caratterizzata dal punto di vista
psicologico e perfetta nei ritratti dei personaggi. Nulla deve a Conan Doyle, semmai si sente
l'influenza di Delitto e castigo, ma la sottile ironia e la genuina
ambientazione napoletana della storia ne fanno una vicenda assolutamente
originale, ben congegnata nella trama, nella suspense ad orologeria e molto
divertente. Purtroppo un unicum, né l’autore, perso dietro alle disgrazie di
Demetrio Pianelli, né potenziali imitatori ne hanno continuato la strada.
1929
Nel 1929, 42
anni dopo, l'editore Mondadori esordì con la sua prima collana
mensile di libri polizieschi, poi libri “gialli” anche nella copertina. Prima di lui aveva iniziato Sonzogno con I Romanzi Polizieschi, ma Mondadori avrebbe lasciato il segno "giallo". Divennero infatti anche un marchio, pubblicati da un
illuminato editore italiano: Arnoldo Mondadori. Non era la prima volta che in
Italia, senza però far collana o marchio editoriale, si pubblicavano romanzi di
questo tipo, si ricordi l’edizione del Verri di Sherlock Holmes. In quanto al termine “giallo” ancora non era stato neppure pensato.
La collana cominciò con autori americani e inglesi. Il rischio imprenditoriale
fu presto ripagato da repentino successo: ventimila copie a titolo da
moltiplicare per cinque lire!
1931
Due anni
dopo, rischio per rischio, Mondadori (sollecitato anche dal Regime per cui
aveva stampato i manifesti della Marcia su Roma!), dopo aver battezzato la
collana I Libri Gialli, dette fiducia a un autore italiano: Alessandro
Varallo, titolo Il sette bello (I Libri Gialli n.21). Questo la Sonzogno non l'aveva mai osato! Varallo non era uno
sconosciuto, né uno scrittore esordiente, accettò la proposta di Mondadori per
allargare i propri orizzonti letterari. Aveva già scritto raccolte di poesia,
novelle, saggi, opere teatrali, romanzi di costume e storici. I gialli gli
parvero una nuova frontiera.
Il sette bello è tutto italiano: location e personaggi. Siamo in una Roma borghese un po’
troppo spensierata, ma godibile. Indaga il commissario Ascanio Bonichi, molto
diverso da Philo Vance o Sherlock Holmes e con una gran carica di umanità.
Un successo,
deve far seguito con Le scarpette rosse
1932
Nel
frattempo Varaldo ha confezionato la terza indagine di Ascanio Bonichi: arriva
“a grande richiesta” La gatta persiana.
Terza avventura
di Bonichi e non sarà l’ultima, anche se
a Varaldo non giovò. Vediamo perché. Il
romanzo ha il suo punto di forza nel linguaggio particolare , un mélange
di italiano colto, se non erudito, e di un argot romanesco assai gradevole e il
suo punto debole nella assoluta mancanza di suspense. Il plot infatti si dipana
con estrema lentezza, senza colpi di scena. I personaggi, che pure sono
tanti e ben caratterizzati, non intrigano il lettore, non lo coinvolgono. Tutto
si svolge come a teatro, in una commedia elegante e ben architettata. Inoltre il
giallo di Varaldo fu pubblicato tra due Edgar Wallace (“La compagnia dei
ranocchi” e “La valle degli spiriti”) Il lettore italiano, ormai smaliziato,
fece i dovuti confronti e per il giallista Varaldo iniziò il declino.
1934
Sulla scia di Varaldo si mette
subito Alessandro De Stefani, ma il suo romanzo, ligio alle preferenze del
Regime, non è “tuttoitaliano”. Meglio che i delitti siano commessi all’estero:
la Patria è terra operosa e tranquilla!
L’inizio: “Robert(o) Menard, giovane ed
intraprendente reporter del quotidiano parigino “Le Jour”, è appena sbarcato a
Le Havre dopo due mesi molto avventurosi trascorsi in Amazzonia che viene
costretto dal suo Capo a ripartire dalla Gare de Lyon per Napoli sulle piste
del collega Huguenot del “Grand Parisien” …”
De Stefani aveva capito benissimo l'ambiguità del Regime, altri venuti dopo, no.
Infine
mi piace ricordare Tito Antonio Spagnol, il suo giallo L’unghia del leone è di
ottima fattura e di buon livello letterario. E’ ambientato a New Yok, una città vera e credibile, ma
Spagnol ci aveva vissuto e la conosceva bene.
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