mercoledì 31 agosto 2016

Teketekeblog Delitti e cucina (VIII)

 

Abduzione e gusto

cosa aiuta di più la mente di un detective durante un’indagine complessa,
un arancino o un bicchiere di Calvados?

 (VIII)

La cucina marsigliese di Fabio Montale
 
 
 
Jean-Claude Izzo (1945-2000) è un autore “particolarmente profondo” di romanzi noir. Nero cupi e pessimisti.  Grazie al solido impianto con cui descrive e illustra il contesto, scava a fondo nella società e nell’antropologia marsigliese. Con la trilogia Fabio Montale (Casino totale, Chourmo, Solea) ha riportato in evidenza il noir francese. Nei suoi libri ci sono   echi di Montalban, ma la cucina spagnola è lontana mille miglia!. Il fumo delle sigarette  richiamerebbe  alla mente  Maigret, ma lui fuma la pipa ed è meno “dannato”!   Il personaggio di Izzo è pure molto meno efficiente del commissario, ma ci porta in giro, guida perfetta, negli angoli più intimi e segreti di Marsiglia.
 
« … Marsiglia si scopriva così. Dal mare. Come l’aveva scoperta il Focese, un mattino, secoli fa. Con lo stesso stupore. Port of Massilia. Qui esistevano gli amanti felici, avrebbe potuto scrivere un Omero marsigliese, evocando Gyptis e Protis. Il viaggiatore e la principessa. Il sole apparve dietro le colline. Lole mormorò: Oh convoglio dei gitani. Che lo strepito dei nostri cavalli possa orientarti… Una delle poesie preferite di Leila. Erano tutti qui. I nostri amici, i nostri amori. Lole posò la mano sulla mia. La città poteva incendiarsi. Bianca, poi ocra e rosa. Una città in armonia con i nostri cuori…. )».
(Casino totale)
 
 
C’è un’apparente contraddizione ("imperdonabile", potrebbe pensare qualche lettore superficiale) nei romanzi della trilogia marsigliese di Fabio Montale. Jean Claude Izzo, l’autore, amante della cucina,  mette spesso a tavola (immedesimandosi) Fabio. Vien da chiedersi: “Con tanti disgraziati, emarginati e disperati che gli crepano intorno malamente gli resta pure l’appetito?”. A quel lettore “di Voghera” non  resta facile, con nelle narici l’odore acre del sangue, mettersi a tavola col protagonista.
Ma se si rilegge con attenzione si diventa presto indulgenti. Nelle riflessioni di Izzo, come c’è la pesca in barca, non può mancare la cucina. Come non manca un bicchiere (anzi tre) di pastis.
 
 
 
Una cucina povera, popolare (come il distillato dall’anice della Ricard, il migliore), lontana dalle mode gastronomiche; una cucina fatta di cose semplici, passione, umanità, storie personali e genialità. Pazienza se i piatti non sempre sono all’altezza, in fondo se ci si pensa è un po’ come la vita, ci si arrangia con quello che offre la giornata.
Chi ha letto i libri di Jean-Claude Izzo sa che il cibo è spesso protagonista: Fabio Montale ama la cucina, la buona cucina, anche se non di rado gli tocca di mangiare male anzi malissimo. La cucina tradizionale per lui è un modo di superare il duro, frustrante quotidiano.
Per i lettori appassionati consiglio: “L’amore, la morte e il basilico. La cucina marsigliese di Jean-Claude Izzo di Pierpaolo Pracca - Il leone verde edizioni.
 
 
 
Non è   un libro da suggerire al neofita: si troverebbe di colpo catapultato nell’universo letterario del protagonista narratore senza poter cogliere il bandolo della matassa. E’ pur vero che in questo testo si parla soprattutto di cucina, dei sapori e delle fragranze che la cucina marsigliese e mediterranea riescono ad evocare, con cura maniacale vengono raccontati i tre elementi fondamentali a cui rimanda il titolo. Il sapore dell’aglio in bocca ad una ragazza, il profumo della pianta di basilico sul davanzale di una finestra, la delizia della menta non sono altro che stati mentali che ben si accordano con le strofe di Brauquier, la musica di Piazzolla, le suggestioni mediterranee volta per volta evocate con un personaggio (come accade nella trilogia di Fabio Montale) o da una musica lontana.
Ma vediamo un brano e due ricette.
 
« … Honorine era insuperabile nel cucinare i peperoni ripieni. Alla rumena diceva. Riempiva i peperoni con riso, salsiccia, carne di manzo, sale e pepe. Li metteva in un recipiente di terra cotta e li ricopriva d’acqua. Aggiungeva salsa di pomodoro, timo, alloro e santoreggia. Lasciava cuocere a fuoco molto lento e senza coperchio. Il sapore era meraviglioso, soprattutto se alla fine si aggiungeva un cucchiaio di panna.” … »
(Casino totale)
 
Peperoni alla rumena
Ingredienti (per 6 persone): 6 peperoni 1 kg di riso 1 salsiccia tritata e 1/2 kg di carne di manzo una presa di origano, timo, alloro e santoreggia 3 cucchiai di olio d’oliva e 1 cucchiaio di panna.
Per la salsa: 500 gr di pomodori freschi 1 cipolla e 1 cucchiaio di prezzemolo,poco olio d’oliva, sale e pepe
Lavare i peperoni e riempirli con una farcitura di riso, pasta di salsiccia e carne di manzo. Aggiungere sale, pepe e mettere in una pignatta ricoprendo d’acqua tiepida, passata di pomodoro, alloro e santoreggia. Lasciare cuocere per mezz’ora a fuoco lento e prima di servire versare sopra un cucchiaio di panna.
La zuppa di pesce Buillabaisse
 
Ingredienti (per 6 persone):
Pesce misto, 2 kg (scegliete pesci con carne soda, come la coda di rospo, il pesce san pietro, il nasello. Irrinunciabile lo scorfano).
1 aragosta (in sostituzione, code di scampi)
Passato di pomodoro, q.b.
Zafferano, 1/2 bustina
Olio, 2 dl
1 cipolla
Prezzemolo, q.b.
Aglio, 2 spicchi
Alloro, 1 foglia
Timo, 3-4 rametti
Fette di pane, q.b.
Sale e pepe, q..b.

Preparazione:
(“Oggi si bisticcia sui mille e tanti modi di preparare la bouillabaisse. Per non offendere nessuno, dichiarerò che la cosa migliore è prepararsela da sé.” J.-C. Izzo)

Preparate un soffritto con quattro cucchiai d’olio, la cipolla, l’aglio e il prezzemolo tritati, a cui aggiungerete due cucchiai di passata di pomodoro. Adagiate nella padella i pesci grandi a carne soda tagliati a pezzi, copriteli a filo con acqua, regolare sale e pepe. Aggiungere mezza bustina di zafferano, l’alloro, alcuni rametti di timo. Portate a bollore e cuocete a fuoco vivace per 20 minuti. Aggiungete l’aragosta (o gli scampi) e continuate la cottura a fuoco vivo per 10 minuti.
A cottura ultimata, disponete n una terrina i pesci e i crostacei, in modo che ogni commensale li scelga secondo il proprio gusto. Versate invece il sugo ben caldo nei piatti singoli, nei quali avrete disposto in precedenza fette di pane casereccio abbrustolito.

Grazie a Honorine (che gli fa da madre) Fabio mangia prelibatezze. Ma frequenta anche ristoranti.  Montale (Jean-Claude) è un amante della buona cucina e cita numerosi locali nei libri della trilogia.
A proposito della cucina marsigliese, in “L’amore,la  morte e il basilico.” si afferma:
“Marsiglia non è provenzale, non lo è mai stata. Nella maggior parte dei ristoranti, quindi, si mangiano cose semplici e a prezzi onesti, piatti senza artifici legati non a una tradizione ma a una tenace fedeltà alle origini. Qualcuno l’ha già detto: la cucina qui non si innova, non “si mescola”, perpetua. Mangiare ti riporta al tuo paese. Mettersi a tavola, in casa come al ristorante, in famiglia, tra amici, vuol dire far rivivere la memoria, i ricordi”. (p. 46).
In questo stesso capitolo (“Mi piace sentire Marsiglia vibrarmi sotto la lingua”) si sofferma su ricette e piatti tipici che si possono gustare a Marsiglia.
Dove?

Innanzitutto da Paul, in rue Saint-Saens, al Vieux Port.
« … Ci eravamo visti tre o quattro volte, per chiacchierare, davanti a un piatto di spigola e finocchi alla griglia, da Paul in rue Saint-Saens. Uno dei pochi ristoranti del porto, insieme all’Oursin, dove non ti trattano da turista… ». (Solea, p. 23)
 
Oppure a L’Oursin al Vieux-Port. Uno dei migliori locali per mangiare ostriche, vongole, ricci e uova di mare. E questo ordinai, insieme a una bottiglia di Cassis. Il bianco di Fontcreuse. (Chourmo, p. 209)
 
Vicino a Paul c’è anche Mario, in place de Thiers.
« … Avevo preso Marie-Lou per un braccio, e l’avevo portata dall’altra parte di cours Jean-Ballard, in place Thiers. Da Mario. Un piatto di mozzarella e pomodori, con capperi, acciughe e olive nere. Spaghetti alle vongole. Tiramisù. Il tutto accompagnato da un Bandol del domaine di Pibarnon. … ». (Casino Totale, p. 74)
 
O ancora, per rimanere sulla cucina italiana, Chez Etienne in rue Lorette al Panier.
« … Le saracinesche erano abbassate. Le strade deserte. I ristoranti vuoti, o quasi. Tranne Chez Etienne, in rue Lorette. Ma erano ventitrè anni che era lì, Etienne Cassaro. E faceva la miglior pizza di Marsiglia. “Conto e chiusura secondo l’umore” avevo letto su un articolo di Geo su Marsiglia. L’umore di Etienne ci aveva spesso nutrito gratis. … ». (Casino Totale, p. 116)
FINE

martedì 30 agosto 2016

Antologia di corti

Scrivere tra amici vecchi e nuovi
 
Stamani l'amico Elio Marracci mi ha dato la mia copia dell'antologia a cui ho partecipato con un racconto. E' un piacere  raro lo scrivere insieme e poi rileggere gli amici.
Per chi è in cerca di divertimento:

domenica 28 agosto 2016

Aria inquieta e inquietante

PRESTO IL MISTERO SARA' SVELATO

Si manifestano ambigue, doppie, sfuggenti e inquiete (*)...
appaiono, svaniscono, ora lente, poi veloci
mutanti nella forma, come nubi spinte dal Mistral...

L'arcana mano di tarocchi è accompagnata una musica inquietante che aleggia in crescendo nell'aria,
sembra ricorra, ma già è
cresciuta di un tono e incalza, e crescerà ancora...
 quale mistero annuncia?
 
 
Ascoltate la brezza ed ecco...
da
Musikalisches Opfer BWV 1079
il canone 5. a 2 per tonos
Ascententenque Modulatione Ascendat Gloria Regis
 
che sta per compiersi un delitto!
 
(*) Vi offro in prima assoluta la bozza della copertina del romanzo con cui (grazie alla collana Narrazioni di  éffigi edizioni - CP adver) celebreremo il decennale di Corto

Teketekeblog Delitti e cucina (VII)

 

Abduzione e gusto

cosa aiuta di più la mente di un detective durante un’indagine complessa,
un arancino o un bicchiere di Calvados?


 (VII)

Sono ormai dieci anni che Giuseppe Lisi, detto Pino, ribattezzato   Pinot dal "comandante", fa il cuoco di bordo della Delta la nave pilotata da Corto.
 
E' anche il decennale dello skipper detective ideato da Oscar Montani (che poi sarei io). Le immagini sono dei primi due volumi tutti e due usciti ad ottobre 2006 (valli a capire gli editori!). Quest'anno, ad ottobre, a Viareggio ci sarà una festa letterario-editoriale! Vi terrò informati.
 
Un veliero, la Delta Sierpinsky, per crociere di lusso; su questa nave di 36 metri  il cuoco Pino “crea” con passione , mentre con altrettanta passione, Corto indaga.
Così ce lo descrive lo skipper viareggino, quando va a trovarlo, per la prima volta  (La Delta velata), nel suo piccolo regno.
<< Il cuoco stava dando gli ultimi ritocchi di riordino alla piccola cucina. Sembrava il solista del balletto degli ippopotami rosa nel cartone animato di Walt Disney.  Si muoveva con grazia: con una spugnetta verde nella destra, tenuta come un merletto, dava piccole passate e asciugava le gocce. Pur costretto in così poco spazio riusciva, con ritmo, a imporre l’ordine alle cose.
Chiesi il permesso d’entrare e mi sistemai sullo sgabello nell’angolo, cercando di lasciare più libero possibile l’ambiente. … >>
Pinot sa di avere una missione nella vita, far contento il prossimo con la cucina. sentitelo.
<<Mi sembra che per lei, Pino, confezionare cibo significhi prendersi cura di qualcuno. Coi suoi piatti, scrive la  storia,  tramanda  la cultura. Vero? >>
L’inzimino poteva aspettare. Pino, annuì commosso.
<<Dare da mangiare significa mettersi in intimità con gli altri. E’ qualcosa di   complesso e  semplice allo  stesso tempo: una costruzione alchemica. Passione e intenzione sfiorano la magia della trasformazione della materia, che però comincia il suo processo dal produttore: una gallina allevata male non può dare buon brodo! >>
Quando serve il suo cibo, lo serve di persona, non ammette intermediari, prova soddisfazione a spiegarlo (da L’oro degli aranci).
<<Coltellacci? Cosa sono? >>
Guardai Pino perché spiegasse. Anche lui partì alla grande.
<<Si tratta di molluschi bivalvi, vengono anche chiamati cannolicchi. Coltellacci rende meglio il loro aspetto, quello delle due valve a forma di lama.  Sono lunghi sui 10 cm e si trovano piantati nella sabbia della “battima” dopo le mareggiate. Si devono mettere a spurgare nell’acqua salata come si fa per le arselle. Si mettono quindi in una pentola per farli aprire e poter estrarre i corpi, che si dicono “anime”. Queste anime devono essere tritate sul tagliere e, se contengono ancora della sabbia, risciacquate in acqua fredda. Fatte tutte queste operazioni si mette dell’aglio tritato in un tegame con olio e peperoncino, a cui si aggiungeranno i coltellacci preparati, un po’ di   conserva di pomodoro o di passata e l’acqua cavata dai coltellacci… poi sta alla sensibilità del cuoco. Buon appetito! >>
<<Pino era all’inizio del suo spettacolino serale. Pozzi Godini, secondo copione, aveva chiesto e Pinot interpretava la parte del cordon bleu mentre ci serviva seppie e baccalà all’inzimino.
<<Si sbollentano i pomodori in acqua bollente, si spellano, liberandoli dei semi e dell'acqua di vegetazione poi si tagliano a dadini. Si puliscono le seppie, liberandole dall'osso e della vescica d'inchiostro, poi si spellano e si tagliano a listerelle e si lavano lavatele… col baccalà è più facile ma bisogna aver fatto un ammollo accurato di almeno 12 ore con vari cambi d’acqua… >>
Per me, che non avevo pranzato, l’odore più che appetitoso era afrodisiaco e il sapore tanto stimolante che non seppi resistere: mi impegnai solo a gustare quelle delizie perdendomi la parte centrale della recita.
<<… si profuma con del pepe e si prosegue la cottura a fuoco basso per una quarantina di minuti. Si pone il tutto sul piatto da portata et voilà! >>
Ma come tutti gli artisti, per far contenti gli amici, è disposto a deroghe alternative.
<<Per stasera ho dei progetti “di livello” che non posso cambiare ma se ora vi andasse un bel fritto di paranza ho giusto un chilo e mezzo di  pesciolini, piccoli, piccoli: merluzzi, trigliette, ghiozze e sogliolette… pescati stamani all’alba. >>
Pinot vi aspetta nel prossimo romanzo per raccontarvi una grande, incredibile, ricetta: linguine alle cicale di mare (spannocchie). Una afrodisiaco che vi lascia in trance per almeno una serata! Per cominciare dovete andare la mattina presto alla passerella mobile del porto di Viareggio (davanti a Tito al molo), poi ...
In attesa dell'uscita di Donne di arcani minori per éffigi edizioni, dove la ricetta viene servita in tavola da Pino,   potete consolarvi con le ricette di EIKONES, sempre di Oscar Montani - Romano editore.

(VII - segue)

giovedì 25 agosto 2016

Teketekeblog Delitti e Cucina (VI)



Abduzione e gusto
cosa aiuta di più la mente di un detective durante un’indagine complessa,
un arancino o un bicchiere di Calvados?

 (VI)

Con Salvo Montalbano, visto che c’è di mezzo la Sicilia, il discorso sul cibo bisogna affrontarlo con ampie e “colorate”  vedute prospettiche. 
Secondo i siciliani "Cumannari è meggiu ca futtiri", e per futtiri "bene abbisogna mangiari"! 
 
Così afferma il vecchio boss dei Sinagra. Dalle passioni (atavici rancori, odi, sesso e amori), passando per l’ironia, a volte amara, s’arriva alla cucina. Se sia per la via maestra o per intricati sentieri non è mai certo. Sono elementi presenti ovunque nel mondo di Montalbano e del suo autore, che ci disegna una nuova trama delle emozioni in quell’isola metafora del mondo come ebbe a definirla Leonardo Sciascia.
La passione per la cucina in Montalbano, a maggior ragione, è espressione della storia e della cultura siciliana: i cibi sono tutti in linea con la tradizione popolare. In questi il cibo ha (o esprime coi suoi sapori)   valenze affettive molto forti. In genere sinonimo di privazioni storiche, ma anche materializzazione dell’amore, nella fattispecie materno, che nel cibo trova il suo prolungamento. Montalbano è spesso da solo, mangia da solo e se c’è qualcuno non parla: lui dialoga col cibo, un dialogo intimo.  Nel cibo trova pace, riflessioni di background,    speranza di poter cambiare quella brutta realtà che affronta nel quotidiani, di una ricomposizione con le cose, con il mondo, con sé stesso. E’ un profondo rapporto intimo. Cibo come legame alla vita, ad una terra, ad una cultura, espressione di una affettività che trova nella visceralità della ingestione del cibo il proprio rituale di continuità, forse con la memoria o con il semplice piacere di gustare la vita in un sol boccone.
In tutti i libri in cui è protagonista Montalbano, la cucina, siciliana, acquista un ruolo rilevante (grazie anche ai due personaggi di Adelina, la cameriera (madre culinaria), e di Calogero, proprietario della trattoria omonima (l’espressione culturale, appunto), perché il commissario è un buongustaio, ma anche perché solo. Affettività, spesso convivialità, passionalità, comunicazione.
 
Riassaporiamo alcuni significativi passaggi tratti da alcuni libri di Camilleri, proponendovi nello stesso tempo una piccola raccolta di ricette di cucina siciliana.
Dal Cane di terracotta: <<...nel forno troneggiava una teglia con quattro porzioni di pasta 'ncasciata, piatto degno dell’ Olimpo, se ne mangiò due porzioni" (pag.120); "...Montalbano trovò pronto in frigo il sugo di seppie, stretto e nero, come piaceva a lui. C'era o no sospetto d’origano ? L'odorò a lungo, prima di metterlo a scaldare..." (pag. 143), "Che mi hai accattato? Ci faccio la pasta con le sardi e pi secunnu purpi alla carrettiera”. >> (pag. 234). 
Da La gita a Tindari: << “Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina (*) ! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s'assittò.” >> (pag. 219).
Da Il ladro di merendine: << “Perché non resta a mangiare con me ? Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. Veramente avrei tanto da... Pina, la cammarera, è un’ottima cuoca, mi creda. Oggi ha preparato pasta alla Norma , sa, quella con le milinzane fritte e la ricotta salata. Gesù ! Fece Montalbano assettandosi.  ….”>> (pag. 62)
Da Gli arancini di Montalbano: << “Gesù, gli arancini di Adelina ! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta: Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara …” >> (pag, 329).
Provate a raccontarle in italiano! Non sentireste i sapori che trasmettono! Le potete trovare tutte, con tante altre, sul sito dei fans di Camilleri, da cui ho tratto utili spunti: http://www.vigata.org/cucina/ricette.shtml

(*) Ricetta della caponatina (Scusate se non metto quella degli arancini, ma ci vorrebbero tre pagine!)

Ingredienti

4 grandi melanzane tonde

150 g di olive verdi denocciolate

90 g di capperi sottosale
30 g di uvetta
30 g di pinoli
4 dl di salsa di pomodoro
1 dl di aceto
50-80 g di zucchero (dipende dal tipo di aceto)
1 cipolla
2 coste di sedano
basilico
3 cucchiai di mandorle
pangrattato
olio
sale
Procedimento
Tagliate le melanzane a cubetti e friggeteli in una padella colma d’olio ben caldo, sgocciolateli con la paletta bucata e asciugateli su carta assorbente da cucina. In un tegamino con il doppio fondo fate caramellare la cipolla tagliata ad anelli sottilissimi con 40 grammi di zucchero. In un pentolino fate scaldare la salsa di pomodoro poi unite l’aceto e il restante zucchero. Sbollentate il sedano e tagliatelo a pezzetti. Sbollentate le olive e tagliuzzatele. Fate ammorbidire l’uvetta in poca acqua calda. Lavate i capperi in una ciotola di acqua e aceto. In una larga padella fate scaldare due cucchiai d’olio e fatevi dorare il sedano con la cipolla caramellata, aggiungete i capperi, le olive, le uvette strizzate, i pinoli e, dopo alcuni minuti, la salsa di pomodoro, il basilico spezzettato a mano, la dadolata di melanzane e fate sobbollire per 15 minuti. Regolate il sale e lo zucchero. Ritirate e trasferite la caponata sul piatto da portata. In un padellino scaldate un filo d’olio, aggiungete il pangrattato, fatelo dorare e poi cospargetelo sulla caponata, completate con le mandorle pelate, tostate e tritate e lasciate raffreddare prima di servire a tavola.
 
(VI - segue)

 

martedì 23 agosto 2016

Lo chalet recensito (III)

 

Come da tradizione e da lunga amicizia, Carmen Claps, critica letteraria di Sarzana, mi ha fatto avere questa recensione. Vediamo come giudica la pineta di levante di Viareggio e i suoi “indigeni”.

Delitti in pineta 

(III)
Fuori dal mitico Chalet (se ne narra da un anno prima dell'antagonista Bar Lume), una nota se la merita Egisto. Da sempre combatte una lotta dura senza paura per la sopravvivenza di qualsivoglia elettrodomestico contro il consumismo e la globalizzazione di massa e delle masse; cambia condensatori e soprattutto resistenze, sotto la supervisione del Che, di cui tiene religiosamente appeso un manifesto nel suo negozio: Hasta la resistienza siempre. La modifica al motto è veramente da comunista incarognito! Riparare vecchi aspirapolvere, ferri da stiro vetusti e phon dal ronzio scintillante è per lui, vetero stalinista, un compito rivoluzionario.
 

 
Lo ribadisco: di tutti questi personaggi non è descritto alcun particolare fisico, tranne i peli del Bestia e la gobba del Gibboso, eppure il lettore li ha davanti vivissimi, concreti, chiaramente ogni lettore a modo suo e, a questo proposito sarebbe interessante chiedere ad ognuno di fare un ritratto per esempio di suor Miranda: sono sicura che ne vedremmo di tutti i colori.
 
 

Qualche considerazione sull’aspetto formale. Intanto l’autore, prevalentemente nei dialoghi, ricrea la parte toscana della lingua idiomatica viareggina, nel vocabolario, nella cadenza e nella sintassi. Ci regala preziosi recuperi di termini molto particolari, per citarne solo due ho in mente il verbo scempiare per indicare la distruzione di qualcosa, splendido retaggio dantesco, e il verbo risargire, per indicare il rimarginarsi di una ferita. Ancora i verbi coniugati impersonalmente, con il si al posto della prima persona plurale: si va invece di andiamo. Efficacissimi gli incisi che, inseriti nel bel mezzo di un periodo, hanno la funzione di sottolineare e rafforzare un concetto. Grazie alla grande padronanza della lingua, Oscar si permette di definire oggetti, situazioni, ma soprattutto persone con una serie di aggettivi – quasi sempre tre – che si chiariscono, si completano e si rafforzano a vicenda. Per esempio, l’odore dei gelsomini è definito dolce, appiccicoso, mefitico. I vicini di casa sono astiosi, pallosi, rancorosi, invidiosi; davanti a qualcosa di molto particolare una persona rimane sbalordita, imbarazzata, basita. Come sempre preziose le similitudini, due per tutte: sobbalzò come una bilia colpita da un flipper; il vento faceva sbattere i manifestini come tappetini in un lavaggio auto. Efficace la trovata di rivolgersi direttamente al lettore. In questo modo Oscar elimina ogni barriera, annulla ogni distanza riuscendo a portare il lettore proprio lì, seduto su una delle sgangherate sedie del quasi bar e a partecipare a quelle zingarate, rischiando di sorbire un sorso della micidiale mistura d’armonica.
Per tutti questi motivi sono perfettamente consapevole che questo mio lavoro è assolutamente inutile: questi racconti vanno solo letti e magari riletti, non si possono raccontare o commentare, perché è impossibile renderne il ritmo, l’atmosfera, lo spirito.
 
 
Proprio due parole su ognuno dei sei racconti
 
Piante assassine
Pur immersa nella solita ironia, nel solito sarcasmo qui l’atmosfera è surreale, con un’angoscia crescente creata alla perfezione dalla descrizione degli odori e dei colori di quei gelsomini “assassini” e giustizieri.
Vicini non troppo carini
Molto articolato: nell’ossatura dell’evento centrale, come in una sorta di gioco a incastri, Oscar inserisce una serie di altre storie e lo fa con un pretesto quanto mai originale e accattivante. Sono storie sulla linea di quelle che il nostro autore ha raccontato in un libro del 2006, “Inconfessabili Moventi”, un vero e proprio gioiello. Ci presenta situazioni che partono dalla più assoluta quotidianità e sfociano nei delitti più efferati, compiuti con perfida lucidità, per i motivi più banali e più incredibili. Il colpevole non nutre il minimo rimorso, anzi, si sente in diritto – dovere di compiere quel delitto.
La scomparsa di Ivano
Ritmo incalzante: ubriacanti sfide a calciobalilla, inseguimenti mozzafiato e chi più ne ha più ne metta. Il calciobalilla è il passatempo perfetto per gli avventori dello chalet, semplici spettatori o giocatori che siano. Rientra infatti in quella strenua lotta che al quasi bar, magari inconsapevolmente, viene combattuta contro il modernismo, la globalizzazione e l’appiattimento. Come per magia ci troviamo trasportati negli anni 50 o giù di lì, quando estate significava juke box e biliardino, oggetti ormai misteriosi per le generazioni del tablets, che non sanno cosa si sono persi.
Il concorso letterario
E’ l’esordio di suor Miranda come detective. Qui Oscar adotta la struttura del racconto che nasce da un racconto, più semplice a leggersi che a spiegarsi, qualcosa di molto intrigante che ha la sua genesi addirittura nel metateatro di Plauto, Calderon della Barca, Shakespeare, Pirandello e scusate se è poco. In prosa ho in mente i sorprendenti “Il libro delle illusioni” di Paul Auster e “La vendetta del traduttore” di Brice Matthieussent. Eccezionale la scena risolutiva in cui tutto il gruppo è in azione per incastrare il colpevole e si muove come un macchinario congeniato e programmato alla perfezione. A questo l’autore ci ha abituato con tante scene finali dei suoi romanzi, solitamente notturne, per esempio quella de “L’oro degli aranci” e “Eikones”. Qui, invece, siamo in pieno giorno, ma il risultato è ugualmente notevole con l’effetto flou procurato dal candore abbagliante della tonaca di suor Miranda.
Una passeggiata salutare
Qui, partendo dai miti della pineta di levante, arriviamo niente meno che a Santiago de Compostela, o meglio, da questo santuario tutto prende le mosse. Simpaticissime le figure dei protagonisti e sorprendente la conclusione, perfettamente in linea con lo spirito beffardo, impietoso che domina l’opera.
Surgelati in scadenza
E’ l’episodio più lungo,  che tira le fila e dà finalmente pace (e gloria, grazie a Corto) a Miglietta perché viene fatta luce sul caso del freezer del prete. Qui troviamo concentrati tutti gli ingredienti del genere investigativo soft boiled: travestimenti, appostamenti, interrogatori e situazioni paradossali, se non surreali.
 
                            Carmen Claps
FINE
 

lunedì 22 agosto 2016

Lo chalet recensito (II)

Come da tradizione e da lunga amicizia, Carmen Claps, critica letteraria di Sarzana, mi ha fatto avere questa recensione. Vediamo come giudica la pineta di levante di Viareggio e i suoi “indigeni”.

Delitti in pineta 

(II)
 

Per completare il quadro de Lo Chalet in pineta bisogna presentare i frequentatori abituali (Nota: i clienti extra, o di passaggio, sono insignificanti, assenti e in fondo non poi molto ben accetti, anzi guardati con spregio) con una rapida carrellata. Apre la sfilata, è giusto così, Pippo, il gestore, il moderatore nelle risse, il supervisore nelle partite a briscola, che ci tiene a mettere le mani avanti: “da Pippo trionfa sempre la democrazia, anche se nel mio chalet comando io”.

 


Poi il Bestia, sedicente fotografo high tech (forse un genio da silicon valley, chissà), che nel suo sconcertante laboratorio assembla inquietanti apparecchiature combinando pezzi del meccano del nipote e arnesi da cucina ormai inutilizzabili. E’ un gigante pelosissimo dal cuore tenero e la mente non sempre proprio pronta. A capire a fondo la sua indole sono stranamente le donne, che, infatti, non usano mai il soprannome, ma lo chiamano col suo nome anagrafico, Gianfranco o addirittura Gianfranchino.

C’è Ginko, personaggio enigmatico, tormentato agente capo di polizia, amico di Corto da una vita, col marchio della tristezza perennemente impresso sul volto, tormentato da un ambiguo episodio del suo passato per ora non chiarito, alla ricerca improbabile di rivalse gettandosi a capofitto in indagini pericolosissime che lui definisce parallele, cioè personali, cioè segretissime, cioè illegali.

 

 


C’è Teddi, fotografa di arte sacra ex pregiudicata, convertita da una strana suora spagnola grande esperta d’arte. Ancora c’è il suo fidanzato, il maresciallo dei carabinieri Maglietta (all’anagrafe Miglietta), che deve il soprannome al suo terrificante gusto cromatico che gli fa indossare pantaloni e magliette dai colori impossibili, che fanno letteralmente a pugni tra loro. E’ il tormento del gruppo perché ha due ossessioni, una generale e una particolare. La prima è che, nelle sue indagini il nostro è fissato sui moventi sottotraccia, cioè gli impulsi più nascosti, più remoti, più inconfessabili, magari inconsci che possono spingere una persona ad un delitto. Maglietta è assolutamente convinto e fiero di questa sua intuizione tanto da credere che anche i frequentatori dello chalet siano interessatissimi all’argomento.

 

 


 

La seconda ossessione è quella del caso del freezer del prete, di cui facevo cenno all’inizio, che lui non si capacita di non avere risolto e che avverte come una macchia indelebile sulla sua divisa. E’ appunto, come dicevo, questo rovello che lega i sei episodi. Maglietta affligge gli amici con questi tormenti che per tutti i personaggi (egli stesso e i clienti del bar) sono una vera e propria disperazione, mentre il lettore si può scatenare in grasse risate. Pensate che il buon maresciallo cerca addirittura di organizzare cicli di terrificanti conferenze (tipo i cineforum di fantozziana memoria) sull’argomento. Solo la disperazione riesce ad aguzzare l’ingegno dei malcapitati per escogitare geniali sistemi per sfuggire a quelle torture.

Ci sono due nuovi personaggi eccezionali. Uno è Gismondi, senza soprannome forse perché talmente fresco di ingresso nel gruppo che non si è ancora avuto il tempo di trovargliene uno azzeccato o forse perché non se lo è ancora meritato. E’ un preside di liceo in pensione, con una piccola, trascurabile caratteristica: è troppo sensibile al fascino femminile specie se trattasi di fanciulle in fiore. Di fronte ad una bella adolescente non sa proprio dominarsi: pensate che non riesce a trattenersi nemmeno davanti, cioè dietro, al bel lato B di una giovane suora. L’argomento è delicato diciamo pure scottante, eppure l’autore riesce a trattarlo con grande leggerezza, sia l’atteggiamento riprovevole di Gismondi che le reazioni che possiamo facilmente immaginare del gruppo.

 


La sorpresa più grande è un personaggio femminile. Questo non sorprende i lettori di Oscar: infatti il nostro autore circonda ciascuno dei suoi tre investigatori di grandi donne, di ogni età, personalità e ruolo, semplici cammei o vere protagoniste, vittime o colpevoli. Sarebbe inutile e dispersivo citarle, sono tantissime e indimenticabili. In questa raccolta Oscar inserisce suor Miranda. Già per il suo ingresso in scena adotta un effetto speciale straordinario: la suora compare come una nuvola bianca, a causa della sua divisa, a metà tra l’etereo e l’inquietante. Ma non è assolutamente un personaggio ultraterreno, ce ne rendiamo conto subito. Intanto è missionaria a Boromo, nel Burkina Faso, quindi costretta e ormai abituata ad affrontare ogni giorno miseria, malattia, violenza. Per spostarsi in quelle zone dimenticate da Dio e dagli uomini è diventata un’abilissima biker: la sua bici è ormai un’appendice del suo corpo. Da queste poche note vi siete senz’altro resi conto che suor Miranda ha proprio poco, per non dire nulla, della classica iconografia delle suore, chiuse nel loro mondo e fuori del mondo, spesso acide, severe, poco concrete. Suor Miranda è curiosa, è innamorata della vita, pur nella consapevolezza dei grandi mali che la travagliano, c’è immersa completamente, vuole conoscerla, vuole migliorarla, specie quella degli altri. Corto la incontra nel corso di un’indagine. La religiosa dimostra subito di che pasta è fatta, prestandosi senza esitare, con un sorriso un po’ sornione con un piglio e un entusiasmo tutto speciale. Naturalmente il suo contributo alla soluzione del caso risulta determinante, con una bella componente di divertimento. Accetta perfino di travestirsi.

A questo punto è d’obbligo una maxi parentesi in merito ai travestimenti. Questi sono una delle strategie preferite da Corto in coppia con Miglietta. Il maresciallo si diverte tantissimo a indagare in incognito, sotto mentite spoglie, “a fare i Serpico”, come dice lui. “E chi saremo?” Chiede eccitato, “contento come un bamboretto quando scarta i regali la mattina di Natale”. Naturalmente, come è giusto e doveroso in un’opera corale che si rispetti, tutto il gruppo partecipa al rito del travestimento: chi dispensa consigli, chi sbeffeggia impietoso, ma ci vuole anche questo, chi procura qualche oggetto utile. Quindi esilarante la recita, ma anche i preparativi. Spesso Corto e Miglietta usano oggetti molto casalinghi, che magari nulla avrebbero a che fare con lo scopo per cui vogliono usarli. In questi racconti vediamo per esempio Corto nei panni di un idraulico; con Miglietta impersona poi un sussiegoso, ma anche fintamente accomodante e condiscendente tecnico per la manutenzione caldaie. Questo è un brano da antologia, nel quale Oscar fa ricorso a un ubriacante gioco verbale per confondere una portinaia, sulla linea della supercazzola brematurata di Amici Miei. Nell’episodio che la vede al centro, suor Miranda si traveste, pensate il geniale paradosso, niente meno che da testimone di Geova. Fantastici i preparativi: il travestimento è curato nei minimi particolari, perfino i colori e lo stile degli abiti, perfino gli oggetti. Suor Miranda, che si è preparata in privato, risulta perfetta. Quale poi sia l’esito di questa recita è un’altra storia, anche questa godibilissima. Comunque ogni iniziativa di suor Miranda è finalizzata all’interesse della sua missione, per la quale è disposta proprio a tutto. Mi aspetto clamorosi sviluppi di questo personaggio.

Oscar ci regala anche splendide figure che sono solo semplici comprimari, oppure comparse o addirittura solo cammei. Cito Giulia, ex Giulio, un trans che don Sesto ha redento reclutandola come animatrice nel suo oratorio e che fa anche la drag queen con un certo successo. Ancora Taitan che era più di una promessa del calcio e che, per un infortunio, dai sogni di gloria negli stadi della serie A, si è trovato precipitato nella disperazione di una zoppia permanente. Soprattutto penso al Gibboso. Come indica inequivocabilmente il soprannome, ha una gobba sulla schiena. E’ un personaggio che fa parte di quella umanità tutta particolare della darsena. Campa di illegalità, per esempio di spaccio. Molto acuto lo studio della sua personalità tormentata, solo in apparenza menefreghista e strafottente.

                            Carmen Claps