martedì 23 agosto 2016

Lo chalet recensito (III)

 

Come da tradizione e da lunga amicizia, Carmen Claps, critica letteraria di Sarzana, mi ha fatto avere questa recensione. Vediamo come giudica la pineta di levante di Viareggio e i suoi “indigeni”.

Delitti in pineta 

(III)
Fuori dal mitico Chalet (se ne narra da un anno prima dell'antagonista Bar Lume), una nota se la merita Egisto. Da sempre combatte una lotta dura senza paura per la sopravvivenza di qualsivoglia elettrodomestico contro il consumismo e la globalizzazione di massa e delle masse; cambia condensatori e soprattutto resistenze, sotto la supervisione del Che, di cui tiene religiosamente appeso un manifesto nel suo negozio: Hasta la resistienza siempre. La modifica al motto è veramente da comunista incarognito! Riparare vecchi aspirapolvere, ferri da stiro vetusti e phon dal ronzio scintillante è per lui, vetero stalinista, un compito rivoluzionario.
 

 
Lo ribadisco: di tutti questi personaggi non è descritto alcun particolare fisico, tranne i peli del Bestia e la gobba del Gibboso, eppure il lettore li ha davanti vivissimi, concreti, chiaramente ogni lettore a modo suo e, a questo proposito sarebbe interessante chiedere ad ognuno di fare un ritratto per esempio di suor Miranda: sono sicura che ne vedremmo di tutti i colori.
 
 

Qualche considerazione sull’aspetto formale. Intanto l’autore, prevalentemente nei dialoghi, ricrea la parte toscana della lingua idiomatica viareggina, nel vocabolario, nella cadenza e nella sintassi. Ci regala preziosi recuperi di termini molto particolari, per citarne solo due ho in mente il verbo scempiare per indicare la distruzione di qualcosa, splendido retaggio dantesco, e il verbo risargire, per indicare il rimarginarsi di una ferita. Ancora i verbi coniugati impersonalmente, con il si al posto della prima persona plurale: si va invece di andiamo. Efficacissimi gli incisi che, inseriti nel bel mezzo di un periodo, hanno la funzione di sottolineare e rafforzare un concetto. Grazie alla grande padronanza della lingua, Oscar si permette di definire oggetti, situazioni, ma soprattutto persone con una serie di aggettivi – quasi sempre tre – che si chiariscono, si completano e si rafforzano a vicenda. Per esempio, l’odore dei gelsomini è definito dolce, appiccicoso, mefitico. I vicini di casa sono astiosi, pallosi, rancorosi, invidiosi; davanti a qualcosa di molto particolare una persona rimane sbalordita, imbarazzata, basita. Come sempre preziose le similitudini, due per tutte: sobbalzò come una bilia colpita da un flipper; il vento faceva sbattere i manifestini come tappetini in un lavaggio auto. Efficace la trovata di rivolgersi direttamente al lettore. In questo modo Oscar elimina ogni barriera, annulla ogni distanza riuscendo a portare il lettore proprio lì, seduto su una delle sgangherate sedie del quasi bar e a partecipare a quelle zingarate, rischiando di sorbire un sorso della micidiale mistura d’armonica.
Per tutti questi motivi sono perfettamente consapevole che questo mio lavoro è assolutamente inutile: questi racconti vanno solo letti e magari riletti, non si possono raccontare o commentare, perché è impossibile renderne il ritmo, l’atmosfera, lo spirito.
 
 
Proprio due parole su ognuno dei sei racconti
 
Piante assassine
Pur immersa nella solita ironia, nel solito sarcasmo qui l’atmosfera è surreale, con un’angoscia crescente creata alla perfezione dalla descrizione degli odori e dei colori di quei gelsomini “assassini” e giustizieri.
Vicini non troppo carini
Molto articolato: nell’ossatura dell’evento centrale, come in una sorta di gioco a incastri, Oscar inserisce una serie di altre storie e lo fa con un pretesto quanto mai originale e accattivante. Sono storie sulla linea di quelle che il nostro autore ha raccontato in un libro del 2006, “Inconfessabili Moventi”, un vero e proprio gioiello. Ci presenta situazioni che partono dalla più assoluta quotidianità e sfociano nei delitti più efferati, compiuti con perfida lucidità, per i motivi più banali e più incredibili. Il colpevole non nutre il minimo rimorso, anzi, si sente in diritto – dovere di compiere quel delitto.
La scomparsa di Ivano
Ritmo incalzante: ubriacanti sfide a calciobalilla, inseguimenti mozzafiato e chi più ne ha più ne metta. Il calciobalilla è il passatempo perfetto per gli avventori dello chalet, semplici spettatori o giocatori che siano. Rientra infatti in quella strenua lotta che al quasi bar, magari inconsapevolmente, viene combattuta contro il modernismo, la globalizzazione e l’appiattimento. Come per magia ci troviamo trasportati negli anni 50 o giù di lì, quando estate significava juke box e biliardino, oggetti ormai misteriosi per le generazioni del tablets, che non sanno cosa si sono persi.
Il concorso letterario
E’ l’esordio di suor Miranda come detective. Qui Oscar adotta la struttura del racconto che nasce da un racconto, più semplice a leggersi che a spiegarsi, qualcosa di molto intrigante che ha la sua genesi addirittura nel metateatro di Plauto, Calderon della Barca, Shakespeare, Pirandello e scusate se è poco. In prosa ho in mente i sorprendenti “Il libro delle illusioni” di Paul Auster e “La vendetta del traduttore” di Brice Matthieussent. Eccezionale la scena risolutiva in cui tutto il gruppo è in azione per incastrare il colpevole e si muove come un macchinario congeniato e programmato alla perfezione. A questo l’autore ci ha abituato con tante scene finali dei suoi romanzi, solitamente notturne, per esempio quella de “L’oro degli aranci” e “Eikones”. Qui, invece, siamo in pieno giorno, ma il risultato è ugualmente notevole con l’effetto flou procurato dal candore abbagliante della tonaca di suor Miranda.
Una passeggiata salutare
Qui, partendo dai miti della pineta di levante, arriviamo niente meno che a Santiago de Compostela, o meglio, da questo santuario tutto prende le mosse. Simpaticissime le figure dei protagonisti e sorprendente la conclusione, perfettamente in linea con lo spirito beffardo, impietoso che domina l’opera.
Surgelati in scadenza
E’ l’episodio più lungo,  che tira le fila e dà finalmente pace (e gloria, grazie a Corto) a Miglietta perché viene fatta luce sul caso del freezer del prete. Qui troviamo concentrati tutti gli ingredienti del genere investigativo soft boiled: travestimenti, appostamenti, interrogatori e situazioni paradossali, se non surreali.
 
                            Carmen Claps
FINE
 

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