Il "poliziottesco",
un genere quasi tutto italiano
un genere quasi tutto italiano
Parte I
La nascita di un
sotto genere di maniera
Premetto che non ho mai amato questi film. Forse riflettevano, anticipandone gli umori peggiori, il clima dell'epoca, forse ero abituato ad altra roba di qualità superiore chissà? Prendetemi con le molle.
Il poliziesco autarchico, detto con spregio e irriverenza “poliziottesco” (sopravvalutato nel bene, sottovalutato nel male sociale), nasce alla chetichella, anche se il film aveva un po' di spessore, con Banditi a Milano, del 1968. Nasce in seguito alla brutta sorpresa, non ancora digerita dai milanesi, della rapina con mitra alla gioielleria di Via Montenapoleone. A Milano saranno ambientati molti altri film.
Il poliziesco autarchico, detto con spregio e irriverenza “poliziottesco” (sopravvalutato nel bene, sottovalutato nel male sociale), nasce alla chetichella, anche se il film aveva un po' di spessore, con Banditi a Milano, del 1968. Nasce in seguito alla brutta sorpresa, non ancora digerita dai milanesi, della rapina con mitra alla gioielleria di Via Montenapoleone. A Milano saranno ambientati molti altri film.
Come sottogenere di risulta, il poliziottesco conosce la sua stagione aurea quattro anni dopo (segiterà per
tutti gli anni ’70) sulla scia del
successo ottenuto da La polizia ringrazia (1972) con Enrico Maria Salerno: diventato
famoso (più per la voce che per la sua arte) come doppiatore di Clint nel
ciclo dei dollari. L'idea di questo film (firmato Steno col suo vero nome,
Stefano Vanzina) è di mescolare, ben shakerati,
il cinema “politico” indigeno (ad esempio:
Confessione di un commissario di polizia al Procuratore della
Repubblica del 1971) con film
d’azione provenienti da Hollywood, quali Il braccio violento della legge (1971) di William Friedkin o Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo
(1971) di Don Siegel.
Come voler fare la pappa col
pomodoro mettendoci i pomodori di Pachino! Incauti, poi scoprono che i pachini
non ci sono e si usano le rigovernature: gli avanzi di sceneggiature precedenti!
Giovannino Stoppani docet.
I due titoli ricordati, col più
tardo Il giustiziere della notte
(1974) di Michael Winner (ma la pappa
era già pronta: "c'è un altro frate, brodo lungo e seguitate!"), saranno le più evidenti fonti d’ispirazione
del filone. In realtà il genere era stato seminato e trapiantato anni prima.
Affonda le radici in anni
precedenti: in opere di valore come La banda Casaroli (1962) di Florestano Vancini, Omicidio
per appuntamento (1967) e Gangster ’70 (1968) di Mino Guerrini. Soprattutto, come ho
detto e credo, Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani.
L'aria del '68 (un vento forte in verità) non fu benevola
verso questo sotto genere alla carbonara. Considerati dalla critica del tempo
rozzi e reazionari, i lavori sono in realtà incentrati sul ritmo e basati
sulle scene d’azione: i contenuti passano in secondo piano ed il messaggio
“d’ordine” purtroppo, anche non era desiderio degli autori, non pare
strettamente funzionale a creare motivazioni che consentano ai personaggi di
agire. Il via alla produzione in serie nel settore lo danno gli abnormi incassi
ottenuti nel ’75 da Roma violenta di Franco Martinelli, da allora in poi, gli schermi dei cinemini di
terz'ordine saranno invasi da uno tzumnami di prodotti similari, più o meno ispirati e
poco professionali.
Se Roma a mano armata (1976)
e Napoli
violenta (1976) di Umberto Lenzi
e Italia a mano armata (1976) di Marino Girolami si limitano a
seguire in maniera pedissequa le orme del capostipite.
Ripropongono, fino alla nausea,
l’interprete principale Maurizio Merli. Risultati migliori vengono di rado ottenuti
dagli stessi cineasti in ambiti meno stereotipati: Lenzi, ad esempio, con Milano
rovente (1973) fornisce un potente spaccato di vita malavitosa, dai
suggestivi toni noir.
Infine, mi dispiace citare Milano
odia la polizia non può sparare (1974) e L’uomo della strada fa giustizia
(1975). Sono, a mio avviso, fonte di tensione e pessimismo improduttivo. Queste
violentissime, assai personali e improbabili riletture dei citati modelli
statunitensi, sono dense di una amarezza che non è d’accatto (credo che sia portroppo meditata) e una competenza
tecnica che ha poco da invidiare a quella dei colleghi americani, ma, ripeto,
generano sconforto: ricordate che siamo alla vigilia degli anni di piombo.
(I-segue)
(I-segue)
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