martedì 21 marzo 2017

Rospi, rane e raganelle


Rane e ranocchi toscani
ma non del Tombolo
che Marco Malvaldi, a Marina, ancora non le ha usate!
L'alibi sotto la neve è un bel film noir degli anni '50. Soprattutto è un raro ed eccellente esempio di come si può creare tensione usando cose comuni, banali e quotidiane. Il personaggio è una persona comunissima, di una normalità piatta e noiosa... ma incappa in un destino avverso che lo trasforma in una Rana Bollita!
In passato ho usato spesso la metafora della rana bollita per spiegare il meccanismo con cui gli autori creano la suspense nei romanzi thriller. Nel thriller il personaggio principale è la famosa rana in pentola. Lo vediamo vivere soddisfatto e quieto una sua vita tranquilla, una sua rassicurante routine. Quando sopravviene il pericolo non si accorge che qualcosa è cambiato, né dell'incombente minaccia. Cosa che, invece, il lettore o lo spettatore sanno benissimo. Il focus è quindi sulla persona, vista come inconsapevole vittima potenziale.
 
Potrei citare molti altri esempi, mi limito a ricordare Thomas Babington "Babe" Levy, il personaggio de Il maratoneta? Il suo jogging viene bruscamente interrotto e la morte incombe. Quando se ne rende conto comincia a reagire, prima mentalmente poi fisicamente.

Ancor più memorabile, forse un archetipo ormai, è  la scena del campo di granturco in  Intrigo internazionale, di Hitchcock. Quell'aereo incombente che irrora DDT e poi mitraglia Gary Grant è diventato il punto di riferimento di tanti altri autori.

Un paio di anni fa, leggendo il bel noir di Giampaolo Simi (Cosa resta di noi - Sellerio)  mi sono ricordato (tutto merito di Giampaolo) che c'è un altro modo di creare un personaggio "rana bollita", una rana superficiale che, senza troppo riflettere, s'è cacciata da sola in una situazione densa di pericolo.

Eh sì, l'acqua è calda, la parete della pentola comincia a scottare e il bordo della pentola, mannaggia, è troppo alto per poter saltare fuori!
Come ha potuto cacciarsi in quel guaio? Ha fatto tutto da solo o è stato il caso cinico e baro.
Simi non è il primo a cavalcare la tigre anche se la cavalca come un cavaliare abituato a un destriero lipizziano. Forse a Vienna ha studiato con Freud e Jung!  Ma lasciamo perdere le batture, mi sono subito ricordato di altri, tra l'altro due sono toscani.  
Uno zaino gonfio di denaro (Un'inquilina particolare di Emiliano Gucci - Guanda) capita nelle mani del protagonista che incauto pensa di aiutare il portatore per trarne un profitto.

Riprendendo il film che ho citato all'inizio, L'alibi sotto la neve, si inizia con una  borsa nera con il  malloppo di una rapina (il romanzo è Nightfall di David Goodis) viene dimenticata accanto a un uomo svenuto per un'aggressione: quando rinviene inizia l'incubo. 
Una borsa misteriosa (Sono tornato di Marco Vichi, racconto introduttivo in Toscana in giallo Fratelli Frilli) viene portata in casa da un "amico" per una custodia coatta e son guai seri.
L'abilità dell'autore, quando c'è un misterioso aggressore, è  nella scelta del tipo, del luogo e del tempo dell'inserimento del breakdown: praticamente il suono della sveglia! Successivamente nel palesare chi sia in carnefice. A volte nell'evidenziare capacità insospettabili, risorse nascoste, della vittima.
Quasi sempre con la rana "fai da te" non è cosi, non c'è risveglio e la punizione è tutta riservata all'incauto.
Tornando a Cosa resta di noi di Simi, si deve sapere che il protagonista è il bagnino padrone "in generato" di un Bagno a Viareggio, il Bagno Antaura, nome infausto. A fine stagione, disturbato e mesto per l'inesorabile spengersi dell'amore coniugale, approfitta di un'occasione per concedersi un'avventura di breve durata (qualche ora, poche decine di minuti, ancor meno convinzione). La calda amante subito dopo scompare e lui si trova implicato fino al collo in un probabile omicidio. Non fa niente per schizzare fuori della pentola, spesso, addirittura, quando l'attacco di panico è passato si dice, per rassicurarsi, "che non è poi così male"!
Gli attacchi di panico (detti anche crisi d'ansia) del protagonista sono generatori di suspense, ma sono anche censiti in psichiatria.  Si tratta di  episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation, dovuta a percezioni anche minimali, dell’ansia normalmente presente. Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, visione pessimista, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore.

La casistica medica degli attacchi di panico li classifica come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. La paura di un nuovo attacco, sempre provata dal soggetto, diventa immediatamente forte e dominante: è contagiosa, si trasmette al lettore e genera suspense. "Hai capito te", che furbone 'sto autore!

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