giovedì 4 maggio 2017

Recensione su un bimbo decenne (IV)


DONNE D’ARCANI MINORI

Una riflessione, più che una recensione, sul romanzo noir di Oscar Montani e soprattutto su Corto che da dieci anni sta al timone della Delta, veliero costruito dalla Perini Navi.
di 
Carmen Claps


IV
Chiudiamo con  le  donne del titolo: quattro simboli. Ognuna di esse è associata a uno dei semi dei tarocchi in base alle proprie caratteristiche. Iniziamo da Amalia, la figlia di un magnate russo naturalizzato svizzero.


Amalia ha un particolare che la caratterizza: gli occhi verde giada striati da tigre. Li usa molto abilmente a seconda della situazione, ora per chiedere, ora per sedurre, ora per ordinare, ora per minacciare. E’ a tutti gli effetti una tigre, infida, subdola, sempre in agguato, pronta a balzare sulla preda e, vista l’estrazione sociale, la preda può essere che il denaro. Poi Christa, ex modella per stilisti famosissimi, come Armani e Versace, quindi con un fisico statuario anche se non è più ragazzina. Misteriosa, introversa, apparentemente insensibile, refrattaria ad ogni emozione, fin dal suo ingresso in scena e per tutto il romanzo è assimilata al ghiaccio, ad un vento gelido e infine addirittura ad un iceberg. La sua voce: quando parla al telefono esce dalla cornetta un soffio di Artico. Christa è proprio un iceberg contro cui è fatale scontrarsi, compito di Corto è quello di sgretolarlo e l’autore descrive a meraviglia il progressivo lavorio del suo detective, un lavoro ai fianchi, si direbbe in linguaggio pugilistico, lungo, complesso, faticoso e anche pericoloso, al termine del quale comunque avverrà lo scongelamento. Florry, ex ballerina romena di lap dance, venuta in Italia come tante connazionali, per sfuggire alla miseria. Ha sposato un impresario italiano, dai traffici talmente tanto loschi che viene definito sempre “viscido”. È una donna dal fisico appariscente, esplosivo ma ha una personalità molto più complessa di quello che prevede la solita iconografia della donna dell’est venuta in Italia a cercar fortuna. Sotto l’aspetto di bambolona sexy nasconde una mente astuta, calcolatrice, doppiogiochista e anche un po’ diabolica. Infine Jannette, insegnante all’università di Pisa, con la fissa dell’esoterismo. La sua casa è un museo tetro, opprimente, inquietante, ma, d’altro canto, anche un po’ infantile e ridicolo di paccottiglia pseudo antica relativa alla religione degli egizi. Mania? Copertura? Finzione? C’è da tenere presente che in questa storia “nulla è come sembra”, la lapidaria frase che si legge proprio a metà vicenda, ma che sta perfettamente all’inizio come epigrafe e alla fine come suggello.
Tra tante donne anche tanti uomini che sarebbero tutti degni di menzione, tutti assolutamente rappresentativi della realtà contemporanea, ognuno con la sua spicca carta identità, con le sue debolezze, con i suoi punti di forza, ognuno essenziale alla vicenda. Del Bestia si è già detto. Per brevità intanto Berto, colui che Corto ritiene l’unico degno di essere chiamato comandante, suo maestro e consigliere: "Un Re al timone!".


Nel romanzo compare pochissimo (due interventi di persona e una telefonata), eppure è fondamentale e questo prova ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, la grandezza dell’autore.

Del resto anche nelle altre avventure di Corto non vediamo mai Berto concretamente in azione: mentalità scientifica, più precisamente matematica quindi meditativa, offre sempre un essenziale appoggio psicologico. La sua è un’azione in qualche modo maieutica: spinge il protagonista a cercare dentro di sé la strada per arrivare alla soluzione dei casi con i quali ha a che fare. Colloqui molto scarni i loro, fatti anche di lunghi silenzi, quasi criptici. Per i misteri di questo romanzo la dritta di Berto è quella di uscire da se stesso, di non stare in mezzo a quegli specchi, di mettersi di lato in modo da poter considerare gli eventi dall’esterno, con lucidità ed obiettività. Corto, che conosce a fondo chi gli ha dato questo consiglio, né farà tesoro. Poi l’assistente capo di polizia Ratti, ma viene chiamato così solo nei momenti critici, dagli estranei o per sfotterlo. Per gli amici è sempre e soltanto Ginko. Anche in questo caso il soprannome è geniale. Ginko è amico di Corto fin dall’infanzia. Il loro rapporto è intenso e profondo, si capiscono al volo, anche senza parlare. Già nelle storie precedenti lo abbiamo conosciuto con un’indole tormentata “con il marchio della tristezza perennemente impresso sul volto”. È tenace, testardo, intuitivo, coraggioso; Corto lo definisce “sagace poliziotto”, ma questa formula sa spesso di feroce presa in giro. Ginko ha un hobby o un vizio, dipende dai punti di vista: in cerca di improbabili rivalse, si impelagata spesso, con grande entusiasmo e altrettanto impegno, in quelle che Corto definisce indagini parallele, in solitaria, di dubbia motivazione e discutibile etica, spesso pericolose, comunque assolutamente illegali. Per questo (e per altro) il suo status abituale è trovarsi nei casini: intuiamo che lo è stato nel passato e che lo è ancor di più al momento, casini davvero grossi. Per tutto questo Corto vive un momento davvero critico. Da osservare che l’assistente capo Ratti è caratterizzato dalla voce che, talora per far teatro, talora sinceramente gli esce chioccia tremula e altri aggettivi di questo tipo e addirittura “non limpida”, perfetta metafora questa della non limpidezza del suo intimo. Alla resa dei conti, comunque, il personaggio non risulta negativo, anzi, desta comprensione, solidarietà e decisa simpatia.
Lo scioglimento avviene in una scena magistrale, di notte, come spesso nei lavori di Oscar. L’atmosfera sarebbe quanto mai distesa: ci troviamo a Forte dei Marmi, nella villa del magnate russo durante una cena a base delle prelibatezze preparate da Pino, il grande cuoco del veliero di corto. È buio e le tenebre sono squarciate da luci soffuse, candele, faretti, che illuminano un solo particolare, magari distorcendolo, mentre tutto il resto rimane nell’oscurità più completa. Nonostante le apparenze tensione a 1000: da parte del gruppo di Corto, che è impegnato a far emergere la verità e da parte dei coinvolti in quelle morti che sentono benissimo che l’atmosfera conviviale prelude a qualcosa di fatale per loro. Alla fine ne usciranno, ovviamente, tutti stremati. Mirabile il ritmo della descrizione.
Per quel che riguarda l’aspetto formale, l’autore con grande resa usa molto la lingua toscana, recuperando preziosi vocaboli; anche la sintassi ricalca quella della sua regione, per esempio la prima persona plurale declinata con il si impersonale: si va invece di andiamo, si legge invece di leggiamo. Oscar cura la parlata di ogni suo singolo personaggio, per esempio il linguaggio di Cinzia, che è un magistrato, risulta elegante, raffinato,, correttissimo, mentre quello del Bestia rispecchia a meraviglia il personaggio: becero, triviale. In questo modo conferisce cittadinanza anche a quelle che vengono definite parolacce, ma qui cadono proprio a proposito, al momento giusto e addirittura risultano necessarie. Preziosi anche gli incisi che vengono a commentare e a spiegare ciò che è narrato. Deliziose alcune domande che possono essere definite retoriche, per esempio “ce la fai? Ce la facevo”. È Corto che risponde più a se stesso che all’interlocutore, quindi riflette sulla situazione, magari per darsi coraggio. Oscar è abilissimo a descrivere eventi che si verificano nel volgere di pochi secondi con la tecnica del rallentatore, fotogramma per fotogramma, questo senza far perdere al lettore il senso della fulmineità dell’azione. Inoltre Corto, da buono skipper, racconta certi fatti in modo sintetico proprio come si fa in un diario di bordo, avvincente proprio perché estremamente conciso, spesso senza predicato verbale.
Contenuto appassionante, scrittura coinvolgente: cosa si può chiedere di più ad un libro? E come sono solita concludere: buona lettura.
Fine

Nessun commento:

Posta un commento