martedì 13 febbraio 2018

Commissari (6)


Lo “sbirro” nel genere giallo
Storia e fenomenologia del detective pubblico ufficiale
nella letteratura, nella TV e nel cinema di genere
(6)

Libri proibiti
Torniamo in Europa, addirittura in Italia. Inizia Alessandro Varaldo, con Il sette bello, a seguire con molte libertà le orme del Commissario Maigret. E' il 1931, entra in scena il personaggio del commissario Ascanio Bonichi,  poi Ispettore del Ministero dell'Interno, meglio noto come sor Ascanio, poliziotto semplice ma concreto alle prese con casi misteriosi quasi sempre alle soglie del paranormale. Bonichi agisce in una Roma sonnolenta e provinciale malgrado le sollecitazioni fasciste. Indaga più alla Sherlock (a parte qualche scena d’azione alla Black Mask) che alla Jules, ma è accattivante, ispira fiducia. In piena crisi post ’29 ce n’era bisogno!


Il regime (pur essendo d’accordo con Arnoldo Mondadori per altri e più grossi affari) storceva il naso, anzi osteggiava, emanava veti e attuava censure, ma Varaldo riuscì nell’impresa di non risultare sgradito. Non tanto per la qualità (Varaldo non è Simenon!), di cui al Duce poco importava, intrinseca dell’opera che è piuttosto altalenante (picchi pochi e valli, anzi paludi, spesso), ma perché seppe creare ciò che in quel momento il regime si auspicava; un giallo all’Italiana, unico e inimitabile con un efficiente poliziotto italico degno di fiducia, rassicurante, quindi. L’autore era preparato, pur tenendo conto degli elementi del poliziesco classico  seppe mescolarli, con sensibilità tutta Italiana, al contesto locale dell’epoca.


E Ascanio Bonichi piacque. A seguire, sempre nel '31, Varaldo pubblicò Le scarpette rosse. Un altro successo.
Nel 1935 inizia ad indagare un altro commissario: Carlo de Vincenzi. Il banchiere assassinato è il primo romanzo poliziesco dello scrittore italiano Augusto De Angelis, primo della serie dedicata alle indagini del commissario De Vincenzi della squadra mobile di Milano.


Il commissario Carlo De Vincenzi è un intellettuale prestato alle istituzioni, un genio integrato, ma non troppo, nella macchina statale. Poco in quella del regime. La squadra mobile di Milano ha molto da fare e lui è al lavoro di notte nel suo ufficio:  riceve la visita inaspettata dell'amico Giannetto Aurigi. Aurigi, dopo aver assistito al Teatro della Scala con la fidanzata ed i genitori di lei ai primi due atti dell’Aida, aveva lasciato il palco per girare in solitudine per le vie brumose della città.
Grande è la sorpresa del commissario quando riceve una telefonata che lo informa che è stato commesso un omicidio proprio nell'appartamento di Aurigi in via Monforte. Recatosi sul luogo del delitto, il commissario scopre che la vittima è il banchiere Mario Garlini, la cui banca aveva prestato una grossa somma di denaro ad Aurigi. Nel suo incontro all'ufficio del commissario, Aurigi aveva ammesso che negli ultimi tempi aveva giocato in borsa perdendo grosse somme, pertanto era impossibilitato a saldare il suo debito con la banca di Garlini…


Il commissario De Vincenzi risolve i casi, ma appare troppo autonomo; al regime non piace. Piace invece al pubblico dei lettori e questo fa cadere ancor più in disgrazia De Angelis nelle stanze del potere. E’ del 1940 Il mistero delle tre orchidee, l’ultima indagine; l’autore finirà vittima della brutalità fascista. Un tragico colpo di coda della Repubblica di Salò.

Nel 1940, Scerbanenco, che sprovveduto non è, s’inventa il personaggio di Jelling che indaga con acume in Sei giorni di preavviso romanzo uscito sul n. 8 del Supergiallo. Indaga a Boston, negli Usa! 


Il futuro Re Giorgio del giallo italiano era già ben inserito nei quotidiani: aveva sentito puzza di bruciato e s’era adeguato!


Nel secondo dei romanzi, La bambola cieca: così viene descritto il poliziotto archivista:
« Arthur Jelling era un uomo che aveva quarant'anni, aveva studiato medicina fino a venticinque anni, s'era sposato a ventiquattro, e altro non aveva fatto di più importante, se non scoprire la trama segreta di alcuni delitti famosi. Ma nella sua vita non era mai entrato il romanzo, se non di scorcio. Scoperto l'autore del celebre delitto, o archiviata la pratica dell'ultimo processo, egli tornava a casa, tra sua moglie e suo figlio, leggeva il giornale mangiando, leggeva un libro a letto, e la mattina era in ufficio, all'Archivio Criminale, come un qualunque impiegato, come il più oscuro degli impiegati, a catalogare interrogatori ed elenchi di referti, o stesure di alibi. ».

Tre modelli o tre brutte copie? Di chi, poi? Alla prossima e ultima puntata. 
(6 - segue)

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