Lo “sbirro” nel genere giallo
Storia e fenomenologia del detective pubblico ufficiale
nella letteratura, nella TV e nel cinema di genere
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Libri proibiti
Torniamo in Europa, addirittura in Italia. Inizia
Alessandro Varaldo, con Il sette bello, a seguire con molte libertà
le orme del Commissario Maigret. E' il 1931, entra in scena il personaggio del commissario
Ascanio Bonichi, poi Ispettore del Ministero dell'Interno, meglio noto come sor Ascanio,
poliziotto semplice ma concreto alle prese con casi misteriosi quasi
sempre alle soglie del paranormale. Bonichi agisce in una Roma sonnolenta e
provinciale malgrado le sollecitazioni fasciste. Indaga più alla
Sherlock (a parte qualche scena d’azione alla Black Mask) che alla Jules, ma è
accattivante, ispira fiducia. In piena crisi post ’29 ce n’era bisogno!
Il regime (pur essendo d’accordo con Arnoldo
Mondadori per altri e più grossi affari) storceva il naso, anzi osteggiava, emanava veti e
attuava censure, ma Varaldo riuscì nell’impresa di non risultare sgradito. Non
tanto per la qualità (Varaldo non è Simenon!), di cui al Duce poco importava,
intrinseca dell’opera che è piuttosto altalenante (picchi pochi e valli, anzi paludi, spesso),
ma perché seppe creare ciò che in quel momento il regime si auspicava; un
giallo all’Italiana, unico e inimitabile con un efficiente poliziotto italico
degno di fiducia, rassicurante, quindi. L’autore era preparato, pur tenendo
conto degli elementi del poliziesco classico
seppe mescolarli, con sensibilità tutta Italiana, al contesto locale
dell’epoca.
E Ascanio Bonichi piacque. A seguire, sempre nel '31, Varaldo pubblicò Le
scarpette rosse. Un altro successo.
Nel
1935 inizia ad indagare un altro commissario: Carlo de Vincenzi. Il
banchiere assassinato è il primo
romanzo poliziesco dello scrittore italiano Augusto De Angelis, primo della
serie dedicata alle indagini del commissario De Vincenzi della squadra mobile
di Milano.
Il commissario Carlo De Vincenzi è un intellettuale prestato
alle istituzioni, un genio integrato, ma non troppo, nella macchina statale. Poco
in quella del regime. La squadra mobile di Milano ha molto da fare e lui è al
lavoro di notte nel suo ufficio: riceve
la visita inaspettata dell'amico Giannetto Aurigi. Aurigi, dopo aver assistito
al Teatro della Scala con la fidanzata ed i genitori di lei ai primi due atti
dell’Aida, aveva lasciato il palco per girare in solitudine per le vie brumose
della città.
Grande è la sorpresa del commissario quando riceve una
telefonata che lo informa che è stato commesso un omicidio proprio nell'appartamento
di Aurigi in via Monforte. Recatosi sul luogo del delitto, il commissario
scopre che la vittima è il banchiere Mario Garlini, la cui banca aveva prestato
una grossa somma di denaro ad Aurigi. Nel suo incontro all'ufficio del
commissario, Aurigi aveva ammesso che negli ultimi tempi aveva giocato in borsa
perdendo grosse somme, pertanto era impossibilitato a saldare il suo debito con
la banca di Garlini…
Il commissario De
Vincenzi risolve i casi, ma appare troppo autonomo; al regime non piace. Piace
invece al pubblico dei lettori e questo fa cadere ancor più in disgrazia De
Angelis nelle stanze del potere. E’ del 1940 Il mistero delle tre orchidee, l’ultima indagine; l’autore finirà
vittima della brutalità fascista. Un tragico colpo di coda della Repubblica di Salò.
Nel 1940, Scerbanenco, che sprovveduto non è, s’inventa il personaggio di Jelling che indaga con acume in Sei giorni di preavviso romanzo uscito sul n. 8 del Supergiallo. Indaga a Boston, negli Usa!
Il futuro Re Giorgio del giallo italiano era già ben inserito nei quotidiani: aveva sentito puzza di bruciato e s’era adeguato!
Nel secondo dei
romanzi, La bambola cieca: così viene descritto il poliziotto
archivista:
« Arthur
Jelling era un uomo che aveva quarant'anni, aveva studiato medicina fino a
venticinque anni, s'era sposato a ventiquattro, e altro non aveva fatto di più
importante, se non scoprire la trama segreta di alcuni delitti famosi. Ma nella
sua vita non era mai entrato il romanzo, se non di scorcio. Scoperto l'autore
del celebre delitto, o archiviata la pratica dell'ultimo processo, egli tornava
a casa, tra sua moglie e suo figlio, leggeva il giornale mangiando, leggeva un
libro a letto, e la mattina era in ufficio, all'Archivio Criminale, come un
qualunque impiegato, come il più oscuro degli impiegati, a catalogare
interrogatori ed elenchi di referti, o stesure di alibi. ».
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