Macchine di morte
Una recensione al romanzo
Morti da salotto
di Oscar Montani
a cura di Carmen Claps
(III)
Altro personaggio non presente sulla scena, ma
presente costantemente nella mente e nel cuore di Raimondo è la sua amante, la
marchesa Matilde Pandolfini che il nostro ha il vezzo di chiamare sempre così,
con tanto di nome e cognome. Raimondo la descrive come dolce, casta, a metà tra
lo stupito, l’orgoglioso, il rammaricato afferma: “in tre anni non l’avevo mai
vista completamente nuda”. Il nostro protagonista si rifugia nel ricordo di lei
per recuperare un po’ di serenità, per rilassarsi in quei momenti così
complicati. Ma non finisce qui: Matilde Pandolfini ricca, nobile, elegante, si
rivelerà un prezioso aiuto per l’indagine.
L’ultimo di questa serie, ma poi sarà necessaria una
precisazione e una rettifica, è Carlo Alfonso Guadagni il maestro di Raimondo,
il suo mentore, colui che lo ha formato come scienziato e soprattutto come
uomo, che gli ha insegnato l’amore per la scienza, la passione e il rigore
della ricerca con un motto fantastico: “Sapere aude” cioè abbi il coraggio di
avere un sapore, di essere una persona non insignificante, in modo che la tua
cultura dia un sapore alla tua persona, e questo per te e per gli altri. Ma,
come anticipato, c’è da fare una precisazione: il Guadagni, come lo chiama
sempre Raimondo compare, molto brevemente proprio nel finale, a chiudere
idealmente un cerchio, visto che era comparso nei pensieri di Raimondo proprio
in apertura e compare a dissipare qualche dubbio o piuttosto a suscitarne molti
altri.
Quanto ai personaggi che partecipano di presenza alla
vicenda sono parecchi e questo è tipico del nostro autore che ci regala sempre
romanzi che possono essere definiti corali. Al proposito, da segnalare una
scena in un teatro – salotto nel quale si tiene una dimostrazione scientifica
dei macchinari di Raimondo, teatro nel quale si trovano riuniti tutti, ma
proprio tutti, i personaggi, come in una sfilata, in una passerella. L’episodio
richiama alla mente alcune splendide situazioni dei lavori di Agatha Christie.
Donne al centro della vicenda e questo non stupisce
chi conosce il nostro autore che ci regala sempre ritratti femminili, donne di
ogni età, carattere, estrazione sociale, attività, donne vittime e carnefici,
più spesso carnefici. Nel romanzo in questione ne ho scelte due.
Intanto Alessandra Cini, la moglie del capitano dei
dragoni Lorenzo Mari. I due ospitano nel loro palazzo Raimondo e Licurgo Maria.
Alessandra è anche colei che organizza le dimostrazioni scientifiche di
Raimondo, che sono poi l’alibi per la sua venuta a Montevarchi. Tanto per mettere
subito in chiaro le cose, il protagonista, considerando che Lorenzo ha il grado
di capitano, afferma: “avevo capito che oltre a un capitano in casa Mari c’era
anche generale”. Già il primo aggettivo a lei dedicato è molto significativo:
decisa, che Oscar usa per descrivere la sua voce. Alessandra è figlia di un
macellaio e da consorte di un capitano ha conservato tutta la forza, la
concretezza, il pragmatismo di famiglia. Donna fiera, dal portamento indomito,
piena d’energia scalpitante, sa andare a cavallo, tirare di pistola e di
moschetto, ma dimostra anche di aver fatto letture scientifiche approfondite e
rivolge al protagonista domande molto appropriate. Comunque nella vicenda tutto
ha una motivazione e uno scopo, anche se ben nascosti. Alessandra, personaggio
realmente esistito, è descritta sempre attraverso immagini molto significative.
Ora è definita una puledra difficile da domare, ora è una amazzone che domina
cavallo e cavaliere. Alessandra ha un incontro bollente con Raimondo,
naturalmente è lei a prendere l’iniziativa, un incontro che il nostro descrive
senza mezzi termini come “una cavalcata non dolce, ma ferina, taurina,
animalesca”.
L’altra figura femminile è la badessa Maria Grazia
Magiotti, indimenticabile. Questo personaggio è accompagnato fin da subito da
una terna di aggettivi inequivocabili che sembrano piuttosto insoliti per una
religiosa: bella, giovane, potente. La sua prima apparizione poi è perfetta per
mettere subito in chiaro le cose. Raimondo la vede con una pesante croce
d’argento al collo, simbolo del suo potere e poi nota che cammina “come se non
muovesse passo, quasi avessi ruote al posto dei piedi”. Ogni suo dettaglio
fisico è utile per definire la sua personalità ne è riflesso perfetto. Per
esempio, c’è un’immagine magnifica che la dipinge, anzi, la scolpisce, visto
che è tridimensionale: Maria Grazia, inguainata nella sua tonaca, è descritta
come “una colonna di marmo nero di Portovenere”, a indicare la sua fermezza la
sua freddezza, il suo distacco. Altro elemento, altro ritornello sono gli
occhi, incredibili, occhi incastonati (e il verbo è perfetta per indicare
quanto siano preziosi) nel volto bello, occhi di un verde intenso, ma
cangiante, visto che alla luce sembrano di giada, ma al buio assumono
l’intensità del mirto. Ancora, Maria Grazia non ha il capo rasato come
imporrebbe la regola. Infatti a Raimondo capita di vederle un ricciolo ribelle
che sguscia fuori dalla cuffia per errore? Per caso? A bella posta? come un
serpentello tentatore e velenosissimo. Maria Grazia, badessa di un
conservatorio e non di un convento, si permette una certa vita: vince la noia
delle lunghe notti con la compagnia di due novizie più o meno acquiescenti, ha
la biblioteca fornitissima di libri particolari, fa frequenti viaggi a Firenze
con la sua comoda, lussuosa carrozza. Anche lei ha incontro ravvicinato con
Raimondo, che Oscar tratta in modo davvero magistrale: è tanto più sensuale
perché si ferma ai preliminari, perché è tutto da una promessa. Comunque la
nostra badessa si dimostra espertissima nei giochi d’amore e per Raimondo,
abituato agli incontri sereni, tranquilli, con la marchesa Matilde Pandolfini,
è una sorpresa straordinaria. La badessa, per parte sua, si permette di
ironizzare sull’educazione che gli hanno impartito le suore napoletane.
Quindi tante, forse troppe donne intorno a Raimondo
che, riflettendoci su, con la solita impagabile ironia, conclude: “Matilde,
sedicente libertina, ma casta; Maria Grazia, sedicente reverenda madre, ma
libertina, anche se, per ora, solo a parole; Alessandra, che non avevo sedotto,
ma che mi aveva domato con una cavalcata notturna”.
Alcune osservazioni sull’aspetto formale. Intanto le
descrizioni d’ambiente, esterne ed interne. Sono sempre, inutile dirlo,
condotte dal punto di vista del nostro investigatore. Avvincenti i notturni,
con le tenebre squarciate dai lampi delle spade, delle lanterne, più o meno
legali, da qualche sparo. Oscure presenze ma, visto che nulla è come sembra,
non sempre qualcuno che cammina rasente un muro, coperto, anzi, nascosto da un
mantello nero, ha intenzioni minacciose. Gli interni, quei palazzi nobiliari,
talora un po’ fatiscenti, nei quali si ordiscono trame a non finire.
Per quel che riguarda la scrittura, è studiatissima,
perfetta per il contenuto, i personaggi, il periodo. Eccezionale il prologo,
che da solo vale il costo del biglietto, come si usa dire a proposito di una
partita di calcio quando si assiste a una giocata illuminante. Sempre i
prologhi nei lavori di Oscar sono fondamentali perché in pratica servono a
inquadrare tutta la vicenda. Qui Raimondo ci spiega in modo ironico, malizioso e
chi più ne ha più ne metta, chi sia stato il correttore di bozze del suo
lavoro.
Come al solito eccezionali le similitudini inventate
da Oscar, per esempio “si aggrappa a quella domanda come un geco su un muro
riscaldato dal sole”.
Ancora, gli incisi che cadono sapientemente nel bel
mezzo di un periodo a sottolineare, a spiegare concetti.
Infine l’uso del latino, perfetto per il periodo, l’ambiente
e l’argomento del romanzo, ma in “Morti da salotto” il latino è qualcosa di
più: lasciamo scoprire al lettore come nelle mani di Oscar diventi un ironico,
gustoso codice cifrato per trasmettere messaggi segreti.
FINE
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