sabato 29 febbraio 2020

Il Gufo Giallo (130)


Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli

Giudizio n.  127

Ah l'amore l'amore 
Antonio Manzini
Sellerio
Indagine al tempo del ricovero


Rocco, oltre all'operazione,  è costretto all'introspezione. L'ambiente dell'ospedale (l'ospedale di Aosta ha qualche somiglianza con l'Hotel Overlook! Soprattutto nei meandri sotterranei...) l'aiuta, ma lo deprime.

«Lì dentro il tempo era sospeso, a regolare l’esistenza e la cadenza temporale erano i dolori, le piccole, analisi e prelievi. E le visite. Mogli, mariti, fratelli e fidanzati che ogni giorno si presentavano nelle stanze, un traffico continuo di bottiglie d’acqua, dolcetti, giornali e riviste che cercavano di nascondere l’ansia e la paura. Turnazioni di amici o parenti con lo stesso sorriso a mezza bocca e le stesse notizie di chi è fuori e prosegue nella sua quotidianità.  ...»





Rocco, il ribelle apatico, tarda ad adeguarsi, ad adattarsi, anche se lo sapeva benissimo. Sapeva anche che le notti negli ospedali sono molto più lunghe dei giorni; sono tempo ininterrotto, interminabile.
È il 26 dicembre e il "vicequestore" (ci tiene a farsi chiamare così!) Schiavone ha appena subito un importante intervento chirurgico atto a salvargli la vita ma che gli è costato un rene. Quasi contemporaneamente alla medesima operazione, una nefrectomia radicale, è sottoposto Roberto Sirchia (stesse iniziali!), il quale, non riesce però a sopravvivere alle procedure mediche attuate. Nei confronti di Filippo Negri, primario del reparto, scatta una denuncia per presunto errore medico: Sirchia, possessore del gruppo sanguigno 0 Rh negativo ha subito una trasfusione errata. Ma com’è possibile se nel sacco trasfusionale proprio quello era il gruppo contenuto?
Per Rocco qualcosa non torna: sente puzza di bruciato, in effetti c’è un odore strano, uno strano olezzo, ma stimolante. Troppi sono i tasselli che non vanno al loro posto soprattutto se si considera che l'operazione doveva essere effettuata già un mese prima al tragico evento e che era stata rimandata esclusivamente a causa di un peggioramento delle condizioni di salute del paziente.
« Dottor Negri, io e lei in fondo lavoriamo nello stesso campo. Lei deve evitare che una persona diventi un cadavere, io devo capire chi quel cadavere l’ha prodotto. Due anelli di una stessa catena. Le sue mani mi hanno salvato la vita, ora tocca a me.»

Con Ah l’amore l’amore  torna in libreria Rocco Schiavone, il cinico antieroe eroe di Antonio Manzini. I fatti ripartono esattamente dal dove li avevamo lasciati e cioè da quella sparatoria sul piazzale della ditta Roversi, quando, il vicequestore, insieme alla sua squadra, aveva portato a termine l’arresto della banda di falsari e rapinatori responsabili di un duplice omicidio a Saint-Vincet.
Enigma non ancora risolto riguardava quella pallottola sparata da non si sa chi, che  aveva gravemente ferito il vice questore di polizia. Pallottola che lo ha costretto ad una degenza natalizia. Sebbene provato, a digiuno e stanco non solo fisicamente, si riporta in prima linea con un’indagine che solo in apparenza può essere ricondotta ad un caso di malasanità.
La trama che si sviluppa pagina dopo  pagina è solida, stringente e intrigante, il giallo ben orchestrato così come la linea narrativa che è logica e ben costruita. C'è poi la meta trama, gli amici romani, il turpe Baiocchi e altro. Ma è una Roma che non c'è più, che vive solo nei ricordi, un luogo della memoria ormai non recuperabile.
Manzini, propone anche altre riflessioni banali sulla odierna  realtà ospedaliera sempre più ridotta ad una gestione amministrativa di un’azienda più che ad un luogo all’interno del quale curare le persone. 

La burocrazia, cioè, impera sovrana e detta regole imprescindibili e insindacabili per ogni membro del personale e della degenza. ma è solo contorno, la sostanza, come negli altri romanzi è nella mitizzata, da Rocco, Roma del passato. La Roma com'era dei fratelli Alinari!

E' lì che l’autore si interroga e ci interroga sui valori umani, sui principi, sulla forza della memoria e sul denaro che è una costante che spesso può portare a compiere gesta di dubbia moralità.
Per concludere:  un coerente seguito della serie, un libro piacevole e scorrevole (più stringato ed essenziale del solito) che non mancherà di conquistare il cuore degli appassionati. Ma non è tutto. Ribadisco, c'è la ricerca, attraverso gli amici romani (amici di gioventù), della Roma che non c'è più! Nostalgia, senso di abbandono, tristezza per i ricordi? La tristezza che li avvolge come miele... chissà?
« Quando uno ha un rapporto esclusivo, tende a cacciare tutto e tutti, il mondo intero. È quello che abbiamo fatto. Solo che il mondo poi rientra da una finestra, e te la fa pagare. Ti ricordi? ».
Piacevole ritorno, consiglio di leggerlo, vi divertirete, ma non riderete, il sottofondo, il retrogusto,... è amaro!

Voto ****/5

 

venerdì 28 febbraio 2020

Casemaledette (3)


Case maledette
ovvero: "casa dolce casa!"

Parte III


La casa rossa



Continua la nostra ricerca di case maledette con Villa De Vecchi,  una specie di bomboniera a tre lievelli del XIX secolo. E' situata a Cortenova, un paese in provincia di Lecco. Negli anni dopo la sua costruzione fu un edificio molto curato con annesso un grande giardino (vedi foto sotto). Col passare degli anni, a causa dell'abbandono, di ripetuti atti vandalici e di qualche rito pseudosatanico di troppo, la villa ha perso il suo fascino iniziale. Ora è soprattutto inquietante!

La storia della villa


La Villa De Vecchi, soprannominata La Casa Rossa per via del suo originario colore, fu costruita da Felice De Vecchi, uno dei protagonisti del Risorgimento italiano. Spettacolari erano gli arredamenti; il conte aveva infatti una grande passione per l'oriente e aveva adornato la villa con molti oggetti provenienti da varie parti del mondo. Oltre alle molte suppellettili collocate nei tre piani che la compongono, la villa aveva un parco annesso, contenente un grande giardino esterno con, a quanto pare, una fontana oggi misteriosamente sparita (interrata?).

Quattro anni per edificarla dal 1854 al 1858. Pagata da Felice de Vecchi e progettata da Alessandro Sidoli, un architetto "eclettico". Il conte era a capo della Guardia Nazionale Italiana e aveva partecipato alle Cinque giornate di Milano. La villa venne ufficialmente abbandonata nel 1938 dagli eredi della Famiglia De Vecchi; negli anni successivi fu abitata da alcuni sfollati, poi nel 1959 la tenuta venne acquistata dai Medici di Marignano.

Recenti storie farlocche
Ormai da decenni si trova in uno stato di abbandono; questo ha fatto nascere "storie" su fantasmi e presenze soprannaturali. Le foto della villa sono state pubblicate sul sito internet statunitense Buzzfeed,   che vanta circa 40 milioni di letture al mese, vicino ad altre sei case stregate scelte tra quelle di tutto il mondo. L'edificio è situato sui monti Valsassinesi ed è conosciuta localmente come "la Villa dei Fantasmi" dato che l'edificio abbandonato è stato "si dice" il luogo di un omicidio.


Da anni si sente   parlare delle sospette presenze che renderebbero angosciose le stanze disastrate della villa. "Si dice" che durante le notti del solstizio d'estate o quello d'inverno si possa sentire un lamento femminile proveniente dall'interno, appartenente  all'amante dello storico proprietario, morta ammazzata all'interno della villa. Si racconta anche che la casa sia il luogo in cui,   sono avvenuti dei suicidi a cui le autorità non sono riuscite a dare una chiara spiegazione.
In realtà è dimostrato, senza ombra di lacune storiche, che non è mai stato commesso un crimine al suo interno. Oltre alle grida, è stata tramandata la leggenda del pianoforte; si racconta che nelle ore notturne, è possibile udire un suono di pianoforte proveniente dalla sala, dove tuttora è presente un vecchio piano, ormai distrutto. Indagini hanno  dimostrato che tutte le voci che ruotano intorno a Villa De Vecchi, sono infondate.



Nell'edificio non sono mai avvenuti, né omicidi, né morti misteriose, ma forse qualche  messa satanica, forse per carnevale (Vedi foto sopra col fantasma della donna rossa)!
Oggi l'edificio risulta in uno stato di abbandono, per tutelare la sicurezza, il comune ha posto delle recinzioni intorno.  


Durante gli ultimi anni ha avuto luogo una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla villa, tenuta dal Fondo Ambiente Italiano in collaborazione con l'amministrazione comunale. Nel 2012 furono raccolte 250 firme che però non sono servite per la ristrutturazione della villa. I vecchi proprietari si erano disposti a cederla anche gratuitamente per riuscire a rivalorizzare la bellezza ormai perduta della villa. Il F.A.I. non può prendere in carico la situazione dato che servirebbero circa 6 milioni di euro per la ristrutturazione. Il futuro della villa pare molto incerto, dato che la Provincia di Lecco e la Sovrintendenza ai beni culturali hanno stabilito un pericolo alla parete della montagna limitrofa di tipo idrogeologico medio-alto, bloccando così, per il momento, ogni possibile intervento di restauro.


giovedì 27 febbraio 2020

Il Gufo giallo (129)


Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli

Giudizio n.  126

La Gang del pensiero 
     Tibor Fischer
Marcos Y Marcos


Una banda scalcinata che stende il lettore

 

"Il gioco è bello quando dura poco!". Sono convinto che per divertire il lettore  occorra una giusta dose di battute (ironiche, ciniche, sarcastiche o altro), inframmezzate da brani di narrazione pacata, carica di suspense o semplicemente evolutiva. A discrezione e gusto dell'autore.  Credo, soprattutto, che occora evitare l'autocompiacimento. Non sopporto quelli che fanno battute e subito ci ridono sopra da soli!

 

In questo romanzo si cerca tenacemente (con spremimento doloroso delle meningi) e con compiacimento, di superare, in frequenza di battute, Woody Allen. In frequenza Tibor Fischer ci riesce, in sapidità meno. E poi Woody è "universale" nel toccare i nervi sensibili della psiche umana... mica pretende di scomodare Aristotele o Zenone!

Confesso che all'inizio la sua ridondanza ti colpisce come aprire una pentola dove c'è della curcuma con abbondante cumino; un po' stupisce anche (ma che ganzo!), ma col procedere del racconto già a pagina trenta qualche ripetizione ti ha stancato.

 

 

Per altri versi mi ha richiamato Hap e Leonard di Lansdale, ma questi due "amerikani" (Steve McQueen docet!) sono più consapevolmente negativi e, alla fine, per naturale conseguenza, anche molto più positivi.

Procedendo nella lettura. A pagina cinquanta ho cominciato a innervosirmi. A pagina settanta, quando il filosofo (Eddie) in sbando morale  incontra il fuorilegge (Hubert) sfigato, le cose sono già messe parecchio male: ti può prendere la voglia di passare un po' di Front Line Combo sulle pagine per togliere quelle pulci fastidiose. Ma poi il gatto che dice?

A pagina novanta, dopo un po' di azione, già m'ero riconciliato, ma stavo all'erta.  Sono tornato indietro per cercare di capire il meccanismo d'innesco delle battute: ho colto solo un abile gioco (molto tecnico) di assonanze e dissonanze linguistiche, altro non so dire.

La trama non sarebbe poi tanto male, ma per non produrre antipatici spoiler non dirò niente.

Devo però evidenziare, questo sì, che c'è un eccesso di compiacimento nell'uso della teoria,  della struttura logica e degli aforismi della filosofia per sottolineare le motivazioni, vane e autoassolventi, del protagonista ed alcuni eventi della normalissima (a parte i due soci disastrati mentali) vicenda. In queste parti, a volte lunghe diverse pagine occorrerebbe un dottorato in filosofia per poter capire a fondo le battute: allora il compiacimento dell'autore fa veramente venire il nervoso... capite? Se la ride da solo!

La colpa non può che essere dell'editore! In seconda di copertina è riportata questa frase:

"Hubert si è sistemato la chioma, si è infilato gli occhiali da sole e si è rimirato nello specchietto retrovisore. 'Questo è l'illuminismo, e che cazzo!'".

"Esticazzi!" (direbbe Rocco Schiavone): seconda di copertina, non so se vi rendete conto! Non aggiungo altro.

In conclusione a qualche lettore farà venire l'orticaria, a qualche altro piacerà da morire... a me che sono ortodosso (riguardo al noir) provoca solo un po' di prurito qua e là!

 

Voto 3/5

 

 


martedì 25 febbraio 2020

Casemaledette (2)


Case maledette
ovvero: "casa dolce casa!"

Parte II


Lomello: la Villa degli Amanti Maledetti

Lomello (Lumé in dialetto lomellino) è un comune italiano di poco più di 2000 abitanti. Posto nella provincia di Pavia in Lombardia, si trova nella Lomellina centrale, alla destra dell'Agogna.


La storia
Spoiler: la Villa esiste, la storia meno: è molto inverosimile, ma vale la pena di sentirla...
Personaggi principali: una moglie fedifraga trovata a letto con lo stalliere (una specie di Lady Chatterly de noantri!) e un marito impazzito di gelosia. Sembra ne sia seguito un brutale omicidio-suicidio consumato a colpi di fucile.
Da quel fatto (1912), la villa sarebbe stata   infestata da fantasmi così cattivi da far scappare a gambe levate tutti i proprietari.



Precisazioni
Cerchiamo di far chiarezza. Innanzitutto "la casa" non è Villa De Vecchi  (come erroneamente alcuni siti citano. Della "casa rossa" ne parleremo in altra puntata!) ma Villa Cerri. La cartolina è del 1931: lo si tenga presente. Ritrae la villa appena costruita!



Secondo la leggenda, nota a Lomello, invece, si  racconta che un brutto giorno di fine estate del 1912 il proprietario di questa tenuta eretta in mezzo ai campi di riso tornò da una battuta di caccia. Ad attenderlo, sulla porta d’ingresso, avrebbe dovuto esserci la bella e giovane moglie sposata pochi mesi prima. Invece no, la sposina era all’ultimo piano della torretta della villa in compagnia di un giovane stalliere.
Il proprietario, visto che il suo fucile era ancora carico, lavò nel sangue il tradimento con due colpi di fucile, più un terzo per se stesso.     Ovviamente ci prende il dubbio che ci sia ben poco di vero.


Ma se anche non si tratta del mostro del Loch Ness, la leggenda della Villa di Lomello affascina e attira persino curiosi dall’estero: soprattutto d’estate, in periodo di vacanze, capita sovente di vedere ferme sul prato della tenuta auto o moto con targhe straniere alla ricerca di un selfie col brivido.
A mettere un po’ di ordine in questa selva di dicerie è stato un investigatore d’eccezione, che ho avuto la fortuna di conoscere mentre conducevo l’inchiesta sulla Villa. Si tratta di Gian Franco Magenta, 82 anni, originario di Lomello, autore assieme alla moglie Tina di alcuni libri di storia locale. Gian Franco e la moglie hanno ricostruito la storia della Villa con una indagine a ritroso nel tempo, arrivando a un colpo di scena finale che ha dissolto in un attimo leggende e maledizioni.
Il punto di partenza dell’indagine è stata  la villa. Si trova, in vista dalla strada, lungo la provinciale 193 bis, vicino a cascina Boragna. È abbandonata da oltre 30 anni, ma la proprietà, acquisita negli anni Settanta dal re del riso, Francesco Sempio, si è data da fare per limitarne il degrado e le incursioni di spiritisti, predatori e semplici curiosi. La tenuta non è in buone condizioni, il passare degli anni si sente, ma a differenza di Villa De Vecchi, dove invece le incursioni di fanatici di croci capovolte, graffitari e tossici si sono moltiplicate negli anni, non cade a pezzi. Il tetto è stato rifatto da poco e gli infissi, le serrande e i vetri sono quasi tutti integri, in modo particolare la grande vetrata della torretta.


Per dissolvere in un attimo qualsiasi voce, a Magenta è bastata tuttavia una cartolina, una vecchia cartolina ingiallita che lo studioso ha conservato nel suo archivio personale. La foto è datata 1931, ritrae in maniera nitida Villa Lomello molto probabilmente pochi giorni dopo la sua inaugurazione e, in piedi fermo avanti all’ingresso, si vede un uomo. Si tratta di Pietro Cerri, il proprietario, che la fece costruire alla fine degli anni Venti e la ribattezzò, appunto, Villa Cerri. La cartolina fu spedita dalla Cerri al padre di Gian Franco Magenta e come appare evidente, c’è qualcosa che non torna nelle date. Insomma, se la Villa venne costruita nel 1931, non poteva certo esistere 1912, anno in cui viene fatto risale l’omicidio-suicidio che avrebbe dato avvio alla maledizione, e se il proprietario era vivo e vegeto davanti all’ingresso nel 1931, non poteva certo essersi suicidato nel 1912.


A questo punto, chiarito che Villa Cerri non fu teatro di alcun fatto di sangue, c'è da capire come si sia potuta sviluppare la leggenda degli amanti maledetti. Tina, la moglie di Gian Franco, ha citato due vicende che potrebbero avere stimolato la fantasia degli appassionati di storie nere. Una soprattutto, ancora molto viva nei ricordi della gente del posto, è la storia del “Vecchio Mulino”. Una brutta vicenda che vide un’intera famiglia sterminata a colpi di coltello da un rapinatore, anche se alcuni dicono che ci fosse di mezzo una storia di corna. Alla fine, comunque, il colpevole venne preso e giustiziato nel fiume Agogna, una delle ultime esecuzioni capitali della Lomellina. La vicenda risale ai primi dell’800, quasi 100 anni prima della leggenda su Villa Cerri, ma forse, mescolata con un altra storia di tanti anni fa che parla di una tresca amorosa fra due ex dipendenti della tenuta, potrebbe essere stato l'innesco della leggenda.