sabato 27 febbraio 2021

Dialetti (delitti) di provincia (III)


LOCALIZAZIONI GIALLE

ovvero: zone gialle letterarie  

"La cativa lavandera a' treuva mai la bun'a pera!"

Un'analisi leggera (con critiche bonarie) e scherzosa della provincia in giallo e dei suoi dialetti.

Parte III

Molti credono che in Toscana si parli italiano puro. Sbagliato! Provate a far discutere tra loro di calcio un aretino della Chiana, un pratese della piana e un livornese del quartiere Venezia, poi, se avete capito qualcosa e non vi hanno coinvolto in una rissa, se ne potrebbe anche riparlare!

Toscana (1)


In Nero di maggio di Leonardo Gori, fin dalle prime pagine si "sente" che siamo a Firenze; una Firenze vera, amata e sofferta. Subito dopo si apprende che è il 1938 e che sta per avvenire l'evento storico della visita di Hitler!

La cura particolare del linguaggio letterario, parole desuete giustapposte ad arte e dei dialoghi (battute stringenti DOC!) ci porta in un tempo lontano, ma sembra, per un toscano come me, d'essere a casa bambino. Ancora però non si può parlare di romanzo dialettale ambientato in provincia. Gori è un gentiluomo fiorentino dotato di misura, che pratica con discrezione la lingua madre e matrigna. A ben ponderare, e a vagliare quella prosa,  vi si scopre il linguaggio vero di Firenze.

 


E' una prosa facile (Facile non vuol dire semplice dice il Tavernello!); ostica da maneggiare per uno straniero: gli sarebbe piaciuto dominarla al milanese ingegnere Carlo Emilio Gadda che, per apprenderla, soggiornò a lungo in un appartamento vicino alla Stazione di Campo di Marte, ma non ce la fece!

Non sapeva, l'ingenuo volitivo ingegnere, che a Firenze si può imparare l'italiano classico, come fece anche il Manzoni, non quelle sottigliezze linguistiche, di matrice dantesca o boccaccesca, che sa ben usare Leonardo Gori. Quelle s'imparano per le strade, nei bar, ma soprattutto all'asilo!

Poco più di venti anni dopo. Firenze anni '60 e un maggiolino bianco come quello di Dylan Dog. Marco Vichi inizia, con Bordelli, nel 1963, a Firenze.

In una villa settecentesca di proprietà di una ricca vedova la proprietaria viene trovata morta nel suo letto. Un bicchiere lasciato sulle lenzuola, la confezione di un medicinale contro l’asma ancora intatta sul comodino, un gatto che si aggira nella stanza sono le immagini che il commissario Bordelli si trova di fronte. La morte misteriosa della facoltosa donna fa direzionare le indagini sui nipoti e i rispettivi coniugi...

I luoghi sono giusti, ma non è proprio la Firenze di Cronache di poveri amanti o di Le ragazze di San Frediano. Insomma la storia cattura ma un toscano che conosce Firenze ci rimane n po' freddo.


Tre anni e cinque romanzi dopo, in Morte a Firenze sembra meno restio a concedersi qualche dileggio dialettale ma dopo uno scambio denso di promesse...

« Ennio, sei te? » disse a voce bassa.

« No, sono la Befana... »

... l'autore ritorna serio e si mette a scrivere, "perbenino" (diligente e appassionato), la sua bella, molto bella, storia. "Ma che male ci sarebbe stato a chiacchierare come s'usa noi?", si chiede Egisto Nesi insaccando carbone.


La briscola in cinque di Marco Malvaldi, si svolge a Pineta. Il comune di Pineta (alcuni l'identificano con Tirrenia, che però è frazione in terra pisana: orrore!) non esiste, né a Livorno, né altrove. E' come l'isola di Peter Pan: che non c'è! Sembra un posto sonnolento e anche noioso: l'unica giocare a carte... finché da un cassonetto dell'immondizia, fuori da una discoteca, sporge il cadavere di una ragazza. L'omicidio, a causa della condotta  della vittima ("Quasi un tegame"! Consultate il Borzacchini!), assume l'aspetto di un intrigo di droga e sesso e i sospetti cadono sugli amici e i frequentatori della discoteca. Ma l'indagine prende una piega diversa in seguito alle chiacchiere dei vecchietti che stazionano tutto il giorno al BarLume. Il  proprietario "barrista" Massimo Viviani si ritrova, suo malgrado, coinvolto e diventa il vero investigatore, aiutato dalle chiacchiere irriverenti, in vernacolo labronico, dei quattro pensionati. Ormai Camilleri è diventato un successo mondiale e la Sellerio ha  capito che il dialetto può essere la carta vincente del giallo. 

Il Vernacoliere, irridente mensile di satira labronica diventa la Sacra Bibbia dell'autore. Lui però (Nonostante sia nato prima della "nuvola atomia" di Cernobyl!), fulminato dall'inatteso enorme successo, perde la misura e, in cerca di originali ispirzioni, vi attinge troppo.

Il romanzo, molto bellino, non avrà adeguati seguiti, per non parlare di quanto sia diventata inguardabile e imbarazzante la fiction televisiva dopo la morte di Carlo Monni!

( III - segue )

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2 commenti:

  1. Anche in alcuni dei miei libri i personaggi parlano in dialetto. Sono più espressivi, così.

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    1. Io, ne parlerò nella prossima puntata, ho cercato di far parlare in dialetto viareggino i miei personaggi, ho avuto difficoltà, ho chiesto allora aiuto... ma sicuramente ne è valsa la pena!

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