sabato 31 dicembre 2011

Il gufo giallo (23)

Rubrica letteraria

Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
libro n. 23

Il passato si sconta sempre

Ross MacDonald

Polillo editore


 


Perduto nella nebbia sulle tracce di Hammet e Chandler
Non lo conoscevo (MacDonald intendo). Me l'hanno consigliato come pari di Chandler e Hammet: “Il terzo di una triade!” Non scherziamo nemmeno! E Mike Spillane allora dove interdiamo metterlo? Prolisso e lento, la suspense non decolla mai: è come quei giocatori di tennis molto tecnici, ma senza un tocco di genio. Il personaggio (Lew Archer è il detective narratore) è pure lui piuttosto uggioso. Si ritiene fine psicologo, articola bene le domande: troppe domade. Tant’é che i dialoghi sono eccessivamente lunghi: con due terzi delle parole si potrebbe ottenere di più. Si vede che Archer, impegnato nel ruolo di coscienza morale, ha poco altro da fare! La storia non è particolarmente interessante e l’autore non fa niente per farla diventare tale. Un adolescente ribelle è scomparso dall’istituto di correzione dove l’aveva spedito la sua ricca famiglia. Archer ha il compito di ritrovarlo. Ovviamente si mette a scavare nella mota e nel passato (da cui il titolo). Solo che per arrivare a qualcosa di serio (un moto ammazzato) ci vogliono 96 pagine, poco meno di un terzo. Una storia che ha fatto il suo tempo, ambientata in luoghi risaputi e anche di lui si sa tutto eppure resta poco. Cercare di rivitalizzarlo è impresa impossibile. Non l'ho apprezzato e non lo consiglierò, ma forse ero pieno di pregiudizi...

Totale: ***1/2/5

Galleria gialla (18)



N. 18

la Dark Lady

(figlia di una “buona donna” e di molti padri)

Biografia essenziale
Archetipo della femme fatale: non si sa chi sia;  neppure lei lo sa o forse non vuole ricordarlo. Un passato travagliato, da apolide internazionale o da provinciale, con esistenza border line (violenze subite, piccole truffe o prostituzione) da dimenticare e un futuro oscuro per cui “tanto vale rischiare”.


E’ sempre diversa, ma sia che si presenti in vestaglia (La fiamma del peccato), sia in abito da sera succinto (vedi sotto)  è  sempre lei. Non è camuffata, cambi camaleontici sono! Ci viene da chiedersi se fosse davvero morta alla fine della storia precedente. Potrebbe chiamarsi Brigid, Veronica, Phillys, Kathie o Gilda ... 

noi la chiameremo Jessica, in fondo un cartoon  rappresenta meglio la escort che è in lei.

Carattere e psicologia
Cinica, crudele, manipolatrice e calcolatrice, usa la sua esuberanza fisica e  sessuale come un’arma letale. Un poì strega: la pettinatura è proprio quella di Veronica lake nel ruolo della strga! Dolce e lasciva, un momento dopo irascibile e scostante, sempre nel suo volto si coglie un’ombra di rimpianto: quello di chi è consapevole che ormai non può tornare indietro. Si sopravvaluta, soprattutto sovrastima le sue tette e il suo didietro, che alla fin fine sono solo oggetti di consumo. Questo la porta ad abbassare la guardia.  Bionda per vocazione, non disdegna i capelli neri purché fluenti e ondulati. Quando sono lisci non può che chiamarsi Morticia: ma questa è un’altra storia.
Abilità
Sensuale e capace di entrare in scena con forte impatto. Passa con naturalezza da un fantastico yacht a un’infima taverna: niente la tange.  Il fisico l’aiuta e lei ne è consapevole. Sa individuare subito le debolezze degli uomini, ma evita il confronto con le donne.  Ha volte ha diversi passaporto, parla diverse lingue, ma fa intendere subito che con la lingua sa fare molte altre cose. Quando il suo sex appeal non funziona non esita a impugnare una pistola.
Metodo 
Tesse  intrighi, manipola amici e amanti, seduce i fanciulli e gli anziani. La circonvenzione e l’ambiguità sono le sue armi, ma se al posto di un incapace c’è Sam o Philip son guai! Quando il primo impatto (sessuale) è superato cade spesso vittima delle sue trame.

venerdì 30 dicembre 2011

Il gufo giallo (22)

Rubrica letteraria

Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
libro n. 22


Uomini che odiano le donne

Stieg Larsson

Marsilio



 


Sull'isola si muore... di noia.


Me l'hanno regalato. Questo per dire che non ho colpe: non l'avrei comprato. Non comprerei mai un libro che riporta in copertina la scritta: “Un caso editoriale. Un libro che vi terrà svegli fino all’alba”. Nonostante il peso (un mattone) pensavo di leggerlo in aereo durante un viaggio in Mexico; in volo non riesco mai a dormire. Sia all’andata che al ritorno non sono riuscito a superare pagina dieci: due colpi di sonno stupendi: mi hanno fatto assorbire il fuso orario! Significa però un’altra cosa: ero prevenuto. In sette giorni di "quasi" quarantena sanitaria (in primavera 2009 c’era la suina) non sono riuscito  a leggere più di 210 pagine. Dopo tante parole non era successo niente! Sopraffatto dalla noia l’ho abbandonato sul tavolino in attesa di tempi migliori. E’ passata   l’estate e anche parte dell’autunno: tre gironi di piogge a novembre me l’anno fatto finire: una fatica.

Testo prolisso, tecnicamente obsoleto e privo di ritmo. Alcune pagine farebbero addormentare la statua dell'Aurora, ancorché boreale. Personaggi da cliché di fiction televisiva. Trama oziosamente stagnante. Colpi di scena: assenti. Descrizioni particolareggiate di oggetti, ambienti e luoghi inutili: gli oggetti hanno trovato sponsor nel film, ma restano tutta spazzatura. Figuriamoci se in un giorno meno uggioso, di normale cielo nuvoloso, mi metterei a leggere quelle pagine soporifere! Veniamo ai dialoghi: ho una fissa per i dialoghi. Questi si fanno dimenticare subito: non mi ricordo una frase, una battuta, niente. Non sono dialoghi tra personaggi credibili immersi in una storia, sono un po' platonici, didascalici. Costruiti per far raccapezzare il lettore che già dopo qualche decina di pagine s'è perso (per via del sonno). Lodevole sforzo, ma il risultato è una storia fredda e scostante con personaggi "velina". Non parliamo quindi di "storia avvincente", ma avvolgente, come melassa dal sapore sciapo. Ultima cosa, ma non l'ultima: l'inizio è platealmente copiato da Il segno dei quattro di Conan Doyle... povero Holmes; in che mani!

Totale: **/5

Lanterna gialla (21)

Film n. 21


Una lama nel buio (Still  of the Night)
di Robert Benton 
con Roy Sheider, Meryl Streep, Jessica Tandy, Sara Botsford   

Uno psichiatra, ancora in sospetto di complesso di Edipo (la presenza della madre è fastidiosa e basta, non come quella di Intrigo internazionale, tanto per intenderci), s'innamora di una donna, dai molti lati oscuri, che potrebbe aver massacrato un  suo  cliente. Da un cast di alta qualità e da una sceneggiatura niente male, ne scaturisce, un algido (didascalico) mystery thriller ispirato ad Hitchcock, almeno nelle intenzioni. Ma si sa che di buone intenzioni è lastricata la strada per l'Inferno!


I personaggi dovrebbero contare più dell'intrigo, le atmosfere più dei fatti. Invece di rafforzarla, le sequenze oniriche allentano la suspense. D’accordo, non c’è Dalì a dare una mano, ma forse ce ne vorrebbero due.
Si punta sui sogni come indizi simbolici, chiavi dell'inconscio utili per arrivare alla soluzione del “chi l'ha fatto?”. Purtroppo la fiducia del protagonista nell'interpretazione dei sogni sarebbe parsa patetica persino negli anni '40: quando poi ne discute con la madre, anche lei psichiatra, si cade nel ridicolo. Che dire poi della suspense nei luoghi topici: il cassetto violato, il sottopasso di Central Park, la terrazza sugli scogli. La tensione non decolla, ma non tutti possono far paura con un mazzo di chiavi. In quanto al coltello (la lama), brandito  come una spatola per il burro, ci rende perplessi; quello di Norman Bates, invece, calato sulla ragazza nella doccia ci attanaglia ancora.


Dicevo della sceneggiatura e di  Hitchcock. Le citazioni di Intrigo internazionale sono sfacciate: la madre invadente, l’asta d’opere d’arte, lo scambio di persona, ma non si avvicinano neppure alla tensione che un semplice gesto scatenava nel film del maestro (Maestri si nasce, non si diventa!) (IO LO NACQUI!). 
La New York del film è spettrale, cupa, notturna, ma ci lascia completamente indifferenti. Quella di Hitch era luminosa, piena di riflessi eppure angosciante. Una ragione ci sarà.


Il duetto Scheider/Streep è un'indubbia esibizione di bravura recitativa, un po' troppo da parte di lei che, lasciata libera dal regista, cede spesso agli stereotipi della nevrosi. L’assassina è troppo poco analizzata, è come se passasse di lì per caso e nelle scene finali si muove impalata come la mummia di Boris Karloff.
Notevoli, Meno male, la fotografia (soprattutto i colori) di Nestor Almendros e la colonna sonora di John Kander, ma non sufficienti a salvare la pellicola.

Voto **1/2/5

giovedì 29 dicembre 2011

Galleria gialla (17)





N. 17
Sam Spade
(figlio di Dashiell Hammett )
Biografia essenziale
Non c’è molto da sapere dall’unico  romanzo (Il falco maltese) e da pochi brevi racconti confezionati per la radio. E’ un uomo senza un passato specifico; ha solo un lavoro da fare:  amorale (dollari) il codice etico che lo spinge a farlo. E' un tipo da sogno, nel senso che lui è quello che alla maggior parte degli investigatori privati  piacerebbe essere.  E’ un compagno difficile e sfuggente, in grado di prendersi cura dei clienti in ogni situazione; in grado di ottenere i migliori risultati per chiunque venga in contatto, sia criminali, innocenti o clienti.  Spade lavora per se stesso, non sempre va d'accordo con la polizia, e sembra mostrare molto interesse per l'altro sesso.
Carattere e psicologia
Esaminiamolo con prudente lombrosiana attenzione: ha la mascella inferiore ossuta e pronunciata, il suo mento sporge come una V,  sotto la mobile V della bocca. Le sue narici si sollevano in un'altra V più piccola. Soltanto i suoi occhi giallo-grigi tagliano la sua faccia con una linea orizzontale. Il movimento della V è ripreso dalle folte sopracciglia che si diramano da due rughe gemelle al di sopra del naso aquilino e l'attaccatura dei capelli castani molto chiari, spingendoli a punta sulla fronte, scopre le tempie. Somiglia, in modo abbastanza attraente, a un diavolo biondo... E’ alto un metro ottantacinque. L'ampio giro delle spalle fa  apparire quasi conica la parte superiore del corpo - è largo quanto è grosso - e non permette  alla giacca grigia appena stirata di piombare alla perfezione.
Insomma assomiglia a Bogart!
Abilità
Etica e intuito sottile (anzi acuminato) si danno una mano accordati da freddo cinismo, determinazione, esperienze sofferte e una discutibile etica. Surfista dei bassifondi, vaga qua e là cercando di non farsi troppo male; non è un santo, ma cerca di essere abbastanza onesto; non disprezza le donne, ma ( si ricordi il finale del film Il mistero del falco, che nel libro non c'è!) Sam 


sa bene che idealizzarle, e talvolta semplicemente amarle, può voler dire il disastro. Spara, e non lo fa neanche maldestramente, ma ne farebbe a meno, solo che in quegli anni non era proprio possibile. Preferirebbe tirare un pugno, ma, se costretto,  coglie il bersaglio.
Metodo 
Apparentemente ondivago, segue invece un percorso logico ineccepibile. La sua abduzione “in progress” è  flessibile: appena s’accorge subito dell’errore, aggiusta il tiro. E’ vaccinato contro il veleno di qualsiasi dark lady. 

Il gufo giallo (21)

Rubrica letteraria

Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
libro n. 21


Uno studio in rosso
Arthur Cona Doyle
Mondadori
Pubblicato nel 1887 è la prima indagine di Sherlock Holmes. In questo racconto si assiste al primo incontro tra Holmes e Watson, un ex medico militare appena tornato dalla guerra in Afghanistan. Watson, parlando con un suo giovane assistente, Stamford, dichiara di essere in cerca di un alloggio dignitoso ma a buon prezzo; E’ qui che viene menzionato Sherlock Holmes, che al contrario   in cerca di un coinquilino con cui dividere le spese di un bello e grande appartamento un po’ caro. Così i due si conoscono. Con una stretta di mano e una semplice occhiata Holmes intuisce il mestiere di Watson, lasciandolo esterrefatto della propria intuizione. I due sembrano subito in sintonia, e prendono in affitto l'appartamento al 221B di Baker Street.
Holmes deve molto al cavalier Auguste Dupin di Edgar Allan Poe, ma la nascita di questo sodalizio segna anche l’inizio del genere giallo. Anche se Holmes l’aveva chiamata inferenza, è pure la nascita dell’abduzione. Nell’ultimo capitolo si pavoneggia spiegando  a Watson il suo metodo: il segreto della soluzione dei problemi d’investigazione poliziesca sta nel “risalire alle origini”.
All’inizio del romanzo successivo, Il segno dei quattro, commentando il caso che aveva risolto in precedenza dice: “Il solo punto degno di nota nel caso in questione è il ragionamento curiosamente analitico da effetti a cause che mi ha permesso di districarlo.”
Alla fine degli anni ‘70 Umberto Eco e Thomas Sebeok, partendo da questo libro, affrontano una ricerca (preferirei chiamarla studio!) molto approfondita e rigorosa sul metodo di Holmes. Eco ne resterà affascinato, tanto che nel 1980 pubblica Il nome della rosa: l’investigatore si chiama Guglielmo da Baskerville! Sulla scia del successo del romanzo, nel 1983, novantasei anni dopo, per i tipi di Bompiani viene pubblicato Il segno dei tre. E’ il report della ricerca fatta da Eco e Sebeok. Il primo trattato scientifico sul metodo di Holmes: l’abduzione. Da quel momento chi vuole scrivere gialli non può prescindere dallo studio di questo bel saggio.
Il romanzo merita massimo del punteggio: è un premio alla carriera del più antipatico degli investigatori. Come si può restare simpatici se si capisce tutto prima degli altri?
Totale: *****/5

mercoledì 28 dicembre 2011

Lanterna gialla (20)

Film n. 20




L’infernale Quinlan (Touch of Evil)
di Orson Welles 
con Orson Welles, Charlton Heston, Janet Leigh, Marlen Dietrich  
  
Uno degli incipit più famosi (e istruttivi) della storia del cinema: un piano sequenza di tre minuti e venti secondi, quasi un record ancora (Sergio Leone a parte). La cinepresa segue un’automobile sulla quale è stata messa una bomba … il titolo del film quasi non interessa, è lì da una parte, poi se mai se ne parla!

Facile, direte voi, è tratto dal romanzo Contro tutti (Badge of Evil) di Whit Masterson. No, ci vuole il genio di Welles per un inizio così.: questa è suspense, di quella vera. L’angoscia e l’inquietudine pervadono tutto il film.

In viaggio di nozze in California con la moglie americana (Leigh), Vargas (Heston), funzionario messicano della Commissione panamericana antidroga, si scontra con il capitano Hank Quinlan (Welles), ottimo poliziotto dall'etica dubbia perché si considera al di sopra della legge. 


Da  lui completamente riscritto in meno di un mese, Welles, dal romanzo, ha tratto un capolavoro, componendo un memorabile ritratto di “uno sporco poliziotto, ma, a modo suo, un grand'uomo”: personaggio di tragica statura shakespeariana nel contesto di una miserabile cittadina di frontiera. 
Straordinario film bianco e nero con focali corte, inquadrature insolite, piani-sequenza vertiginosi tra cui quello celeberrimo d'apertura.   Stile eccelso: virtuosismo di scrittura, invenzioni e galleria di personaggi tra cui spicca chiromante della Dietrich: i personaggi vi contano più dell'azione, l'atmosfera più dei personaggi. 


Ma non possimo dimenticare Marlen, anche se nel poster il suo nome ha caratteri modesti: il suo personaggio è una rielaborazione di quello di Testimone d'accusa!
 Come avevo premesso qui la suspense è al massimo dei livelli: Per generala, si usano i mezzi tecnici, i dialoghi i personaggi, il detto e non detto, l’ambiguità di Quinlan: un diabolico gigante.  Ma il mercato è sordo e idiota:  la Universal tolse di mano al regista il film in postproduzione, tagliò una ventina di minuti, riducendolo alla durata di 95, fece girare nuove scene, modificò il 1° montaggio. 


Negli anni '90 il produttore Rick Schmidlin, ammiratore di Welles, decise di restaurarlo, ripristinandolo nella sua forma originaria. Il restauro, terminato nel 1998, fu fatto a cura di Walter Murch.   Grazie alla Sacher, la nuova edizione è stata distribuita sul mercato italiano in versione originale con i sottotitoli.

Voto *****/5

Il gufo giallo (20)

Rubrica letteraria
Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
libro n. 20

Il cane giallo
George Simenon
Adelphi


Uno dei tanti romanzi “provinciali” di Maigret. Quelli che preferisco. Credo che il commissario, corpo e anima profondamente contadina, si muova meglio in provincia che a Parigi. Questa volta è chiamato a Concarneau, per indagare sull'enigmatico ferimento di un commerciante di vini.  Concarneau (Konk-Kerne in bretone) è una piccola cittadina situata nel dipartimento del Finistère nella regione della Bretagna. Il paese, apprezzata meta turistica, è   uno fra i più importanti porti pescherecci francesi. Vi si pratica in particolare la pesca del tonno: Maigret deve invece pescare un assassino: lo aiuta un onnipresente cane giallo. Siamo all’inizio di novembre, la cittadina è deserta, la marea segna il tempo in modo più accurato del vecchio orologio che s’intravede sui bastioni. Subito l'atmosfera si fa inquieta, sospesa. Un forte vento, quasi un mistral, fa cozzare le barche con ritmici colpi sordi e cupi e anima foglie e pezzi di carta che schizzano in aria come schegge impazzite. In un’atmosfera così il delitto è di casa. Delitto di provincia, maturato nei cuori e infrenato nelle menti, come sempre accade nei luoghi del contado. Parigi, Londra o Firenze non fanno differenza.
Come sempre il commissario s’immerge nel luogo: “Era impossibile indovinare i sentimenti di Maigret, tutto intento a caricare la pipa con le dita tozze. La sua borsa da tabacco era lisa. Il suo sguardo vagava, attraverso una vetrata, sull’ampio orizzonte del mare.”
Vivere la scena del delitto è il suo modo per riflettere: per osmosi assorbe i sentimenti, le aspirazioni, le frustrazioni e gli odi dei personaggi. Le elabora e scindendo (con profonda pietas) le miserie morali dall’umanità risolve il caso. Questo romanzo è uno dei più rappresentativi di Maigret in provincia: è da leggere lentamente, dimenticando che è un giallo. Bisogna pensare d’essere in visita a una bastide e d’aver tempo per immergersi nel luogo, per capire quegli sguardi che ci fissano spenti dalle finestre, per cercare un brutto cane giallo che ci accompagni per quelle stradine spazzate da un vento cattivo.
Totale: ****/5

martedì 27 dicembre 2011

Galleria gialla (15)






N. 15
Isabelle Florent
(figlia di Fabien Suarez - sceneggiatore)
Biografia essenziale
Divorziata con figlio (Nicolas), è in servizio, come aiutante capo,  nel dipartimento della Yonne, in Borgogna, in una caserma della Gendarmerie, l’equivalente francese dei  Carabinieri.  Suoi aiutanti fissi sono Rivière, sposato con moglie un po’ agitata, e lo scapolo Roussillon che ne è un po’ invaghito: "Si tous les gendarmes avaient votre look, on aurait peut-être moins de problèmes d'image !". Figlia del colonnello Bernard Florent, anche lui gendarme, rimasto vedovo quando lei aveva solo 15 anni, cerca fare onore alla divisa che porta partendo dalla gavetta. Vive in un appartamento dietro la casermetta della gendarmeria.
Carattere e psicologia
Attenta osservatrice e fine psicologa, sente il legame dell’amicizia. Determinata, sensibile, altruista e dotata di senso dell’humour, quando occorre non risparmia battute sarcastiche.  Ama la vita e i suoi piaceri: quando può si toglie la divisa e si mette qualche abitino sportivo che possa mettere in risalto il suo fisico. Ha un profondo senso della giustizia. E’ consapevole d’essere bella, ma   fa uso parsimonioso delle sue armi di seduzione. Guai se qualcuno le dice che è  una donna che fa un mestiere da uomini: lo fulmina con uno sguardo, se non peggio. Sa bene, però, che  i suoi occhi verdi, spesso velati di tristezza, possono risolvere parecchi problemi. Sembra però preferire l’azione, e con tenacia non molla mai la preda.
Abilità
Sa fare gioco di squadra coi collaboratori, a cui da e chiede sempre il massimo. Comunicativa e riflessiva, ma anche capace di azioni estreme che porta a termine lei stessa grazie all’allenamento e al fisico prestante: una vera atleta. Sa di arti marziali, corre veloce, spara molto bene e tira anche con l’arco. Si dedica anima e corpo alla sua missione e questo è molto apprezzato dai collaboratori; a volte dimenticato dai capi, che, impazienti o insoddisfatti delle sue intuizioni, preferirebbero prendere vie più comode. Lei però, con tenacia vicina al sacrificio personale, non molla mai.
Metodo 
Abduttivo, ma cerca sempre conferme alle sue intuizioni nelle analisi dei colleghi della scientifica. Inoltre spesso la soluzione arriva allo scattare di trappole che richiedono determinazione e un certo spirito agonistico.

venerdì 23 dicembre 2011

Detective o skipper?


Un mestiere difficile

Sembra facile …
fare il detective in Toscana!

Detective suo malgrado Corto, skipper viareggino non vorrebbe parlare delle sue indagini. Forse ha ragione. Basta guardarsi intorno: il commissario Biagini, il maresciallo Puccinelli, il maresciallo Miglietta, il commissario Arcieri, l’investigatore privato Arturi, il commissario Bordelli, il barrista Viviani, il questore Giusti … ma quanti sono a combattere il delitto in Toscana?   
Io però avevo deciso di continuare a cercare le radici del genere giallo in toscana. Ovviamente   Corto il mio detective viareggino è una pietra miliare. L’ho ritracciato, una sera di fine agosto, al tramonto, nello chalet “da Pippo” il quasi bar della pineta di levante che ospita lui e i suoi amici.
Tralascio saluti, convenevoli e negoziazione, per convincerlo m’è anche toccato pagare una specie di merenda (quasi una cena) a il Bestia e a Geco.

Che effetto ti fa essere un detective soft boiled?
Effetto? Ad essere "soft" ci sono costretto. Mica posso pigliare a cazzotti i miei sospettati: sono clienti e ricchi parecchio: te non ti potresti permetter d’affittare per un mese una Perini di 36 metri! E poi via, siamo in Versilia! Ironia e sarcasmo sono l’unico metodo per risolvere i misteri.

Così sei convinto di avere un metodo?
Sì, ma mi ci è voluto un po' per capire cosa avevo fatto. Ti spiego. Quando finii l’indagine de La Delta velata lessi che qualcuno aveva detto che era un “giallo anomalo”. Confesso che ero impreparato, ci sono rimasto anche male: a me anomalo non me l’aveva detto nessuno! Al massimo, animale. Questa invenzione dell’editore mi ha fatto riflettere. Non era un giallo classico, non era nemmeno un noir, né tantomeno un thriller, forse un hard boiled. Sì, di questo genere era decisamente parente...

Corto, tu sei uno skipper detective, vorresti confrontarti con  Philip Marlowe?
No. Assolutamente, ma Raymond Chandler è una delle mie letture preferite.  Confesso che  Marlowe è il mio modello anzi è un mito per me... Solo che io sono  di Viareggio, non di Los Angeles.

Vedi che non regge.
Aspetta. Mica ti ho detto che le mie indagini sono hard boiled.

Si parlava solo de La Delta velata.
Ci sono anche altre storie. La seconda indagine, ne   L’oro degli aranci,   due raccolte di racconti Viareggio piccoli delitti imperfetti e I misteri della terza luna. Poi c’è quella a Istanbul, la più pericolosa: EIKONES.   Le mie avventure, mi piace di più chiamarle così …

Finalmente lo confessi! Allora t’immedesimi in Corto maltese
Ma che sei grullo, che hai capito?! “Corto” è un soprannome che mi mise il Bestia, quando s’era piccoli. O meglio quando io ero piccolo, che lui era già grosso. Io le ritengo avventure per un altro motivo. Se hai una fidanzata a cui tieni e ti capita di andare con un’altra, bada bene una volta sola, e poi ritorni da lei, di un’avventura si tratta, no? Lo stesso se uno fa l’impiegato in comune e lo skipper  e gli capita di fare un’indagine … è un’avventura.

Mi sembra tu esageri: impiegato al catastoeguale a skipper, via!
Ho detto skipper, ma vorrei vedere te avere a che fare col Gentileschi, il mio armatore lucchese. Il mito, la magia di Escondida? Chi l’ha mai visti. Comunque sia è il mio lavoro, come dicevo, alla fine dell’indagine lascio il merito a Ginko (anche se all’agente capo Ratti non ci crede nessuno!) o a Miglietta (che ci ha fatto carriera!) e ritorno a fare il mio mestiere. Questa è un’altra ragione per cui le mie indagini, ora lo capirai anche te, sono soft boiled.

Soft boiled? Praticamente uova alla coque!
Sì, bravo.

Però ce ne corre da un uovo bollito per otto minuti. Quello, se lo getti a terra, rimbalza: come Philip Marlowe. Più lo pesti, più s’incattivisce...
E' bene che ti spieghi le analogie e le differenze tra il genere hard boiled e quello soft boiled. Io e Marlowe siamo tutti e due investigatori, io lo faccio per “caso” Lui per necessità (non potrebbe fare altro). Tutti e due siamo un ponte tra le persone di basso profilo sociale e l’alta borghesia.

Chiamale analogie!
Il sarcasmo un po’ al vetriolo ci accumuna, solo che Marlowe è reso cinico dalla vita, mentre io, nato toscano, vivo a Viareggio, dove, se non pratichi sarcasmo, ti pigliano per il culo.

Ti sembra un paragone corretto? Confondi la psicologia con la genetica!
Marlowe ha subito una mutazione genetica: è dura sopravvivere a Los Angeles. Se fosse vissuto in Toscana sarebbe stato diverso. Lasciami finire. Delle battute ne abbiamo parlato... Ah, la violenza: Marlowe le prende e le da, io non uso mai le mani, solo la lingua. Ferisce con le sue battute. Marlowe, invece, usa le sue battute come minacce...

Tutto qui?
No. Ci sono le donne. Marlowe le incontra, le prende, le lascia, con dolore e nostalgia, ma melanconicamente le lascia. Io, vedi, sarei fondamentalmente monogamo, anche se, visto chi piaccio un casino, a volte sono tentato! Ma credimi una sola donna è la  condizione necessaria per essere soft, leggero. Infine gli amici. Marlowe non ha amici: è un solitario incattivito dalla solitudine. Io ne ho troppi, quasi tutti di basso profilo sociale, invadenti, ma fondamentalmente buoni. A volte vorrei fuggirli, non averli d’intorno, non essere ammirato da loro... ma mi dura un momento, sai sono un po’ vanesio.

Leggerezza, ironia, amici, sarcasmo: sono questi i caratteri del soft boiled?
In più c’è il lettore. Il metodo soft boiled è la mia risposta agli ultimi grandi best sellers dove il lettore NON DEVE ragionare, ma solo essere continuamente preso a cazzotti nello stomaco. Meno ragiona più la storia ne esce indenne! Nelle mie storie il lettore sta lì dentro, accanto a me, a scoprire trame e psicologia: è davvero lector in fabula.