Rubrica letteraria
Il
gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
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Libro
n. 37
L’enigma dell’alfiere
S.S. Van
Dine
Rusconi
Avevo già letto più volte questo libro, mai in
versione integrale. La copertina sopra è quella che ho trovato in cantina. Con
soli 4,25 euro (sconto fine stagione) mi sono procurato una versione integrale
ed ho anche potuto leggere la presentazione di Edoardo Ripari. Questa è stata la mia terza lettura: ma ne
valeva la pena. Ma prima di parlare del libro, risolviamo un mistero di plagio. In un post successivo affronterò anche un altro mistero: il rapporto tra Conan Doyle e S.S. Van Dine!
Non si tratta di un capolavoro assoluto della letteratura gialla
(e il tempo, ahimè, non gioca a favore del personaggio di Philo Vance), ma è certo un
solido classico e un punto di riferimento. Non ricordavo tutti i particolari (forse non c’erano neppure nell'edizione ridotta che lessi per prima)
e solo in parte la suggestione emotiva che mi aveva procurato al primo impatto.
Dalla prefazione di Ripari e dal saggio di Carlo
Toffalori (Il matematico in giallo) apprendo che S.S. Van Dine nel 1923 si ammalò
di tubercolosi e, costretto a letto, si mise a leggere crime e mystery story.
(anche da noi ancora non c’erano i “gialli”. Tra queste una in particolare lo
colpì e lo influenzò, Whose body? di Doroty L. Sayers (1923). Più che altro lo
influenzò il personaggio di Lord Peter Wimsey.
Il suo Philo Vance (appare nel 1926, vedi immagine sopra) ne è la rappresentazione newyorkese. Un plagio, bello e buono; con maggior talento, ma un plagio.
Il suo Philo Vance (appare nel 1926, vedi immagine sopra) ne è la rappresentazione newyorkese. Un plagio, bello e buono; con maggior talento, ma un plagio.
Sulla seconda di copertina de L’enigma dell’alfiere si
legge: “New York, ruggenti anni venti. Un
sinistro, imprevedibile assassino si macchia di una serie efferati delitti
ispirandosi a una filastrocca infantile. I principali sospettati sono tutti
eminenti personalità della metropoli. Spetterà a Philo Vance, esteta raffinato
e investigatore dalla mente labirintica, affrontare un genio criminale tanto
letale quanto perverso”.
Gli scacchi con questa storia c’entrano marginalmente,
perché l’assassino si firma con il nomignolo di “Bishop”: in inglese vuole dire
sia “Vescovo” che “Alfiere”. Proprio un
Alfiere nero viene lasciato sul luogo del delitto. E alcuni dei sospettati,
tutti matematici insigni, naturalmente, conoscono questo gioco.
La trama, con il relativo colpo finale a sorpresa (un
po’ troppo a sorpresa a dir la verità) ha un’architettura complessa, ma chi
attira l’attenzione del lettore è Philo
Vance. Il gemello americano di Lord Peter Wimsey l’aristocratico, il colto e mellifluo dandy intorno al quale ruotano tutti gli altri comprimari.
Costretto ad interrompere “la traduzione omogenea dei principali frammenti di
Menandro scoperti nei papiri egizi agli inizi del secolo” per seguire questo
caso davvero strano. Ma non sono gli scacchi,
né la matematica e neppure il tiro con l’arco a fare da ordito alla trama:
“Who killed Cock
Robin
“I”, said the
sparrow,
“withmy bow and
arrow
I killed Cock
Robin.” …
E’ l’inizio della filastrocca che ossessiona Philo più
degli scacchi , della matematica e delle frecce. La prosa è prolissa (figlia del tempo). Un classico, da leggere (ormai) solo per curiosità o per studio.
Voto ***1/2/5
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