venerdì 10 febbraio 2012

Gufo giallo (37)

Rubrica letteraria



Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
Libro n. 37





L’enigma dell’alfiere     
S.S. Van Dine 
Rusconi
Avevo già letto più volte questo libro, mai in versione integrale. La copertina sopra è quella che ho trovato in cantina. Con soli 4,25 euro (sconto fine stagione) mi sono procurato una versione integrale ed ho anche potuto leggere la presentazione di Edoardo Ripari.  Questa è stata la mia terza lettura: ma ne valeva la pena. Ma prima di parlare del libro, risolviamo un mistero di plagio. In un post successivo affronterò anche un altro mistero: il rapporto tra Conan Doyle e S.S. Van Dine!
Non si tratta di un capolavoro assoluto della letteratura gialla (e il tempo, ahimè, non gioca a favore del personaggio di Philo Vance), ma è certo un solido classico e un punto di riferimento. Non ricordavo tutti i particolari (forse non c’erano neppure nell'edizione ridotta che lessi per prima) e solo in parte la suggestione emotiva che mi aveva procurato al primo impatto.
Dalla prefazione di Ripari e dal saggio di Carlo Toffalori (Il matematico in giallo)  apprendo che S.S. Van Dine nel 1923 si ammalò di tubercolosi e, costretto a letto, si mise a leggere crime e mystery story. (anche da noi ancora non c’erano i “gialli”. Tra queste una in particolare lo colpì e lo influenzò, Whose body?  di Doroty L. Sayers (1923). Più che altro lo influenzò il personaggio di Lord Peter Wimsey.


Il suo Philo Vance (appare nel 1926, vedi immagine sopra) ne è la rappresentazione newyorkese. Un plagio, bello e buono; con maggior talento, ma un plagio.


Sulla seconda di copertina de L’enigma dell’alfiere si legge: “New York, ruggenti anni venti. Un sinistro, imprevedibile assassino si macchia di una serie efferati delitti ispirandosi a una filastrocca infantile. I principali sospettati sono tutti eminenti personalità della metropoli. Spetterà a Philo Vance, esteta raffinato e investigatore dalla mente labirintica, affrontare un genio criminale tanto letale quanto perverso”.
Gli scacchi con questa storia c’entrano marginalmente, perché l’assassino si firma con il nomignolo di “Bishop”: in inglese vuole dire sia “Vescovo” che “Alfiere”.   Proprio un Alfiere nero viene lasciato sul luogo del delitto. E alcuni dei sospettati, tutti matematici insigni, naturalmente, conoscono questo gioco.  
La trama, con il relativo colpo finale a sorpresa (un po’ troppo a sorpresa a dir la verità) ha un’architettura complessa, ma chi attira l’attenzione del lettore è   Philo Vance. Il gemello americano di Lord Peter Wimsey  l’aristocratico, il colto e mellifluo dandy  intorno al quale ruotano tutti gli altri comprimari. Costretto ad interrompere “la traduzione omogenea dei principali frammenti di Menandro scoperti nei papiri egizi agli inizi del secolo” per seguire questo caso davvero strano.  Ma non sono gli scacchi, né la matematica e neppure il tiro con l’arco a fare da ordito alla trama:
“Who killed Cock Robin
“I”, said the sparrow,
“withmy bow and arrow
I killed Cock Robin.” …

E’ l’inizio della filastrocca che ossessiona Philo più degli scacchi , della matematica e delle frecce. La prosa è prolissa (figlia del tempo). Un classico, da leggere (ormai) solo per curiosità o per studio.
Voto ***1/2/5

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