Evoluzione del giallo all’italiana:
la ricerca di un’identità attraverso i nomi!
(I)
Premessa
‹Nòmina sunt konseku̯ènzia ...› (i nomi sono conseguenti alle cose). – Frase nota anche per la citazione che ne fa Dante (Vita Nuova XIII, 4: con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto: «Nomina sunt consequentia rerum»), ma la cui origine è in un passo delle Istituzioni di Giustiniano, II, 7, 3 (nos ... consequentia nomina rebus esse studentes ... «noi ... cercando di far sì che i nomi corrispondano alle cose ...»). Si ripete talora per esprimere la convinzione che i nomi rivelino l’essenza o alcune qualità della cosa o della persona denominata (ma è anche usata in tono ironico o scherzoso), così qualcuno ha creduto che fosse possibile anche per i “gialli”.
All’origine
Il Regime di “M” (“In Italia non ci sono delitti, neppure di fantasia!”) era ostile al giallo, per cui gli autori s’arrangiavano con ambientazioni straniere e nomi stranieri! Non tutti però.
Infatti Alessandro Varaldo con abile alchimia narrativa faceva indagare, nella profonda provincia italica, Ascanio Bonichi, altro nome molto italiano. Fu tollerato. Alessandro De Stefani invece mise in campo Robert Menard e pure Tito A. Spagnol si adeguò, facendo indagare in quel di New York, Alfred Gunsman. Non ubbidì Augusto De Angelis (Commissario De Vincenzi) e fu perseguitato in modo efferato: lo uccisero a botte e manganellate!
Passata la guerra, ahimè, si ricominciò da lì! Da cui anche il pluridecorato tenente Sheridan. Chi, a causa dell’età, non è stato telespettatore degli albori TV quei tempi (una sessantina di anni fa), avrà difficoltà a comprendere il successo straordinario di quel poliziesco italiano in televisione.
Il protagonista si chiamava Ezechiele Sheridan. Ezechiele poteva essere ridotto a Ezzy, ma continuava a ricordare (volutamente) il lupo cattivo dei tre porcellini. Meglio allora Tenente Sheridan e basta. Sul nome (come pure sul trench) ci sono vari aneddoti; io credo che un buon riferimento sia il generale Philip Sheridan, eroe della guerra civile americana e attivo comandate nelle guerre indiane (sua la frase : “L’unico indiano buono è quello morto!”).
I polizieschi di quegli anni erano influenzati dal “giallo” classico (giallo ad enigma): sì, avevano un qualcosa di enigmistico puro che col tempo (viva l’hard boiled!) si è per fortuna, via via, affievolito.
Gli episodi con Sheridan erano, in fondo, un enigma, con tutti gli elementi per risolverlo. Il pubblico era chiamato a provarci da casa, non a subire la storia passivamente, come spesso capita oggi. La trasmissione, a quiz, si titolava “Giallo Club”. Anche il mitico Carosello, nel suo piccolo, usò un nome straniero, ma in miniatura negli sketch (di due minuti) dell’ispettore Rock, interpretato da Cesare Polacco che, come tutti i meno giovani ricorderanno, aveva commesso un solo errore nella sua vita: non avere usato una certa brillantina, da cui la calvizie totale.
In quegli anni Giorgio Scerbanenco per rimediare al nome di Arthur Jelling, il singolare funzionario della polizia di Boston, protagonista di sette suoi romanzi pre bellici, scelse il nome di Duca Lamberti per la sua serie milanese..
Sei secoli prima
Ma torniamo indietro che c’è un esempio illustre, una pietra miliare!
Ne Il nome della rosa di Umberto Eco (1980), titolo a parte, le tante realtà medioevali che si contrastano nell’opera sono accompagnate, per necessità di coerenza, da nomi dal sapore non estraneo al XIV secolo in cui la vicenda è ambientata (1327): ne è il primo esempio la scelta di Guglielmo di Baskerville, investigatore alla Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, dal quale riprende il cognome della famiglia protagonista del romanzo Il mastino dei Baskerville.
Adso da Melk, il novizio aiutante, oltre a ricordare vagamente il cognome del dottor Watson, fedele amico e collaboratore di Sherlock, richiama il poeta tedesco del XII sec. Heinrich von Melk, che in due opere in versi, gli Ammonimenti della morte e le Vite dei preti, criticò la corruzione di laici e clero e satireggiò sulla riforma cluniacense. Melk è pure un comune e soprattutto una grande abbazia benedettina nella Bassa Austria.
Anche tra gli altri nomi de Il nome della rosa si nota la ricorrente costruzione N+da+T, con N antroponimo e T toponimo (di provenienza): Remigio da Varagine (parente del concittadino Jacopo?) Jorge da Burgos (ovvia parodia di Jorge Luis Borges), Severino da Sant’Emmerano, Abbone da Fossanova, Malachia da Hildesheim, Bencio da Uppsala (tipico esempio di pastiche linguistico e geografico, un ipocoristico toscano abbinato alla Svezia), Venanzio da Salvemec, Berengario da Arundel, Alinardo da Grottaferrata, oltre ai realmente esistiti Ubertino da Casale e Bernardo Gui, il domenicano francese autore del primo manuale dell’Inquisizione, il De practica inquisitionis.
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