I labirinti di
ΕΙΚΟΝΕΣ
Romano
editore
NEL LABIRINTO DEI LABIRINTI
postilla alla recensione di EIKONEƩ
di Carmen Claps
In EIKONEƩ il tema del labirinto è talmente importante che credo
meriti una postilla dedicata.
Cominciamo
col fare una precisazione: in psicanalisi, il labirinto è uno dei tanti simboli
dell’inconscio: il diretto interessato ci si perde senza scampo; invece, chi lo
osserva dall’ esterno, possibilmente dall’alto, può studiare il tutto con
calma, con freddezza. E’ un po’ come Ariosto (e il suo lettore), che si diverte
a osservare e a commiserare i miseri mortali che si affannano e si rincorrono
vanamente nel magico castello di Atlante.
Ma torniamo
a noi. Il motivo del labirinto ci accompagna passo, passo per tutta la vicenda.
Oscar Montani lo tratta in modo magistrale, sempre vario, quindi senza mai
annoiare il lettore, anzi interessandolo e sorprendendolo sempre. Pensate che
il labirinto compare proprio nelle primissime pagine: Corto, il nostro
protagonista, sta raccontando al suo amico Fathim dell’ultimo caso, dell’ultimo
mistero in cui è attualmente coinvolto e la butta lì come per caso, come fosse
una delle tante efficaci immagini cui il nostro autore ci ha abituato: “Mi
ero ficcato in una specie di labirinto. Facile entrare: non me ne ero accorto
nemmeno. Quando avevo capito d’ esserci dentro era tardi per uscire: ora che mi
ero perso, avrei ritrovato la via d’uscita solo ritornando indietro, fino
all’inizio. Soprattutto dovevo capire quando avevo varcato l’ingresso”
(p.12).
A questo
momento, vi ripeto, non sappiamo ancora di trovarci di fronte al tema cardine
del romanzo. Invece possiamo dire che praticamente ogni colpo di scena, ogni
momento significativo della vicenda è sottolineato dalla presenza del
labirinto. Sembra quasi che questo elemento sia portatore, sia occasione, sia
simbolo di eventi infausti o criminosi, così come ne “L’oro degli aranci” lo è
la spirale. Dove c’è il male c’è il labirinto, dove c’è il labirinto c’è il
male. Intanto, abbiamo conosciuto il labirinto più insidioso, quello
psicologico, quello di cui Corto sente prigioniere le sue facoltà intellettive
da quando ha intrapreso quell’indagine e dal quale sa benissimo che potrà
uscire solo risolvendo il complicatissimo caso in cui si è imbattuto, un caso,
se vogliamo, “a labirinto” perché ha mille direzioni, mille vie e trovare la
soluzione, l’uscita sembra impossibile. Al proposito gli danno consigli molto
profondi due amici. Il primo è Fathim, che, per uscire dal labirinto, gli
suggerisce letteralmente un colpo d’ala: “Corto, è troppo tempo che non
voli. Tu sei un albatros, devi raggiungere i gabbiani, andare ancora più in su,
volare più in alto di loro. Dall’alto vedrai tutta la foresta, dominerai il
labirinto e non sarai più confuso. Corto, vola!” (p. 229). A proposito,
Fathim è strettamente collegato al motivo del labirinto, infatti, grazie alle
sue acute osservazioni e domande in merito al caso, insomma al suo metodo un
po’ “maieutico” Corto può dirgli a buon diritto: “Tu sei il mio filo di Arianna”.
Il secondo è un maestro sufi, che si rivolge a lui con toni molto elevati,
tipici di un asceta: “A te non interessa l’oro, vuoi solo la verità. La
verità è la chiave per aprire la porta che ti farà uscire dal labirinto”
(p.304.
Vi dicevo
che i labirinti sono diversissimi l’uno dall’altro per età di costruzione, per
finalità, per materiale, per collocazione geografica. Quindi il nostro autore
ci ha dato, senza volerlo e senza che noi ce ne accorgessimo, una lezione
memorabile sul labirinto, ci ha dimostrato che da sempre l’uomo ha nei suoi
pensieri, nelle sue fantasie, nei suoi incubi questo elemento.
Nel romanzo,
il primo labirinto che incontriamo è quello ai giardini Puskin di San
Pietroburgo, un labirinto fatto di siepi di bosso. Corto è a San Pietroburgo
per conto del suo capo per verificare lo stato di una nave, l’Eikon, che il
Gentileschi intende acquistare. Corto lo visita insieme ad Anhja , enigmatica
guida russa e Rampino, altrettanto enigmatico ex ladro greco (ma sarà poi
davvero ex?). Il nostro autore è talmente abile che basta la vista di un
labirinto per evocargliene un altro. Infatti, appena si trova davanti agli
occhi quel labirinto di siepi, subito rivede nella mente il labirinto gelato
del film “Shining”, in cui è ambientato quell’angosciante inseguimento. Anhja
ci mette del suo: racconta un episodio accaduto in quel labirinto Puskin. Ve lo
lascio gustare attraverso una lettura personale e vi raccomando molta
attenzione. Qui vi dico solo che c’è anche un riferimento al secondo labirinto
di Kubrick: i lunghi corridoi dello sconfinato e desolato hotel Overlook, in
Colorado.
Tanto per
tirare un attimo il fiato, c’è un labirinto meno angosciante, anzi, descritto
in modo decisamente poetico ed è quello formato dalle stradine di Lucca, che
noi vediamo animarsi nelle ore mattutine, nei tempi passati per bocca del nonno
di Corto e attualmente da Corto stesso.
Purtroppo la
sosta è davvero breve: nel nostro romanzo il labirinto ha sempre la solita
accezione inquietante, angosciante e non potrebbe essere altrimenti. Siamo
sempre a Lucca, ma non è più l’atmosfera attiva, quasi gioiosa del risveglio: è
un mezzogiorno assolato, assonnato. Corto è stato convocato, con il suo
secondo, Joseph Perinod, dal grande capo Gentileschi, come sempre prima di una
crociera importante, per le raccomandazioni di rito. In piazza San Martino,
assiste all’agonia di Rampino, che muore accoltellato, ma ha giusto il tempo di
avvinghiarsi a una colonna del porticato e di fare misteriosi segni con il suo
sangue su un labirinto che è tracciato su di essa.
Di
tutt’altro genere è il labirinto in cui Corto si perde e si rifugia nello
stesso tempo ad Istanbul ai cantieri Tuzla, dove si è recato per fare indagini
sulla morte di Rampino. Questo è un labirinto che si è formato del tutto casualmente
per l’ammasso di containers. Quindi, altro colpo di genio del nostro autore,
che qui accosta un elemento antico quanto l’uomo a qualcosa di assolutamente
moderno. Come vi annunciavo, nel labirinto Corto si perde, anche perché la
scena si svolge in piena notte (è una scena ad altissima tensione, degna del
miglior poliziesco) però questo labirinto, in qualche modo, gli serve anche
come via di fuga, grazie anche al provvidenziale intervento di un misterioso
guerriero ninja, che gli salva la vita dall’aggressione di quattro energumeni.
Da un
labirinto “contemporaneo” al labirinto per antonomasia, cioè a quello di Creta,
dove Corto accompagna i suoi croceristi. L’esperto in archeologia di turno, un
professore naturalmente tedesco, smitizza senza pietà quel labirinto: ci spiega
che non era una costruzione intenzionale, ma edifici via, via eretti intorno
alla reggia, che erano diventati una sorta di alveare, edifici attorno ai quali
era diventato un problema orientarsi. Da qui l’idea del labirinto. C’è, invece,
un labirinto nelle grotte di Gortina e Corto si trova a dover esplorare anche
questo: altra scena mozzafiato, con il nostro che corre i suoi bravi rischi.
Nel
frattempo, non dimentichiamo mai il tarlo del protagonista, cioè quello di
scoprire quando è entrato nel suo personale labirinto, perché sa che solo
risalendo a questo potrà trovare la via d’ uscita.
Per offrirci
un panorama il più completo possibile sui labirinti, Oscar trova il modo di
citare, en passant, Hedge Maze, il labirinto che si trova ad Hampton Court,
dedicato a Guglielmo d’Orange che, con i suoi più di 200.000 mq., è il più
grande d’Europa.
Un ultimo
labirinto attende il nostro protagonista, appunto quello in cui si scioglie
l’enigma, sono i sotterranei di Istanbul. Anche in questo episodio, l’autore è
abilissimo perché descrive i momenti immediatamente precedenti all’esplorazione
di questi sotterranei con toni leggeri, ironici, oserei dire comici, come
sempre quando è presente in scena Fathim. Poi, una volta raggiunto il labirinto
l’atmosfera e, di conseguenza, il tono cambia totalmente: non si scherza più.
Occhi sgranati, orecchi tesi e poi agguati, inseguimenti, coltellate, speranze,
delusioni, come sempre colpi di scena e non si può interrompere la lettura fino
alla conclusione dell’episodio. Proprio nei sotterranei di Istanbul si
chiarisce il mistero; Corto risale finalmente al momento in cui è entrato in
quel maledetto labirinto e, quindi, può dire: “Ero finalmente uscito dal
labirinto”. Lo dice certo con un sospiro di sollievo, ma, ripensando a tutta la
vicenda, anche con una certa amarezza. Significativamente e non a caso, da
questo momento in poi, nelle le poche pagine che ci separano dalla parola fine,
non incontreremo più l’immagine costrittiva ed angosciante del labirinto, se mai
quella infinita e libera del mare, l’elemento naturale per il nostro
protagonista: Corto finalmente “E’ tornato a casa”.
(Carmen
Claps)
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