Film
n. 14
Vertigine (Laura)
di Otto Preminger
con Gene Tierney, Dana Andews, Clifton Webb, Vincent Price
Il tenente Mark McPherson detective della
polizia di New York indaga sulla morte di una donna, Laura Hunt (da cui il
titolo originale).
Per sottolineare il grande coinvolgimento del personaggio in questa storia noir la voce narrante è proprio quella del detective. Col procedere degli eventi il tenente s’appassiona così tanto da “innamorarsi” della vittima. Com’è possibile? Per via di un ritratto e del gioco di specchi che ne deriva. Ripeto, ho visionato il film sei volte, com'è possibile? Forse bisognerebbe aver letto il romanzo da cui è tratto, io, lo confesso, non l'ho letto!
Ma c'è anche un gioco di sogni scatenato, sul personaggio e sullo spettatore, dai flashback perfettamente innescati, come la suspense che ne scaturisce, questa sì! L’atmosfera sottilmente morbosa (qualcuno, a proposito delle mutandine estratte con voluttà dal cassettone ha tirato in ballo la necrofilia!) e decisamente onirica avvolge e coinvolge in un intreccio di intrigante e strisciante ambiguità: un boa costrictor che ti prende alla gola. Temi centrali del film sono il doppio, l’alternanza tra sogno e realtà, verità e menzogna. Lo specchio, coi suoi giochi d’inquadratura, è un elemento (lo strumento scenografico principe) che ricorre spesso: suggerisce, evidenzia e sottolinea l’ambiguità dei personaggi. Quest’uso sapiente di un elemento “attivo” fa del film un esempio di eleganza formale da studiare nelle scuole di cinema. Ma non c’è solo lo specchio, il detective conosce la donna attraverso un ritratto, ma così coinvolgente (e anche spesso presente nell’inquadrature) da farlo innamorare: potenza dell’immagine e dei messaggi subliminali. Oggi lo sappiamo bene, ma allora era estremamente innovativo e suggeriva dubbi: “Sogno o son desto?”, e la TV era tutta da scoprire. Quando il mistero si svela McPherson (svegliandosi finalmente dal sogno) dirà: “Le donne ti mettono sempre nel sacco!”, in realtà è il regista ad averlo messo in trappola!
Per sottolineare il grande coinvolgimento del personaggio in questa storia noir la voce narrante è proprio quella del detective. Col procedere degli eventi il tenente s’appassiona così tanto da “innamorarsi” della vittima. Com’è possibile? Per via di un ritratto e del gioco di specchi che ne deriva. Ripeto, ho visionato il film sei volte, com'è possibile? Forse bisognerebbe aver letto il romanzo da cui è tratto, io, lo confesso, non l'ho letto!
Ma c'è anche un gioco di sogni scatenato, sul personaggio e sullo spettatore, dai flashback perfettamente innescati, come la suspense che ne scaturisce, questa sì! L’atmosfera sottilmente morbosa (qualcuno, a proposito delle mutandine estratte con voluttà dal cassettone ha tirato in ballo la necrofilia!) e decisamente onirica avvolge e coinvolge in un intreccio di intrigante e strisciante ambiguità: un boa costrictor che ti prende alla gola. Temi centrali del film sono il doppio, l’alternanza tra sogno e realtà, verità e menzogna. Lo specchio, coi suoi giochi d’inquadratura, è un elemento (lo strumento scenografico principe) che ricorre spesso: suggerisce, evidenzia e sottolinea l’ambiguità dei personaggi. Quest’uso sapiente di un elemento “attivo” fa del film un esempio di eleganza formale da studiare nelle scuole di cinema. Ma non c’è solo lo specchio, il detective conosce la donna attraverso un ritratto, ma così coinvolgente (e anche spesso presente nell’inquadrature) da farlo innamorare: potenza dell’immagine e dei messaggi subliminali. Oggi lo sappiamo bene, ma allora era estremamente innovativo e suggeriva dubbi: “Sogno o son desto?”, e la TV era tutta da scoprire. Quando il mistero si svela McPherson (svegliandosi finalmente dal sogno) dirà: “Le donne ti mettono sempre nel sacco!”, in realtà è il regista ad averlo messo in trappola!
Una
citazione per Dana Andrews molto bravo a rendere lo straniamento onirico del
personaggio narrante.
Da
notare la presenza di Clifton Webb in una parte drammatica, qualche anno dopo
sarebbe diventato, per il divertimento di tutti, l’eclettico Mr. Belvedere.
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