Intervistato da Corto
non è possibile!
Don Sesto
aveva pensato di fare un numero speciale di "Ascolta", il giornalino della Parrocchia di San
Francesco. Per questo aveva affidato a Corto l’incarico di intervistarmi.
Intervista scomoda, per me. Intanto dovevo andare io a cercarlo. Non da Fappani “ex Fappani, tollerabile solo di mattina!”
aveva precisato lui. Al tramonto lo si trovava solo allo chalet “da Pippo”: un quasi bar che in passato vendeva
soltanto cocomeri al taglio da consumare lì o da asporto!
Non è facile trovare la disastrata capannina di legno, ex taiga da festival dell'Unità. Bisogna varcare un ponticello e poi aggirare un moderno barrettino, tutto lustro. Quando pensi d'essere in una discarica, sei arrivato! Entrato
nello chalet, noto Corto in un angolo, rivolto verso il tramonto. Sta leggendo un
libro con un falco su un angolo della copertina: sì, non ci sono dubbi, è Nova
tempora l’ultimo mio giallo storico:
lo so che lui invidia Bertuccio, ma non voglio parlarne! A un tavolo quattro
suoi amici giocano a scopone, o fanno
finta.
Alza
la testa solo per bere un sorso di un liquido dal colore opaco e incerto, mi
sorride e capisce al volo la situazione. M’aveva avvertito: “Da Pippo solo analcolici!”. Secondo lui
i cocktail di Pippo erano speciali, secondo me peggio di Mr Muscolo, il
disgorgante gel. Mi avvicinai guardingo.
Dopo i saluti, scanso il pirone appoggiato sul banco dove fa mostra di sé la
terrificante bevanda. Riesco ad ottenere un Sanbittèr, alla bottiglia e tiepido
(il peggio del peggio, ma non dell’idraulico liquido!), ma rosso e trasparente.
Corto posa il libro e apre un quaderno sgualcito, sottratto a chissà quale
bamboretto.
Corto : Pensavo
che con un romanzo, massimo due me, la sarei cavata, tu invece hai fatto di me
un personaggio seriale. Parlo anche a none di Geco, il Bestia, Ginko, Teddi e gli altri; quali sono le tue scusanti?
R.: I
personaggi seriali sono molto amati dai lettori. La pigrizia del lettore fa sì
che un personaggio noto è immediatamente comprensibile, ma non solo. Svelo un segreto
di pulcinella dicendo che il personaggio seriale, per l’autore, è molto “economico”. Costa meno all’autore, che
può investirci un poco alla volta. E’ come comprare un’auto col leasing. Al di
là del paradosso. Il personaggio seriale consente di generare nel lettore (ma
l’autore non ne è immune) meccanismi d’affezione, ma anche di trovarlo pronto:
come con i fumetti. Devo dire che “per tutti” è particolarmente divertente
seguire “la vita” del personaggio.
C. : Vuoi
dire che i lettori vorrebbero curiosare nella mia privacy?
R: Non
esagerare, i miei personaggi non sono icone come Topolino
o Paperino, cambiano, crescono, perché amano, vincono, perdono …
C. : Io
non perdo mai, non prendo responsabilità, lo sai, fuggo prima!
R.: Certo
che lo so! Tutto perfetto se non ci fossero i tuoi amici, i comprimari, camperesti meglio,
ma loro ti incastrano sempre in un’indagine. Sanno che sei vanesio e molto
legato al vincolo dell’amicizia, caro “capitano”!
C.: Non
chiamarmi capitano! Già non lo gradivo prima; ora poi, dopo il naufragio del
Giglio!
R: Scusa, ti
faccio un “inchino”! Dicevo dei tuoi amici … Comodi e sarebbe una fatica inventarsene sempre di
nuovi. Li riutilizzo, ma sono infidi,
pericolosi e pieni di pretese, molto più di te. Sanno di nascere da una scelta
pratica, sanno che senza di loro l’eroe principale, tu, sarebbe poco
significativo. Dopo un po’, preso coraggio e “coscienza di classe”, cominciano
a farsi avanti con la frase “ora
toccherebbe a me!” Sai come va a finire? Ahimè ormai mi hanno preso
prigioniero: infatti son dovuto venire in questo posto infame!!!
C.: C...o,
tu ti lamenti e io allora? E’ per quello che tento di fuggire! Non contento mi
hai anche messo accanto Miglietta. “Per star più agganciati
alla cronaca nera” mi hai detto. Non ci credo, qual è la verità vera?
R: Non ci
sono stati secondi fini, mica volevi continuare con Ginko? La cronaca la seguo
e m’interessa molto, ma non mi influenza. La leggo per il mio interesse
(deviazione professionale: studiavo e insegnavo l’abduzione dei manager) sui
meccanismi dell’abduzione, su come questa agisce nella mente degli
investigatori e anche (per reciprocità) nella mente del colpevole che, se non
lo incalzi, prende contromisure: vedi i casi più famosi degli ultimi tempi
(Garlasco, Perugia, Erba, Avetrana …). Occorre studiare Maigret che è maestro
d’interrogatorio.
C.: Miglietta
mi sembra un pochino sotto al livello di Maigret!
R.: Nessuno
è perfetto, però ti aiuta.
C.: Non
lo nego, ma più che altro sono io che aiuto lui! Io son pigro, lo sai, perché hai
deciso di farmi fare indagini? Perché usare la Versilia come sfondo alle
vicende narrate? E’ amore o sadismo nei miei confronti?
R.: Solo
amore e tu qua c’eri, mica è colpa mia! Chi non è stato in Versilia nelle mezze
stagioni non può capire. Il lungomare (fino a Marina di Carrara) percorso in
bici nel meriggio assolato di luce radente è un’esperienza che ti segna, ti
entra nella testa fino all’amigdala. Se poi, a Viareggio, vai al ponte mobile
ad ascoltare di nascosto i vecchi che discutono sulle panchine, be’ la giornata
è impagabile. Basta una frase, una battuta ed ecco nasce una storia … e tu qua
c’eri!
C.: Lo so
che c’ero. Tutto bello, se non ci vivi! Comunque mi scoccia che ora si dica che
io, viareggino purosangue, sia un personaggio del noir!
R.: Hai
ragione, non a caso ho inventato il soft
boiled! La stessa tua domanda me la pose un bieco
editore dallo sciatto capello lungo e arruffato. Gli risposi: “Le mie storie sono soft, soft boiled.”
Ovviamente lui non capì. La sua faccia era spenta, la gamba ballettava
nervosamente e gli uscì persino una ciabatta dal piede sinistro. Allora infierii:
“Dài, come le uova alla coque!”. Non aveva capito un tubo lo stesso: infatti mi
pubblicò subito dopo.
Torniamo
seri: io lavoro sui personaggi, sui loro dialoghi in un contesto di provincia
agiata. Tu sei comunque benestante. Viareggio, Forte dei Marmi, Lucca, Luoghi dove noir o hard
boiled non avrebbero senso. Forse il thriller, ma non è nelle mie corde
e non ho personaggi in grado di far bella figura. Le mie storie cercano di
essere divertenti, poco trucide, con nessun compiacimento per i particolari
macabri… questa la mia intenzione, ma i lettori a volte ci mettono del suo (lo
si sa) e allora sento: “bello il tuo
noir”! Signore, perdona loro perché non sanno quello che dicono!
C.: Tu
scrivi molti racconti, genere che in Italia ha ancora una porzione di mercato
ristretta come mai?
R.: Le mie
raccolte sono di fatto dei romanzi, ma non lo dire al Bestia, a Geco o a Ginko.
Sono loro che, con esose rivendicazioni, mi hanno chiesto di esser
protagonisti, mica potevo dedicare un romanzo a ciascuno? Da cui i racconti, ma
ben organizzati. Sequenzialità temporale, arco solare ristretto, persistenza
dei personaggi, luogo geograficamente contenuto. A dire la verità leggo poco i
racconti, che i vari autori tendono a mantenere su durate poco praticabili.
Dieci, quindici pagine è una lunghezza orribile. Io scrivo di una pagina o di
30 meglio 40. Sono due cose diverse e pongono, all’autore, sfide differenti.
Nel corto si gioca sul ritmo dei periodi, brevi, e delle parole. Nelle 40
pagine si riesce a tracciare una trama, rapida ma trama. Un giallo senza trama
è come un albero di natale senza albero: palle alla rinfusa.
C.: So
che ti sei messo a fare il curatore di una collana di gialli, cosa non deve mai
mancare in una storia che scrivi o in una che leggi?
R.: La
suspense. Il narratore non deve perdere il contatto col lettore. Anche se è una
storia d’amore ci vuole suspense. Avete mai letto Liala o Grand Hotel? No? Vi
vergognate ad ammetterlo, lo so. Io no, sui fotoromanzi, che leggevo di
nascosto da piccolo, ho imparato la suspense. Poi, da grande, ho scoperto la
versione integrale de I tre moschettieri. E’ un romanzo d’appendice, un
capolavoro, e la suspense è in ogni pagina. Perseguirla, secondo me, è anche un
modo per migliorarsi, per acquisire uno stile più funzionale alla narrazione,
per comporre descrizioni mirate e dialoghi serrati … E’ il prezzemolo (o il
basilico) dell’autore. Chi non l’usa serve cibi sciapi.
C.: Non è
che devo stare all’erta: mica mi farai indagare a breve?
R.: Tranquillo,
ti toccherà a fine anno 2012. Da un paio di mesi ho finito un giallo ambientato
nel 1924. Un anno di transizione che consolidò la presa di potere di Mussolini.
Siamo nel contado fiorentino ed a Firenze dove non si è ancora dimenticata l’uccisione
di Spartaco Lavagnini. Di certo il delitto Matteotti lo ha richiamato alla
memoria.
Il fascismo sta prendendo il potere, ma la vita del protagonista (narratore), un
medico condotto che fa anche servizio in un ospedale a Firenze, oscilla tra la città e il paese scorre lieve e
distratta tra amanti, giochi con gli amici e spettacoli al cinematografo, la
sua passione. Sono all’inizio e, come dicevo prima, ogni tanto mi blocco perché
devo saperne di più su qualcosa. Ad esempio, ora, sulle trasmissioni alla
radio, e quindi sui modelli di apparecchi radio, ma anche su chi poteva
permetterseli, quanto costavano, …
C.:
Non
mi sembra tanto soft boiled!
R.:
Infatti, dato che tu non c’entri, è noir!
C.: Questa storia del soft boiled, è intrigante,
non per essere solidali ad un editore, che tra l’altro conosco (è sempre al Bar
Balena!) ma mi spieghi la faccenda delle uova
alla coque?
R.: Pensa a un
uovo bollito per otto minuti. Poco digeribile e, se lo getti a terra, praticamente
rimbalza: come Philip Marlowe, il detective di Chandler. Più lo pesti, più
s’incattivisce...
E' la base per spiegare le analogie
e le differenze tra il genere hard boiled e quello soft
boiled. Tu,Corto, e Marlowe siete tutti e due
investigatori, tu lo fai per “caso”, per divertimento, per curiosità. L’altro,
l’americano, lavora per necessità (non potrebbe fare altro e deve campare).
Tutti e due siete un ponte tra le persone di basso profilo sociale e l’alta
borghesia.
Sono analogie per opposti (quasi). Sarcasmo
e ironia caratterizzano voi due
detective, solo che Marlowe è reso cinico dalla vita, mentre tu caro Corto, nato
toscano, a Viareggio, le battute ce le hai nel sangue: per te sono il sale
della vita. Come qualcuno ha scritto: “Saresti
disposto a perdere un amico, pur di non perdere una battuta!”
C.: Ti sembra un paragone corretto? Non è che confondi
la psicologia con la genetica!
R.: Genetica, no antropologia culturale, semmai! Marlowe
ha subito una mutazione genetica: è dura sopravvivere a Los Angeles inquinata e
caotica. Se fosse vissuto in Toscana sarebbe stato diverso: andare a fare il
bagno alla Lecciona è meglio che a Dogtown, credimi! Lasciami finire. Delle
battute ne abbiamo parlato... Resta la violenza: Marlowe le prende e le da, botte cattive, orribili. Tu non usi
mai le mani (non hai una pistola, in plancia hai solo la lanciarazzi di
segnalazione), la tua arma è la lingua, affilata come uno stiletto: ferisci con
le tue battute. Marlowe, invece, usa le battute come difesa, per prendere le
distanze (da una donna potenziale dark lady, ad esempio) o come minacce ...
prima di passare ai pugni. Ah, dimenticavo, gli amici. Philip non ha amici, è
un solitario. Tu hai un gruppo di amici, comprimari speciali, che ti aiutano
(quando va bene) o ti mettono nei guai, spesso. Invadenti comunque.
I quattro al tavolo ricominciarono a calare le carte ed a imprecare. Avevano ripreso a giocare. L'intervista era finita.
I quattro al tavolo ricominciarono a calare le carte ed a imprecare. Avevano ripreso a giocare. L'intervista era finita.
Bene bene Oscar ma non rilevare troppo di corto ricorda le regole mai rilevare troppo ehhhhhh
RispondiEliminaTopolinick