Rubrica letteraria
Il
gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
Libro n.
36
La carta più alta
Marco
Malvaldi
Sellerio
Two is mejo che one!
Aldo, Ampelio, Gino e Pilade, i
quattro pensionati pseudo-detective che occupano, come fosse un centro sociale,
il Bar Lume di Pineta, affrontano con nuova energia questa nuova avventura partendo dai soliti pettegolezzi, da qualche bevuta “morigerata”
e con quattroxquattro battute riciclate che suscitano risate vintage e stiracchiate.
Mi chiedo dove la trovino quella verve e com’è possibile che, dopo tanti anni
(quasi cinque), non siano per niente rincoglioniti. “Forse lo erano già fin dall’inizio”, è l’unica risposta possibile.
Si annoiano in quella terra di
confine e di antiche paludi; forse sentono la “commare secca” affilare la falce
fienaia alle spalle, per dimenticare e anche rompere la monotonia di
quell’attesa in sopravvivenza vegetativa tentano di reiterare il loro divertissement preferito: scoprire il
colpevole di improbabili delitti. Per
dimenticare (come i compagni monicelliani di Amici miei) si affidano ad arguzia
e ironia. Badate, qui la dimensione è altra, non siamo nei famosi film da me citati, echeggiano
battute viete e nevrotiche e le situazioni sono troppo "goliardicamente" costruite. Ahimé, di
quelle da prendere o lasciare: il Vernacoliere (che tuttavia mai figura sui
tavolini o sul bancone del Bar Lume!) è il loro inarrivabile modello. A Livorno
o Pisa, qualche compagnia dopolavoristica di vernacolo potrebbe anche storcere
il naso.
Questa la buccia e il guscio.
Meno male che c’è un po’ di polpa. Massimo, il “barrista”, un perdente di
maniera, che pigramente (c’è costretto) tira fuori l’idea vincente
dell’indagine e del racconto, che ovviamente qui non dico. Lui, coi vecchietti,
c’è costretto da un vincolo di sangue, ci galleggia intorno, li sopporta a fatica
(dice lui), ma se cominciano ad apparecchiare una briscola in cinque allora si
diverte come un bimbo. I quattro lo coinvolgono, suo malgrado, in un’indagine
sospesa. “Pe’ culo”, gli ripetono i
vecchietti petulanti, riesce a cavarsela
e a dimostrare, alla fine e con garbo, che un po’ di scienza serve anche a un “barrista” di Pineta, non
solo a Holmes a Londra. Massimo usa un corollario della statistica cognitiva
(lo si può reperire tra i modelli mentali di Johnson-Laird) ma anche, se
ricordo bene, nel trattato Filosofia della probabilità di Bruno de Finetti. Cito
queste fonti non per far sfoggio, ma per valorizzare il garbo e l’eleganza con
cui Malvaldi porge al lettore la teoria. Non sarà, come afferma il Dottor
Berton parlando di Massimo, che ha così operato “… proprio per il fatto di essere ignorante” di queste astruse
teorie? Mi permetto questa benevola battuta, ma resta l’apprezzamento: odio la
pedanteria.
Peccato l’insistenza ossessiva su
battute da quartiere Venezia o da Navacchio. Invece di distillare il vernacolo,
qui l’autore, rispetto ai tre precedenti racconti, lo appesantisce e un lettore
toscano, mezzo viareggino, come me non ci gode.
Per ultimo resterebbe da parlare
del giallo e della suspense. Non ci sono nessun dei due. Non si possono
costruire trame tese e coinvolgenti con personaggi
così evanescenti. Non parlo né di Massimo, né dei vecchi (che rubano troppo la
scena coi loro lazzi), ma di quelli coinvolti nella storia che vorrebbe (secondo
il marketing Sellerio) essere gialla. Non ci sono informazioni, situazioni o
dialoghi per individuarli. Alla fine il colpevole (ma si può!) è per te uno
sconosciuto.
Meno pedante dell’ultimo della
serie Bar Lume, dove c’erano sproloqui assurdi sulla religione e sulla politica;
resta in ogni caso una lettura che ti regala quattro o cinque ore molto leggere.
Sì, questo è un valore, la storia ti solleva l'animo e la mente in una piacevole levitazione. Peccato
che il giorno dopo sia stato come bere acqua distillata, eppure si parlava di
altra acqua!
Voto ***/5
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