Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
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Giudizio n. 82
L'assassino non sa scrivere
Stefano Piedimonte
Guanda
Non è Benni e nemmeno
Buzzati ... ma chi allora?
Quando leggo seconde opere scritte in fretta e con sciatteria per inseguire il successo della prima mi prende un fastioso prurito. Perché tanta fretta? Perché non un "rigoroso" editor?
L'autore pensa,
sbagliando Nel nome dello zio, di saper scrivere e se ne bea. Sa usare le
parole, ma non sa tessere una trama. Gigioneggia e fa l'istrione della singola
parola stampata. A volte ci riesce anche con un periodo di cinque parole, ma
oltre affonda nelle sabbie mobili del suo fantastico e fantomatico bosco. Non
si rende conto che non sta mandando simpatici auguri dalle vacanze. Cade così
in ingloriosa grevità.
Una favola
noir? Una storia horror fantastica? Una sublimazione della violenza? A volte
tratteggia personaggi da Bar Sport, altre s'incontrano elfi che Buzzati ha
evocato spesso. E manca solo che il Bastardo dica "Io uccido"! Sempre
si resta sospesi nell'inconcluso o nel dubbio sul riferimento. Di certo almeno
una volta c'è una certezza. Quando fa parlare il maresciallo Scartaghiande
(Piero Chiara s'è rigirato due volte nella tomba, e la signora Giulia anche): "Sul corpo giacente del soggetto
assassinato, i militari di questa compagnia rinvenivano un messaggio, scritto a
penna su supporto cartaceo, che tosto mi accingo a produrre". E'
l'appuntato Severino Cecchini, il nipote del maresciallo Cecchini (Nino
Frassica) che parla! Ma come, plagiare Don Matteo! E' un peccato di lesa
maestà.
E' chiaro, a
questo punto, che chi volesse essere, o imitare, non mi interessa. Dico solo
che: 1. Il narratore che ogni tanto si pone invadente sulla scena è fastidioso;
2. La trama è ondivaga, a matriosca, e si perde il filo e il sentiero, anche
nel famigerato bosco; 3. Non è un giallo, non è un noir, non è un thriller,
semplicemente non è una storia: non c'è una vera trama ed è solo un gioco che
diverte solamente (spero) l'autore; 4. Alla fine anche lui, annoiato, cala le
brache in modo indecoroso. Non mostra nessun rispetto per il lettore.
L'ho letto a
tratti, dedicando tempi sempre minori: ogni tanto m'assaliva la noia e come una
specie di rifiuto. Forse anche un po' di nausea. Altre volte rabbia: mi
sembrava un'occasione e una talento (l'autore ne ha) sprecato. I personaggi
sono troppo "caricati" di significati palesi e reconditi: maschere
retoriche che "stroppiano"! Due stelle e mezzo (ne metto due perché su Anobii ne vengono 3!). Se avesse scritto di più
(e poi non conosco il precedente lavoro tanto pomposamente messo a vessillo sulla
copertina) sarebbe pallino bianco (come fa Paolo Mereghetti per autori che prima hanno fatto qualcosa di buono e poi sbracano!), ahimé, ahimé e ancora ahimé!!!.
Voto **/5
L'autore pensa, sbagliando Nel nome dello zio, di saper scrivere e se ne bea. Sa usare le parole, ma non sa tessere una trama. Gigioneggia e fa l'istrione della singola parola stampata. A volte ci riesce anche con un periodo di cinque parole, ma oltre affonda nelle sabbie mobili del suo fantastico e fantomatico bosco. Non si rende conto che non sta mandando simpatici auguri dalle vacanze. Cade così in ingloriosa grevità.
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