mercoledì 14 gennaio 2015

Il gufo giallo (82)


Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli

Giudizio n.  82

L'assassino non sa scrivere
Stefano Piedimonte
Guanda



Non è Benni e nemmeno Buzzati ... ma chi allora?
Quando leggo seconde opere scritte in fretta e con sciatteria per inseguire il successo della prima mi prende un fastioso prurito. Perché tanta fretta? Perché non un "rigoroso" editor? 
L'autore pensa, sbagliando Nel nome dello zio, di saper scrivere e se ne bea. Sa usare le parole, ma non sa tessere una trama. Gigioneggia e fa l'istrione della singola parola stampata. A volte ci riesce anche con un periodo di cinque parole, ma oltre affonda nelle sabbie mobili del suo fantastico e fantomatico bosco. Non si rende conto che non sta mandando simpatici auguri dalle vacanze. Cade così in ingloriosa grevità.
Una favola noir? Una storia horror fantastica? Una sublimazione della violenza? A volte tratteggia personaggi da Bar Sport, altre s'incontrano elfi che Buzzati ha evocato spesso. E manca solo che il Bastardo dica "Io uccido"! Sempre si resta sospesi nell'inconcluso o nel dubbio sul riferimento. Di certo almeno una volta c'è una certezza. Quando fa parlare il maresciallo Scartaghiande (Piero Chiara s'è rigirato due volte nella tomba, e la signora Giulia anche): "Sul corpo giacente del soggetto assassinato, i militari di questa compagnia rinvenivano un messaggio, scritto a penna su supporto cartaceo, che tosto mi accingo a produrre". E' l'appuntato Severino Cecchini, il nipote del maresciallo Cecchini (Nino Frassica) che parla! Ma come, plagiare Don Matteo! E' un peccato di lesa maestà.
E' chiaro, a questo punto, che chi volesse essere, o imitare, non mi interessa. Dico solo che: 1. Il narratore che ogni tanto si pone invadente sulla scena è fastidioso; 2. La trama è ondivaga, a matriosca, e si perde il filo e il sentiero, anche nel famigerato bosco; 3. Non è un giallo, non è un noir, non è un thriller, semplicemente non è una storia: non c'è una vera trama ed è solo un gioco che diverte solamente (spero) l'autore; 4. Alla fine anche lui, annoiato, cala le brache in modo indecoroso. Non mostra nessun rispetto per il lettore.
L'ho letto a tratti, dedicando tempi sempre minori: ogni tanto m'assaliva la noia e come una specie di rifiuto. Forse anche un po' di nausea. Altre volte rabbia: mi sembrava un'occasione e una talento (l'autore ne ha) sprecato. I personaggi sono troppo "caricati" di significati palesi e reconditi: maschere retoriche che "stroppiano"! Due stelle e mezzo (ne metto due perché su Anobii ne vengono 3!). Se avesse scritto di più (e poi non conosco il precedente lavoro tanto pomposamente messo a vessillo sulla copertina) sarebbe pallino bianco (come fa Paolo Mereghetti per autori che prima hanno fatto qualcosa di buono e poi sbracano!), ahimé, ahimé e ancora ahimé!!!.

Voto **/5
 

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