Romanzi in B&W
influenze della letteratura americana
sui film noir anni '40
Parte VII
Fanciulle in rosa e spose in nero
Cornel Woolrich
era già famoso quando Alfred Hitchcock si accorse di lui. Nel 1942 aveva
scritto, sulla dime Detective magazine il racconto It
had to be Murder.
Il regista
lo legge nel 1953 e l'anno dopo esce con Rear Window: uno dei capolavori del
cinema di tutti i generi.
Un fotoreporter
di successo, L.B. "Jeff" Jeffries, è
costretto su una sedia a rotelle da una frattura alla gamba sinistra riportata
in un incidente di lavoro.
Immobilizzato
nel proprio appartamento e annoiato per la forzata inattività, Jeff inizia a
osservare i suoi vicini di casa, servendosi di un binocolo e della propria
macchina fotografica dotata
di potente teleobbiettivo. Alla fine della storia, dopo aver rischiato d'essere
ucciso, di gambe rotte ne avrà due! Giusta punizione per un guardone.
Un gioco, un
divertissement per non annoiarsi. Coinvolge nel voyeurismo
anche la fidanzata e la governante, che lo asseconda, ma sbotta: "Siamo
diventati una razza di guardoni!". La battuta che da molto significato al
film. Poi nasce il sospetto e allora non è più un gioco.
Per quasi
tutto il film, quando c'è in ballo la maledetta finestra, gli attori non
guardano "in macchina"!
Il romanzo The
Bride Wore Balck (La sposa era in nero) è del 1940. Narra di uno
sciocco delitto colposo vendicato in modo spietato dalla prematura vedova.
Solo nel
1968 esce il film di Truffaut La mariée etait en noir. Una
folgorante e letale (perfetta dark lady) Jeanne Moreau interpreta la vedova
vendicatrice.
Il film inizia con un mirino telemetrico che
vaga per una pazza alla ricerca di un bersaglio, questo invece l'incipit del
romanzo.
"Julie, Julie mia." Le
parole seguirono la donna giù per le quattro rampe di scale. Era il sussurro
più tenero, il grido più potente che potesse uscire da labbra umane. Non
valsero a fermarla, né a farla esitare. Quando Julie uscì nella luce del
giorno, il suo viso era di un pallore mortale. E questo fu tutto...
E' stato girato subito dopo Fahrenheit 451 e ne porta vanti lo stile essenziale e
rarefatto. Le scene scarne e moderniste non mi sembra giovino al racconto
gotico. Ne esce un film ambiguo che ora mostra tutta l'età che ha. Jeanne
Moreau è brava ma si muove troppo veloce (è una regola, al cinema, se si vuole
sembrare giovani!). Dieci anni prima (Ascensore per il patibolo) l'avevamo
seguita di notte per le strade di Parigi accompagnata dalle note dolenti di Miles
Davis.
Cammina lentamente, come per far scorrere più lento il tempo e fermare la
gioventù e la vita che se ne va.
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