martedì 6 settembre 2016

Il film giallo italiano (I)



Il film giallo italiano


Storia disincantata di un genere oscillante tra impegno sociale e spaghetti thriller.
(Parte I)
1943

La storia del film giallo italiano è caratterizzata da rare perle e molte scorie. E' molto legata alla storia letteraria, a quella della fiction TV e anche del fumetto. Come già ho raccontato sul blog, quella letteraria iniziò a metà ottocento. All'inizio rare opere, ma tra gli anni '20 e i '30 ci fu una fioritura ricca e di qualità, ma osteggiata dal Regime. Per avere un film tratto da una storia poliziesca si dovette pazientare assai. Qui non li citerò tutti (negli anni '70 e '80 furono troppie anche parecchio brutti), cercherò di fare una rassegna di quelli che, nel bene e nel male condidero punti di riferimento. Andiamo a iniziare.

Il cinema muto, anche all'estero, frequentava poco (Sherlock  Holmes a parte) il genere giallo. Col sonoro ricevette più attenzione, ma da noi...
Telefoni bianchi, cappa e spada ed arditi eroi tanti, in cielo, in maree in terra... gialli nessuno. Mussolini non voleva libri gialli, figuriamoci film!
Il 14 agosto 1943 Roma fu dichiarata "città aperta", qualcuno, a Cinecittà, pensò che allora si poteva finalmente girare un giallo.



Per fare svelti fu deciso di adattare a film Il cappello del prete di Emilio De Marchi. Nacque Il cappello da prete: prodotto da Sandro Ghenzi della Universalia in associazione con la Cines.  

Il film fu girato in economiae con rapidità a Cinecittà nel 1943, ma fu proiettato in prima nazionale a Roma solo dopo la liberazione il 10 novembre ’44.

Interpreti Roldano Lupi e Maria Baarova; Luigi Almirante è Don Cirillo.
La critica l'accettò benevola: la guerra era finita! "La parte descrittiva del racconto è composta con grazia, si può dire che il film abbia il pregio di una perfetta cornice, ma i personaggi e soprattutto il carattere del protagonista assassino sono guardati con un tono da dramma giallo. L'atmosfera ottocentesca meridionale è risuscitata con una cura da collezionista. L'intreccio s'avvolge stretto e freddo attorno alla personalità del barone gaudente, il quale uccide per sete di denaro e di piaceri, senza che il suo delitto abbia mai una apparenza o una giustificazione di umana follia o di passionale fatalità. Sì che il finale t'arriva come una schioppettata." (Fabrizio Sarazani, Il Tempo, 24 dicembre 1944).

Il film non è restato nella storia del cinema, ma ha segnato la pietra miliare del primo metro di pellicola in giallo. Diventeranno chilometri. Soprattutto a causa di due lunghe stagioni: quella del giallo all'italiana (lunghissima: più di 150 titoli!) e quella del "poliziottesco" (per fortuna più breve ma più sciagurata).

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