TRE PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
Grandi personaggi poco sfruttati, a parte uno!
Sul giallo italiano ci siamo pianti troppo addosso. Non ha avuto, come nel mondo anglosassone, una golden age e credo non sia colpa degli autori. Da noi, in quel tempo, andava di moda il melò, i lettori non potevano apprezzare le strutture narrative del giallo, troppo cartesiane!
Eppure, rovistando tra le pagine migliori del passato si possono riscoprire personaggi di eccelso livello letterario.
Ad esempio il Barone Carlo Coriolano di Santafusca creato nel 1887 (Il cappello del prete) da Emilio De Marchi.
Credo, anche se non ho riscontri, che De Marchi sia stato influenzato da il racconto Il naso di Gogol.
Successivamente anche da Delitto e castigo che era in traduzione in Italia quando lui scriveva il suo romanzo.
Quasi un secolo dopo la Rai (gloriosa allora) realizzò uno sceneggiato di discreto successo tratto dal proto giallo di De Marchi. Ma facciamo parlare l’autore.
U’ BARONE
“Il Barone Carlo Coriolano di Santafusca non credeva in Dio e meno ancora credeva nel diavolo; e, per quanto buon napoletano, nemmeno nelle streghe e nella iettatura.
A vent'anni voleva farsi frate, ma imbattutosi in un dotto scienziato francese, un certo dottor Panterre, perseguitato dal governo di Napoleone III per la sua propaganda materialistica ed anarchica, colla fantasia rapida e violenta propria dei meridionali, si innamorò delle dottrine del bizzarro cospiratore, che aveva anche una testa curiosa, tutta osso, con due occhiacci di falco, insomma un terribile fascinatore.
Per qualche anno il barone, detto «u’ barone», lesse dei libri e prese la scienza sul serio: ma non sarebbe stato lui, se avesse per amore della scienza rinunciato alle belle donne, al giuoco, al buon vino del Vesuvio, e ai cari amici. Il libertino prese la mano sul frate e sul nichilista, e dalla fusione di questi tre uomini uscì «u' barone» unico nel suo genere, gran giuocatore, gran fumatore, gran bestemmiatore in faccia all'eterno. Nulla, e nello stesso tempo amabile camerata, idolo delle donne, coraggioso come un negro, e a certe lune fantastico come un bramino.
Noi qui parliamo del barone della sua prima maniera quando non aveva più di trent'anni. Napoli allora era tutta una festa garibaldina, bianca, rossa e verde. Le donne abbracciavano i bei soldati nella via e alzavano i bambini sulle braccia, perché Garibaldi li battezzasse nel nome santo d'Italia. Innanzi al ritratto dell'eroe si accendevano i lumi e si appendevano corone di fiori, come davanti a San Gennaro e alla Madonna Santissima…”
Credo che sia uno dei personaggio meglio riusciti, ma non è mai stato considerato in modo adeguato, né dalla critica, né dai lettori.
Molti anni dopo si cimenta col giallo un altro autore brillante: Piero Chiara: I giovedì della signora Giulia. Tra le pagine del romanzo troviamo un altro illustre detective.
SCIANCALEPRE
“Il dottor Corrado Sciancalepre arrivò nel suo ufficio verso mezzogiorno….
… Dotato di un fiuto particolare, cioè di quella speciale forma mentale che conferisce ai grandi poliziotti la possibilità di immedesimarsi nel delinquente, il dottor Sciancalepre aveva raccolto molti successi e non era lontano da una meritata promozione… Ormai assimilato all’ambiente, padrone perfino del dialetto e circondato da un timore reverenziale, che era la prima condizione dei suoi successi, il dottor Sciancalepre era particolarmente amato dai delinquenti, che quasi ci godevano nel farsi acciuffare da lui, tanto li sapeva trattare…”
Tanta gloria, ma con il caso della signora Giulia non ci fa una bella figura. Non ci resta che passare oltre. Ad uno che, invece, risolve pasticciacci brutti e imbrogli maledetti.
INGRAVALLO
“Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli
affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivano fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana. Una certa praticaccia del mondo, del nostro mondo detto «latino», benché giovine (trentacinquenne), doveva di certo avercela: una certa conoscenza degli uomini: e anche delle donne…”
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana è il titolo del famoso romanzo di Carlo Emilio Gadda. Apparve per la prima volta in cinque puntate sulla rivista Letteratura nel 1946 e, riveduto e ampliato, 11 anni dopo in volume pubblicato dall'editore Garzanti, prevedendo un secondo volume che Gadda non portò mai a termine, lasciando così senza soluzione l'enigma poliziesco. La soluzione la filmò Pietro Germi (anche eccelso attore nei panni di Ingravallo) nel bellissimo film Un Maledetto Imbroglio.
Don Ciccio piacque molto a Andrea Camilleri che lo prese a modello per il suo commissario: Salvo Montalbano. Capelli folti (vedi foto statua) che sparirono col successo della fiction con Luca Zingaretti. Uno dei tre personaggi aveva trovato un autore e poi un attore!
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