lunedì 9 gennaio 2012

Il gufo giallo (25)

Rubrica letteraria



Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli
Libro n. 25

La caccia al tesoro
Andrea Camilleri
Sellerio

Una bambola con troppi fori
Uno dei più deludenti, ed era già capitato col Salvo nazionale! Dopo un inizio travolgente, da farsa pesana, con situazioni ricche di paradossi tragici che caricano di aspettative,  si scivola nel limo dello stereotipo. Un inferno per il lettore pieno di attesa e anche di fiducia. Senza appigli è una  discesa inesorabile del livello di qualità. Segnalo l'eccesso di macchiettismo, penoso umorismo da parrocchia scaturito dalle bambole gonfiabili,  situazioni legate insieme tirandole per i capelli, l'ozioso reiterare degli errori di Catarella senza l'aggiunta di un pizzico di fantasia. Alla fine ti resta in mano un pugnetto di sabbia di Marinella... un po' poco. Qua e la ci sono pezzi di ottima letteratura, allora ti chiedi: "A questo vecchio geniale tutto è permesso? Forse un editor un po' arcigno non gli farebbe male!"
Non è così semplice. Le macchiette tirate allo spasimo, i comprimari stereotipati e le molte situazioni già viste ripetute sono scritti pensando alla quasi certa trasposizione televisiva. Sembra che si sia voluto sfruttare al volo una serie di scene e attività e dettagli e appunti: in altre parole una bieca economia di scala.
Dal punto di vista del lettore non è un giallo con una chiave assai ben nascosta: se uno si ferma a riflettere un attimo si accorge che la costruzione ha un paio di brecce più larghe di Porta Pia e da lì si vede la soluzione.
Ma Camilleri è un  fine narratore (ha ritmo e musicalità: un incantatore), così i più seguiranno Montalbano nella sua un'indagine ardua, messo in difficoltà da un anonimo che gli scrive messaggi criptici in rima (rime penose in verità: non si fa di necessità un vanto!). La vicenda è ispirata a fiction di routine di produzione americana. Peccato, all’inizio mi ero fatto un'altra idea: che volesse scavare sulle tradizioni sicule cui Camilleri, ci aveva abituati da tempo. Ovviamente il mestiere c'è (chi lo nega?), pure l'umanità di alcune figure minori e qualche pagina di riso, anche amaro la si trova, ma qui la serialità è pedissequa, senza variazioni sul tema, che possono diventare le trame d’intesa tra lettore e autore.  La delusione è eccessiva, soprattutto per  me  che sono uno scrittore seriale e un ammiratore. Come scoprire che Bach scriveva sempre la stessa fuga.
PS: il tasso di parole e frasi sicule, rispetto al primo romanzo di Montalbano, è più che raddoppiato. Mi chiedo se ormai si debba parlare di romanzi dialettali. Il lettore che si avvicina per la prima volta o gli alunni delle scuole non ne hanno nessun giovamento.

Totale: ***/5

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