"Private Eye"
ovvero investigatori privati.
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I signori del giallo (parte I)
Ellery Queen (1929 - La poltrona n. 30)
Ellery è un giovane giallista di successo, nonché "sedicente"
investigatore dilettante. Mostra mente lucida e analitica, ma logica sintetica,
stringente. E' laureato ad Harward ed è interessato al crimine non per
curiosità, come dice lui, ma per un'astuta forma di automarketing a supporto
della sua brillante e redditizia attività di scrittore. E' quindi una balla che
"non guadagni nulla dalla sua
attività di investigatore". Lo dicono molti suoi ammiratori. Non si
rendono conto che i romanzi sono il resoconto delle sue inchieste, che così vende
un sacco di libri in più e che negli anni '30 già era affermato anche in Italia.
Si notava anche da lontano nelle edicole visto che era stampato in bizzarri
libri con la copertina gialla.
Suo padre Richard Queen, di origine, e di carattere,
irlandese, è ispettore capo della squadra Omicidi della polizia di New York.
Spesso e volentieri "accetta" l'aiuto di Ellery nelle
indagini sui delitti che la squadra, da questi diretta, deve affrontare.
Delitti in verità molto strani e complessi che, di solito, la Polizia non si
trova davanti.
La poltrona n. 30, il primo caso, definì subito il paradigma delle indagini successive: un crimine insolito, prove
spesso contrastanti, la presenza di Richard Queen e del suo assistente, il
sergente Velie. Via, via la messa a disposizione del lettore di tutti gli
elementi utili a scoprire il colpevole e infine la conseguente “sfida al lettore” che precedeva la
soluzione del caso. Giusto per far sentire il lettore un minus abens, ma senza violare le regole auree di S.S. Van Dine.
E', questa pantomima finale, la confessione del
movente che muove Ellery a svolgere indagini: raccogliere elementi per poter
proporre un enigma. Alimenta anche l'ambiguità del personaggio autore. Una
trovata che ha fatto la storia del giallo. La "sfida al lettore" di Ellery Queen è possibile solo
grazie alla procedura poliziesca (messa in atto dal padre) confusa il giusto
dall'esuberanza del figlio Ellery, l'autore. Egli, sornione, dopo aver fornito
nella narrazione tutti gli elementi necessari, sfida il lettore a risolvere il
caso, coinvolgendolo in un gioco di intuito e deduzione assai stimolante.
Se dal padre Richard, irlandese con i piedi per terra
e poliziotto rigoroso e preciso, Ellery eredita l'interesse verso il crimine,
deve invece alla madre scomparsa l'intelligenza critica, la logica stringente e
l'aspetto un po' snob coltivato con l'atteggiamento di chi non deve lavorare
per mantenersi. Invece lavora, crea le premesse per scrivere il romanzo. Ma i
lettori sono ingenui e ci cascano o fanno finta di crederci anche quando il
furbone chiede loro se hanno capito chi è stato.
Gli autori (quelli veri) si ispirarono alla logica di
Sherlock Holmes e alla figura distaccata, presuntuosa e un po' cinica di Philo
Vance. Solo che Ellery risulta simpatico. Ma se l'atteggiamento e il
comportamento di Ellery Queen nei primi romanzi era parte essenziale del
personaggio (si concederà anche qualche avventura galante di tanto in tanto),
egli, via, via, diventerà sempre più astratto, perderà smalto tanto che in
seguito la sua presenza nei romanzi sarà giustificata solo dal suo ruolo
risolutore, senza aggiungere altro colore alle vicende... a parte il suo cappello floscio. Un gadget televisivo anni '70 che mai, un "dandy" si sarebbe sognato di mettersi in capo nel 1930!!! Sul volto di Jim Hutton niente da dire, tutti lo conoscono per Ellery.
(10-segue)
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