lunedì 6 novembre 2017

Il Gufo Giallo (112)

Il gufo giallo
recensioni di romanzi gialli

Giudizio n. 111

 


 


Pulvis et Umbra   

  di  Antonio Manzini
Sellerio

 

 

 

Un fantasma (assente) per amica

Per mia sfortuna so chi è Baiocchi, ma se non lo avessi saputo avrei smesso di leggere questa "sola" (tanto pe' parla' come er commissario, scusi, vicequestore ... sticazzi!).
Polvere e ombra scaturiscono dalle pagine dell'ultimo romanzo di Antonio Manzini fino a posarsi nella nostra mente agevolando il sonno. Torna il Vicequestore Rocco Schiavone e torna ancor più carico di tristezza. Una sorta di cupezza, di magone, un rospo in gola attanaglia il lettore sin dalle prime righe di questa nuova storia. 
Un'ombra cala prepotente sulla vita di Rocco e su noi che lo accompagneremo, ancora una volta, a caccia di quei fantasmi che lo perseguitano.
Dopo 7-7-2007 mi aspettavo di più. Qualcosa che andasse oltre la prevedibile lusinga per "agganciare" tutti i lettori delle puntate precedenti.
Manzini ammicca e furbescamente scrive ciò che è sicuro la gente vuole leggere. Dimentica di non essere Charles M. Schultz e che Rocco non si chiama Charlie. La serialità sfrutta riferimenti e rimandi, ma vuole anche auto consistenza della storia.
Manzini esagera. Sviluppa la trama   col solo obiettivo di garantirsi una continuità (che sarebbe ormai certa). Schiavone poi si adatta perfettamente alla figura della ombrosa ma simpatica canaglia, ormai fin troppo sfruttata dalla narrativa di genere noir del'universo mondo.
Non si fraintenda, si fa leggere, ma penso che di poliziotti soli, col cuore infranto, bravi, ma con un passato in chiaroscuro, canaglie ma strappa cuori , ecc..ecc.. ce ne sia ormai un'inflazione... Rocco è solo uno in più, sicuramente un personaggio interessante, ma non certo originale.


Su frizzi e lazzi prevale poi un cielo, persino troppo, cupo.  Non sono male le battute di Schiavone (uscite che strappano la risata), lui che da lezione di latino e di vita a Gabriele, e poi la fine....direi piuttosto deprimente.
Le metafore son tornate a essere ridicole. Montaggio carente, spesso i momenti di staca prevalgono e ammorbano il ritmo. La storia che fa da fulcro al libro viene poi un po' lasciata in disparte visto anche l'insabbiamento ordinato dai "livelli superiori" e poi, di fatto, inizia un altro libro.
Schiavone che gira l'Italia in auto per cercare Baiocchi (ce ne po' frega' de meno a noantri!) e il suo complice senza avvisare la Questura di Aosta e poi c'è il patatrac. Amicizie congelate se non rotte, talpa nella squadra di Schiavone, la moglie (il fantasma) che non si vede più se non un attimo alla fine: era meglio che non apparisse più!.
Caterina che fin dalla prima pagina sembra una depressa cronica per cosa poi? La scena al capezzale del padre, penosa e improbabile, se la poteva risparmiare, ma è tutta la descrizione di quello che le è capitato da piccola che ho trovato non funzionale dalla trama. Che c'entrava? Storie vecchie, perché Manzini le ha tirate fuori dopo quattro o cinque libri quando non se ne sentiva  la mancanza. Manca  solo un'epidemia di aviaria o di Ebola.   Speriamo in futuro che si ripigli con ironia perché il finale è amarognolo, se non acido.
P.S.I Schiavone che va a letto con Caterina, di maniera,  inguardabile e troppo scontato. Una concessione alla mania del soft porno inutile dilagante in Rai, sì perché presto lo vedremo in Rai!
P.S.II La cosa più penosa è a pag. 299. Manzini restituisce il favore a Malvaldi che lo aveva citato nel suo penultimo lavoro. La Sellerio, che si atteggia a casa editrice seria, non dovrebbe permettere queste "marchette"!

Voto ***/5 (d'incoraggiamento a cambiare)
 

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