lunedì 4 dicembre 2017

Andiamo a iniziare! (I)


Parliamo di incipit
Il Dr. Watson scrutava attento l'espressione severa del suo amico Holmes. Sherlock aveva appena letto l'inizio di un nuovo romanzo. Scosse la testa e lo lesse di nuovo a voce alta.
« Sherlock Holmes, che generalmente scendeva molto tardi al mattino tranne che nelle non rare occasioni quando rimaneva alzato tutta la notte, era già seduto al tavolo della colazione. Mi fermai sul tappeto accanto al caminetto a raccogliere il bastone dimenticato la sera prima dal nostro visitatore. Era un bel bastone col pomo rotondo, del tipo comunemente chiamato "Malacca". Proprio sotto l'impugnatura c'era una larga fascia d'argento con l'iscrizione "A James Mortimer, M.R.C.S. dai suoi amici del C.C.H." e la data: 1884. Era proprio il tipo di bastone adatto a un medico di famiglia vecchio stampo – dignitoso, solido, e rassicurante. Di questo bastone lui ne andava fiero... ».
Tossì o fece finta, anche per un medico sarebbe stato difficile capire.
« Mio caro amico, le sembra il modo di iniziare un'avventura tanto affascinante e piena di pericoli? Dovrebbe subito partire con la descrizione del cagnaccio dei Baskerville. A chi vuole che interessi del bastone? ».
La discussione tra Watson e Holmes andò avanti tutta la sera ed anche dopo, mentre cenavano, non smisero. Alla fine il povero Dr. Watson dovette ringraziare e promettere di rivedere quell'incipit. Soprattutto di togliere il riferimento indiscreto, vero nocciolo della questione, all'ora della sveglia dell'amico.
Meno male che aveva la testardaggine del militare, così l'incipit rimase tale e quale e i posteri lo poterono gustare com'era nato. Alcuni posteri lo "postarono" pure! Ma questa, dei francobolli ispirati dai gialli, è un'altra storia!
L’incipit

(I)
Premessa
 

Focalizziamo prima l'attenzione su un primo fatto importantissimo: leggere l'incipit è come quando al ristorante il sommelier, aperta la bottiglia, te ne fa assaggiare un sorso. Sta a te decidere se sa di tappo o se invece vale la pena di berla!
Il secondo fatto è la fatica dell'autore. Scrivere un buon incipit è difficile ed è pure una fatica enorme. La maggior parte, infatti, sono scritti da cani.


Ma c'è anche un terzo aspetto. Le case editrici mettono sovracopertine con riquadri biografia dell'autore e sinossi. La sinossi di solito l'ha scritta uno(a) sciagurato(a) incompetente dell'ufficio stampa: ha come obiettivo di non farvi leggere l'incipit del romanzo. Non leggete la sinossi (è quasi sempre "markettara"): leggete l'incipit che è frutto del talento dell'autore!
Per cominciare ad argomentare sento il bisogno di chiamare in causa il vice maestro Italo (Il maestro dei maestri è Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo).
« Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo (...) il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita (...). Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare ».
Italo Calvino - "Appendice" alle "Lezioni americane", in Saggi, Mondadori, v. 1, pp. sgg.
Sì, ma c'è il problema del titolo. Ahimé, il titolo viene prima dell'incipit. Se viene dopo sono guai.
Questo è un esempio: comprereste ieri un libro così? No, solo oggi sapete chi sia costui. Di certo Solo non è un guerrtiero, semmai un avventuriero. E ci sarebbero parecchie altre cose da dire!
Il titolo di un romanzo innesca un processo comunicativo che, pur essendo esterno al testo, spesso lascia trasparire molte allusioni essendo esso solitamente composto da un breve motto riassuntivo o da una frase topica (quasi sempre molto meditati).
Il titolo rimane comunque sempre un elemento esterno al testo vero, anche se a volte (lo si scopre a posteriori) il richiamo è forte. Al contrario l'incipit ne è parte fondamentale e non appare solo come un segnale di riconoscimento generico di identificazione dell'opera, né come un icona evocatrice, ma stabilisce subito nel lettore un meccanismo di complesse attese, d'immedesimazione e di coinvolgimento.
Vediamo un esempio.
Attingo dal maestro Andrea (Camilleri) per due motivi: 1. E’ il mio maestro. 2. Il suo genere è poliziesco anomalo e quindi non riconducibile alle mie classificazioni.

Il titolo è apparentemente normale. Neutro. Niente affatto! Lo si capirà a circa un terzo della narrazione: è estremamente evocativo. Alla fine del romanzo ti resta in testa come un marchio a fuoco.
Il cane di terracotta (*)
L’incipit è davvero eccelso. Le prime 12 parole ti prendono per mano e ti immergono nella finzione. Poi il meccanismo si perfeziona (vedi anche il testo in nota), ma già a questo punto sei preso!
A stimare da come l'alba stava appresentandosi, la iurnata s'annunziava certamente sméusa, fatta cioè ora di botte sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. …
(*)
Il cane di terracotta
A stimare da come l'alba stava appresentandosi, la iurnata s'annunziava certamente sméusa, fatta cioè ora di botte sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel cirveddo lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannéra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento.
 Per gentile concessione da parte della premiata ditta:

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