martedì 5 dicembre 2017

Andiamo a iniziare (II)


L’incipit

(II)
  
Le avventure di Sherlock Holmes
Uno scandalo in Boemia
Per Sherlock Holmes ella(*) è sempre "la" donna. Raramente l'ho sentito accennare a lei in altro modo. Ai suoi occhi, supera e annulla tutte le altre esponenti del suo sesso. Non che egli provasse un'emozione simile all'amore nei confronti di Irene Adler. Tutte le emozioni, e quella in particolare, erano respinte con orrore dalla sua mente fredda, precisa, mirabilmente equilibrata. A mio parere, era la più perfetta macchina pensante e ponderante che esista al mondo, ma il sentimento amoroso lo avrebbe messo in una posizione falsa. Non parlava mai delle passioni più dolci se non con un sorriso ironico e beffardo. ...
 (*) Sì, "ella" merita una piccola notazione. E' l'unica donna con cui (si sappia) Holmes si è (sia) accoppiato e, a giudicare dalle sue reazioni, di cui si è (sia) innamorato. 


Non dimentichiamoci che "ella" generò come figlio certo di Sherlock, ma non riconosciuto, un bambino paffuto (grasso diremo) di nome Nero. Nero Wolfe!

Linee di principio
Sull'inizio del racconto Uno scandalo in Boemia, neppure Holmes potrebbe avere qualcosa da dire. Nemmeno sulle allusioni su "ella"! 
L'incipit può essere considerato, in termini molto tecnici, come il big bang del romanzo. L'esplosione semantica che genera e mette in moto il cosmo (o micromondo) romanzesco.  Consente (secondo precise scelte di mix dell’autore) di delineare il contesto, d’individuarne i caratteri, di intuire panorami e i possibile sviluppi futuri. Tutto ciò avviene non appena si leggono le prime dieci o venti righe. Nel leggere infatti la prima pagina noi non veniamo a conoscenza, ovviamente, di tutto il romanzo, ma ci creiamo dei percorsi mentali lungo i quali (attingendo alle nostre esperienze e alla nostra cultura) orienteremo la  lettura.

Sia la retorica classica che la moderna teoria della letteratura   sanno che se uno scrittore vuole essere accolto deve sapere influenzare a proprio vantaggio la disposizione del pubblico e che i lettori, per poter accogliere lo scrittore e quindi quanto scrive, hanno bisogno di riscontrare una vasta comunanza di topoi emozionali e ideologici. Tra l’autore di un romanzo giallo e i suoi lettori ci deve essere complicità. Questa complicità deve essere subito attivata, prima ancora che inizi la vera lettura.
Un pizzico di  retorica.
 
La retorica classica affidava proprio all'exordium o proemium, quindi all'inizio del discorso le regole argomentative. L'exordium doveva infatti "dirigere l'attenzione, la favorevole disposizione e la benevolenza del giudice alla causa di parte presentata nel discorso: cosa particolarmente difficile quando si danno gradi di debole credibilità" (H. Lausberg, in Elementi di retorica, Bologna, Il mulino, 1969, p. 31).
Questa tecnica, che prevedeva la captatio benevolentiae, è stata ripresa anche nel romanzo moderno. L’incipit serve a tutto questo.
Dove termina l'incipit  
Ogni inizio, indipendentemente dalle sue modalità, ha qualcosa di simbolico ed è un atto di creazione che serve a definire la lettura tematica. Vediamone uno celeberrimo.

Odissea
L'uomo ricco d'astuzie raccontami, o Musa, che a lungo errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca sacra di Troia; di molti uomini le città vide e conobbe la mente, molti dolori patí in cuore sul mare, lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Quello però che noi oggi chiamiamo incipit è in letteratura qualcosa di molto diverso e più complesso e la prima questione che nasce è quella della sua lunghezza. Se infatti sappiamo che l'incipit ha inizio dalla prima parola, dobbiamo definire dove esso termina.
L'incipit termina dove il racconto, ormai certo della sua convenzione, si affida unicamente a sé stesso e ciò può avvenire dopo una sola riga, al termine di una lunga argomentazione introduttiva, dopo uno stacco concettuale ben definito oppure lungo un percorso, breve o lungo, che esaurisce l'introduzione addentrandosi già nella trama o nel profilo del protagonista. Facciamoci ancora aiutare dal Maestro Andrea Camilleri.
 

Il ladro di merendine
S'arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d'essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, riaprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d'acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell'alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com'era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l'umore che avrebbe avuto nelle ore a venire. 

(II - segue) 
Per gentile concessione da parte della premiata ditta:

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